Volontariato

Pandemia e volontariato, tante le novità in Lombardia

Una ricerca di Csv Lombardia in collaborazione con Csvnet ci racconta della percentuale altissima, pari all’87%, quella di nuovi volontari coinvolti in questi mesi, in sostituzione di quelli ordinari bloccati in casa. Uno dei tratti più salienti di questa nuova stagione del volontariato è sicuramente la collaborazione stretta con i Comuni

di Alessandro Seminati

La pandemia coincide con un passaggio storico destinato a trasformare le regole del nostro vivere comune e del nostro essere società. Il Covid-19 ha colpito duramente la regione Lombardia, mettendo a dura prova le strutture ospedaliere, il personale medico, l’intera popolazione, e presentando un conto altissimo in termini di vite umane. Le realtà del terzo settore e del volontariato si sono trovate a fronteggiare un’emergenza che da sanitaria è divenuta ben presto anche sociale. Per questo oggi siamo obbligati a ripensare approcci e modelli di intervento, in uno scenario socioeconomico che sappiamo già essere con ogni probabilità il più difficile dai tempi della Seconda guerra mondiale. Ci è sembrato importante quindi dare vita, con la collaborazione di CSVnet, a una ricerca per comprendere ciò che è accaduto in questi mesi alle organizzazioni e agli enti di terzo settore, e per capire quali idee iniziano a circolare per immaginare una possibile ripartenza.

LA METÀ DELLE ORGANIZZAZIONI È RIMASTA ATTIVA.

Al questionario hanno risposto 1.062 enti, il 92% dei quali di tipo associativo: in massima parte si tratta infatti organizzazioni di volontariato (55%), seguite da una importante componente di associazioni di promozione sociale (27%) e, in percentuali minori, altri tipi di associazioni, cooperative, enti filantropici, imprese sociali, società di muto soccorso, reti associative, enti religiosi, ecc. La metà delle realtà censite ha dichiarato di avere svolto attività anche durante i mesi più difficili dell’emergenza, offrendo in prevalenza servizi di consegna di beni di prima necessità come cibo e farmaci, compagnia e vicinanza telefonica e telematica, educazione a distanza, ma anche raccolte fondi, trasporto sociale e volontariato sanitario.

ATTENZIONE PER LE FASCE A RISCHIO E NUOVE ATTIVITÀ.

I destinatari principali delle azioni messe in atto dalle realtà del terzo settore coincidono con le fasce più a rischio della popolazione rispetto alla minaccia del Covid-19: anziani in primis, seguiti da cittadini in quarantena, e poi persone con disabilità e minori. Possiamo parlare di azioni sia straordinarie che ordinarie, dato che il 45% dei soggetti rimasti attivi in Lombardia dichiara di aver svolto sia attività tipiche e tradizionali, sia nuovi tipi di attività. Il 48% delle organizzazioni ha dovuto fermare completamente le proprie attività, il 23% le ha dimezzate, il 22% le ha parzialmente ridotte e solo il 7% le ha mantenute come prima dell’emergenza. Là dove organizzazioni ed enti del terzo settore si sono fermati, hanno messo uno stop ad attività di tipo formativo, culturale e ricreativo. Nell’ambito degli enti di terzo settore, in particolare, si è registrato un vero e proprio tracollo dei servizi culturali ed educativi.


INSIEME, AL FIANCO DEI COMUNI.

Uno dei tratti più salienti di questa nuova stagione del volontariato è sicuramente la collaborazione stretta con i Comuni, elemento previsto anche dalle ordinanze emesse per far fronte all’emergenza. Ma la collaborazione è una cifra che – al di là della tipologia di soggetto – sembra attraversare davvero buona parte dei progetti e delle azioni messe in campo negli ultimi mesi dato che (oltre che con le amministrazioni locali) numerose forme di cooperazione sono state avviate per esempio con altre associazioni non profit. Sarà quindi necessario interrogarsi su cosa rimarrà di questa esperienza nei prossimi mesi e su come si trasformeranno questi nuovi legami venutisi a creare.

