Welfare

Palestinesi uccisi da Palestinesi

Già 28 palestinesi sono morti nelle prigioni dell'Autorità nazionale palestinese. Ma di questi casi pochi parlano

di Paolo Manzo

Il dottor Gassan Wahba ha saputo immediatamente quello che era successo a suo fratello maggiore Alaa, quando gli infermieri gli hanno portato il corpo che avevano tirato fuori dall’obitorio dell’ospedale Nasser di Jan Yunes, nella Striscia di Gaza. Il cadavere presentava ematomi sul torace, la schiena, le spalle, le mani ed aveva escrementi all’interno delle cosce. “Hanno torturato mio fratello fino ad ammazzarlo”, ha detto il dottor Wahba, con uno sguardo carico di rabbia. Per lui, i torturatori sono gli uomini dei servizi di sicurezza palestinesi che hanno “fermato” Alaa per quattro giorni, prima di annunciarne il decesso il 22 ottobre scorso, affermando che si era impiccato nella sua cella. Ma questo caso è solo l’ultimo di una serie di morti difficilmente spiegabili dalla nascita dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), nel 1994. 28 palestinesi sono morti nelle prigioni dell’Autorità nazionale palestinese, cinque da quando è cominciata la seconda Intifada 13 mesi fa, secondo i dati in possesso di Bassam Eid, direttore del Palestinian Human Rights Monitoring Group, associazione indipendente per la difesa dei diritti umani. “La cultura dei diritti umani non si è mai imposta all’interno della comunità araba”, rileva Eid, la cui associazione s’incarica di vigilare sul rispetto dei diritti umani in Israele e nei territori palestinesi. “Disgraziatamente, in Medio Oriente si conosce solo l’uso della forza bruta”. E continua, “Da quando è iniziata la seconda Intifada, l’Anp ha assassinato due palestinesi accusati di collaborazione con l’Israele e ne ha condannati a morte altri quattro, con l’accusa di avere passato informazioni segrete ad Israele”. La morte di Alaa Wahba, ufficialmente sospettato di collaborazionismo con Israele, è attualmente oggetto di un’investigazione ordinata da un pubblico ministero locale. Di contro l’Anp sostiene la tesi del rapporto medico, secondo cui Alaa si sarebbe impiccato con una corda legata ad una crepa della porta della sua cella. “Vogliamo la verità, vogliamo sapere chi lo ha ammazzato”, si dispera suo fratello in una dichiarazione all’Afp. Questo caso ha provocato manifestazioni a Jan Yunes e la famiglia di Alaa si è rifiutata di seppellirlo per molti giorni. Poi il presidente palestinese Yasser Arafat ha annunciato che Alaa sarà considerato alla stregua di un martire dell’Intifada, e non come un collaborazionista. Arafat ha anche ordinato all’Autorità nazionale palestinese che continui a pagare alla famiglia lo stipendio di Alaa (che faceva il bidello in una scuola). Secondo la sorella Abir, Alaa è “stato arrestato a casa sua il 18 ottobre da poliziotti che ci dissero di volerlo interrogarlo su un prestito che gli avrebbe concesso una banca locale”. Alaa aveva sollecitato due prestiti per il matrimonio di suo fratello, celebrato una settimana prima della sua morte. La famiglia non ricevette più sue notizie fino al 23 di ottobre, giorno in cui Ghassan fu informato dai servizi di sicurezza che suo fratello era stato arrestato per collaborazionismo con Israele e che si era poi tolto la vita in carcere. “Appena dopo averlo torturato ed ammazzato, i poliziotti hanno inventato l’accusa di collaborazionismo, per giustificarsi”, dice convinta Abir. Secondo i servizi di sicurezza palestinesi, Alaa si è impiccato dopo essere stato messo di fronte a prove concrete del suo collaborazionismo con Israele. “Una morte simile anche quella di Imad Mohammed Amin al-Bizreh, che avvenne nella città di Nablus (in Cisgiordania), il 10 agosto scorso. I servizi di sicurezza locali lo avevano accusato di collaborazionismo e avevano detto che si era ammazzato nella sua cella. Non venne mai autorizzata alcun’autopsia”, spiega Eid. “L’Autorità nazionale palestinese concesse lo status di martire ad Imad al-Bizreh, solo dopo che la sua famiglia inoltrò accusa formale di tortura ed omicidio”, prosegue Eid. “L’Anp dice di avere punito le persone responsabili di quelle morti, ma non siamo sicuri, non abbiamo nessuna prova”, conclude sconsolato Eid.


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