Malesia, Sumatra: animali in fuga alla ricerca degli ultimi lembi di forestadi Massimiliano Rocco
Giorno dopo giorno, chilometro dopo chilometro, ettaro dopo ettaro la foresta in Malesia come in Indonesia, in Vietnam come in Laos, per citare solo alcuni Paesi, arretra, cede il passo, sparisce avanti all’avanzata dell’invasione delle piantagioni di acacia e palme da olio. È incredibile come lungo la costa occidentale della Malesia come al sud della stessa penisola malacca, oppure nell’est di Sumatra come al nord, la monotonia delle piantagioni stia cambiando la fisionomia del paesaggio, e non solo quella, stia impoverendo la vita, stia cancellando la diversità. In un’ora di macchina da Kuala Lampur alla costa dorata, la famosa Golden coast, l’occhio scorge ai bordi della strada e per chilometri tutt’intorno palme e solo palme da olio, filare dopo filare, piantagione dopo piantagione. Si resta sbigottiti davanti a tutto ciò e viene da chiedersi dove sia finita la verde Malesia e ancora di più dove sia oramai quella ricca biodiversità che la abitava. Tigri e leopardi, elefanti e cervi sono sempre più spinti in quei lembi di foresta che sopravvivono, in quegli habitat accerchiati da queste nuove colture. Eppure se la guardassimo da un satellite quella stessa area apparirebbe verde, ci darebbe l’idea della foresta, ma non è così: le piantagioni sono povere di vita, ambienti aridi da cui questi animali fuggono.
Negli ultimi due decenni del ventesimo secolo, più di 300 milioni di ettari di foresta tropicale (un’area più estesa dell’India), sono stati diboscati per lasciare spazio a piantagioni (tra cui soia e palma da olio), agricoltura, pascoli, estrazione mineraria o sviluppo urbano. Altri 250-300 milioni di ettari probabilmente andranno incontro allo stesso destino nei prossimi 25 anni.
I processi di deforestazione sembrano inarrestabili nel Sud-Est asiatico. La metodica distruzione delle foreste di Sumatra ne ha compromesso oltre il 50%. Con l’aggravante che spesso il taglio avviene in maniera illegale: in alcune regioni dell’Asia sudorientale si stima che circa l’80% del totale degli alberi venga tagliato illegalmente.
Intervenire non solo è necessario ma doveroso ed è questo che WWF e Greenpeace – assieme ad un cartello di più di altre 40 associazioni ambientaliste – chiedono al mercato europeo, ai diversi operatori del settore. L’Italia è infatti uno degli attori principali, ma a fronte di responsabilità immense nelle importazioni e nel consumo di prodotti forestali provenienti da diverse aree del mondo poco viene realmente fatto. Manca totalmente una strategia di cooperazione con questi Paesi terzi al fine di promuovere la certificazione della gestione delle foreste nei Paesi d’origine e la sostenibilità del loro utilizzo.
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