IL NODO DEI VOLONTARI, LE CARENZE DI DPI E RISORSE.

La risposta delle associazioni ai nuovi bisogni è stata immediata, ma diversi sono stati i problemi incontrati innanzi tutto nel reperire persone che fossero nelle condizioni di operare. Gran parte delle organizzazioni infatti sono storicamente composte per massima parte da persone appartenenti a fasce anagrafiche ad alto rischio rispetto al Coronavirus, e quindi costrette a restare a casa.

È infatti una percentuale altissima, pari all’87%, quella di nuovi volontari coinvolti in questi mesi, in sostituzione di quelli ordinari bloccati in casa. Un dato che restituisce anche la dimensione della forte mobilitazione della cittadinanza, e in particolare delle fasce anagrafiche giovani e adulte. Un bacino che – come altri colleghi di CSV lombardi hanno già rilevato – sarà prezioso coinvolgere già nel futuro più prossimo, comprendendone caratteristiche, dinamiche e approfondendone il possibile ruolo all’interno delle associazioni. Viene quindi da chiedersi: cosa succederà a queste forme di attivazione? E quali ipotesi di ulteriore coinvolgimento ci saranno per questi cittadini? A questo tema, che rimette in primo piano la questione del ricambio generazionale e delle necessità di nuova linfa nelle organizzazioni, si sommano altri due punti critici: la carenza di DPI e quella di risorse economiche.

NEL FUTURO DISAGIO SOCIALE ED ECONOMICO?

Si conferma l’idea che le problematiche preponderanti saranno di tipo sia sociale che economico. Si prefigura un contesto nel quale la solitudine sarà un pericoloso elemento di disgregazione da arginare, anche perché da sempre l’aggregazione e la prossimità sono due delle dimensioni più tipiche del mondo del volontariato. Disagio sociale ma anche economico, con un conseguente aumento della povertà e probabili difficoltà nella gestione domestica e finanziaria. Gli intervistati confermano i propri enti di appartenenza come disponibili a spendersi anche su fronti differenti rispetto a quelli tradizionali: in particolare in servizi di assistenza pratica (consegna a domicilio di beni di prima necessità) e di relativa prossimità (assistenza psicologica, ascolto e compagnia telefonica).

IL RUOLO DEI CSV FRA PRESENTE E FUTURO.

Le organizzazioni si immaginano che dai CSV ora arrivi soprattutto un supporto per re-immaginare la ripartenza e che i CSV stessi diventino un punto di riferimento per progettare il futuro. Una conferma, quindi, del ruolo sia il ruolo sociale che culturale dei centri di servizio, sempre considerati come attivatori e facilitatori di progettualità dentro ai territori. Sempre ai CSV si chiedono ulteriori approfondimenti delle normative e sui DPI dedicati alla sicurezza, aiuto nella ricerca volontari (a conferma delle difficoltà legate anche al ricambio generazionale), supporto al fund raising, e attività di facilitazione delle relazioni con le pubbliche amministrazioni.

DA DOVE RIPARTIRE?

Sembrano proprio questi ultimi, in modo particolare, alcuni degli argomenti-chiave su cui progettare un nuovo inizio. Una ripartenza è possibile attraverso processi culturali e di sistema che favoriscano la collaborazione locale tra terzo settore e pubblica amministrazione, incoraggiando l’integrazione di competenze e di ruoli. Altro importante fattore sarà la messa in dialogo di forme di attivazione dei cittadini e mondi associativi, sollecitando confronti e socializzazione di pensiero, disponibilità ed energie. Si insomma apre una stagione importante per ritessere i legami e le collaborazioni dentro ai territori, con ripensamenti anche radicali per il terzo settore, ingaggiando la sfida della ripartenza.

direttore di CSVnet Lombardia

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