Sostenibilità

Palma, soia, colza Se l’olio diventa un ecokiller

di Redazione

Immense piantagioni soppiantano foreste tropicali.
E fanno tabula rasa della biodiversità di intere regionidi Fulco Pratesi
Se leggete le etichette dei prodotti che acquistate al supermercato, vedrete che in esse, su merendine, biscotti, torte preconfezionate, grissini, panini all’olio, margarine, creme spalmabili, gelati, saponi, detersivi ecc, l’olio di palma (anche sotto la dizione di olio vegetale) è quasi sempre presente.
Ormai, con una produzione totale di 28 milioni di tonnellate annue, l’olio estratto dal frutto della palma Elaeis guineeensis ha soppiantato i suoi più diretti concorrenti, l’olio di soia e quello di colza.
La ragione della sua sempre crescente diffusione sta nel suo prezzo. Se sul mercato mondiale l’olio di girasole vale 923 euro a tonnellata, quello di colza 835, quello di soia 833, quello estratto dalla palma originaria della Guinea è di soli 786 euro a tonnellata. Quei 67 euro in meno fanno sì che, in un mercato sempre più globalizzato, esso detenga il record delle vendite.
Pur se i dietologi ammoniscono che l’olio di palma, con l’olio di cocco, è tra i meno salubri per l’alto contenuto di grassi dannosi alle arterie, i danni maggiori legati all’uso di questo prodotto sono a carico dell’ambiente. La distruzione di foreste e torbiere tropicali, soprattutto in Indonesia, Malesia e Papua Nuova Guinea, ma anche in Costa d’Avorio e Uganda, per ricavarne immense colture, oltre a danneggiare la preziosa biodiversità di questi Paesi (prime vittime gli oranghi del Borneo e Sumatra), influisce negativamente sul clima globale. E l’incremento del suo uso per ricavare energia (biomasse e biodiesel) non farà che aggravare la già tragica situazione.
Olio di soia
Anche se l’olio di soia non produce effetti negativi sulla salute, la sua rapidissima espansione è responsabile indiretta della distruzione della foresta amazzonica. Il fatto è che, pur non richiedendo terreni ottenuti diboscando, la sua enorme diffusione (anche purtroppo con varietà transgeniche) toglie, grazie agli acquisti terrieri delle multinazionali, terreni e spazi alle colture tradizionali, spingendo i coltivatori più poveri a invadere le foreste con il bestiame e le coltivazioni. Oltre che nei mangimi per il bestiame, la soia è sempre più impiegata nella produzione di biodiesel, incentivando in maniera geometrica la sua coltura a danno della biodiversità.

Olio di colza
L’olio più costoso e meno diffuso è quello di colza. Per quest’olio prodotto con i semi di varie Crucifere in Paesi a clima temperato, dalla Cina al Canada, non vi sono controindicazioni alimentari a parte il contenuto di acido erucico, dannoso al cuore se usato senza limiti. Pur se ottimo per il biodiesel (addirittura qualcuno lo adopera tal quale), se coltivato per supplire in maniera massiccia alla scarsità di combustibili fossili, anche per evitare gli inquinamenti atmosferici, presenta i problemi di tutti gli altri carburanti vegetali.
Spesso, infatti, soprattutto ai nostri climi, il costo energetico della coltura, in termini di lavorazione del terreno, uso di pesticidi e fertilizzanti ricavati dal petrolio, energia per la raccolta, l’immagazzinamento e i trasporti, supera la quantità d’energia sviluppata. Oltre alla concorrenza alle colture alimentari.

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