Politica
Palma, Garante diritti detenuti: «Il carcere è assente dai programmi elettorali»
In questa campagna elettorale, nonostante i dati gravissimi sui suicidi - 59 nei primi otto mesi dell’anno, più del totale dei dodici mesi del 2021 -, a cui si aggiungono 19 decessi “per cause da accertare” -, il silenzio su questo mondo è pressoché assoluto. Ed è per questo che il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, ha lanciato un appello a tutti i partiti politici e ai loro leader
di Luca Cereda
Nonostante siano 110 i morti nelle carceri italiane di cui – a oggi – 59 suicidi in soli 8 mesi e spicci di quest'anno, il carcere è il grande assente della campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre. Anche se il fatto che il carcere – così come temi importanti, a partire dal contrasto alla criminalità organizzata – non sia un tema da campagna elettorale non è certo una novità.
“Il carcere – si legge nell’appello di Mauro Palma, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale – è assente non solo perché porta pochi voti e scarsi consensi, ma richiede anche uno sguardo ampio e prospettico capace di superare la tendenza di gran parte dell’attuale dibattito politico a guardare solo all’immediato”. Nell’appello il Garante nazionale invita con forza le forze politiche e i candidati “a mettere al centro dei loro programmi il tema dell’esecuzione penale, non per proporre facili e talvolta vuoti slogan di bandiera ma per affrontare concretamente i problemi”.
L’appello del Garante chiede ai partiti un deciso cambio di rotta, liberandosi dello scontro ideologico e ragionando in termini di utilità e funzionalità, nel quadro delineato dalla nostra Costituzione. Uno spunto di riflessione per una finalità che secondo il Garante deve essere comune: ovvero che il carcere sia un luogo adeguato per chi vi opera e funzionale per chi vi è ristretto, che dia la possibilità a tutti di tornare nella società.
Il Garante nazionale ritiene che alcune criticità del sistema possano trovare risposte comuni, su almeno quattro punti, al di là delle diversità di idee sul carcere. Proposte che non possono non trovare spazio nel dibattito preelettorale, nei programmi e negli impegni dei partiti e delle coalizioni.
Il Garante nazionale ritiene che alcune criticità del sistema possano trovare risposte comuni, al di là delle diversità di idee sul carcere. Risposte e proposte che non possono non trovare spazio nel dibattito preelettorale, nei programmi e nelle proposte e negli impegni dei partiti e delle coalizioni.
1. Un impegno dei Comuni e dei territori ad aprirsi per istituire delle strutture di controllo e di accoglienza, con il supporto e la responsabilità, in primo luogo, dei sindaci rivolte a quell’area di popolazione detenuta con pene brevi e scarsissime se non nulle risorse sul territorio. Una popolazione che è espressione di una minorità sociale.
Persone che devono scontare pene molto brevi e che, per il tipo di reati lievi commessi, non rappresentano certo un elemento di pericolosità. Una presenza che parla di povertà declinata in ogni forma e dell’assenza di un territorio capace di intercettare le contraddizioni e le difficoltà, affidando la loro soluzione all’ambito penale.
Oggi, infatti, sono in carcere 1.301 persone che hanno avuto una pena inferiore a un anno mentre altre 2.567 hanno una condanna compresa tra uno e due anni: quasi 4 mila persone per cui il carcere non può far nulla: è troppo poco tempo per poter costruire un reale percorso di conoscenza e di riabilitazione, ma è abbastanza per cucire addosso alla persona detenuta uno stigma che ne pregiudica spesso un effettivo reinserimento sociale. In questi casi il rischio è che il carcere sia inutile in partenza e aggravante in uscita. L’alto numero di suicidi che avvengono poco dopo l’inizio della detenzione – a volte nelle prime 24/48 ore – e quelli che avvengono a ridosso della fine ne sono un tragico effetto.
Non solo, ma un intervento progettuale in tale direzione ridurrebbe la pesantezza dell’attuale sovraffollamento che caratterizza gli attuali Istituti detentivi con grave danno di chi in essi lavora, opera e di chi vi è ospitato.
2. Un investimento culturale massiccio sull’istruzione e sulla formazione all'interno delle carceri: su quasi 55mila detenuti ce ne sono 1.200 che frequentano l'università ma anche 900 italiani e analfabeti.
Nell’anno scolastico 2021-2022 erano 3006 le persone detenute – italiane e non – iscritte a un corso di alfabetizzazione e 3.385 al primo livello di scolarità. Sono 476 le persone che si sono diplomate in carcere nel 2021. Numeri importanti, ma ancora inadeguati rispetto al bisogno che dal carcere si esca almeno con uno strumento più efficace e certificato che aiuti a comprendere il presente e a rendersi responsabile della propria vita.
La cultura e la formazione svolgono all’interno delle carceri un ruolo centrale nel favorire il percorso di responsabilizzazione e reinserimento delle persone detenute. Sono lo strumento potente di promozione della persona, un veicolo per un ritorno positivo alla collettività, una premessa per un possibile inserimento lavorativo successivo al periodo di forzata distanza dal contesto sociale.
3. Una immissione importante di professionalità in carcere al fine di potenziare tutti i percorsi di connessione con il mondo esterno.
È necessaria una maggiore presenza di operatori sociali: quelli con profilo professionale attuale e quelli con un profilo professionale più adeguato alle connotazioni del presente. Figure che parlino all’oggi e che costituiscano un approccio pluridisciplinare al tema, difficile, di come garantire un ritorno alla realtà sociale diverso da quello che si è lasciato entrando. Più figure di tipo educativo, di supporto psicologico, di mediazione culturale, di supporto sociale e anche di aiuto alla comprensione tecnologica della realtà attuale, anche perché senza questa dimensione ben difficile sarà la possibilità di un positivo ritorno alla realtà esterna. Personale, quindi, chiamato a svolgere compiti essenziali, che oggi vengono a volte ricoperti dalla Polizia penitenziaria che, oltre al ruolo di sorveglianza, finisce per farsi carico di altri tipi di problemi per i quali non può essere preparata e su cui ricade una incongrua responsabilità. È un investimento necessario all’interno del carcere che restituisce sicurezza ai territori.
4. Una maggiore assunzione di responsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale che in carcere svolge una funzione complessa e impegnativa.
Un investimento per una maggiore capacità di presa in carico socio-sanitaria delle persone detenute, in stretta connessione con i servizi sanitari del territorio è un obiettivo non rinviabile. Il tema di come affrontare le difficoltà comportamentali che spesso la vita reclusa porta con sé o il disagio psichico soggettivo e di come entrambi si acuiscano in una situazione degradata non può essere relegato soltanto a riflessioni in convegni senza trovare corrispondenza nel miglioramento delle condizioni di chi nella quotidianità del carcere vive o lavora.
“Sono alcuni punti su cui è possibile trovare convergenza – conclude il Garante nazionale -, fermo restando l’impegno civile di tutti a che il nostro Paese possa comunque avere a breve strutture detentive materialmente adeguate alla sua tradizione democratica”.
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