Formazione

Palestinesi, la vita senza via di uscita

Striscia di Gaza, così i cooperanti italiani si stanno impegnando per aiutare un popolo che vive da assediato a casa sua. Il racconto di Alessandro Digaetano

di Redazione

La giornata comincia presto a Rimal, uno dei quartieri di Gaza; rappresentanti di Echo, della Comunità Europea e di una Ong italiana, l?unica presente a Gaza, si dirigono a bordo di due auto verso un altro quartiere: Mauasi. Bisogna verificare la congruenza del progetto di emergenza della ong sui beneficiari, tra cui, appunto, alcune famiglie di Mauasi. Intorno scorrono le abitazioni palestinesi che leggi israeliane vietano di innalzare oltre i due piani. Sono in cemento, spesso senza intonaco, con i pilastri in filo di ferro che tendono al cielo per un futuro piano che un giorno forse verrà. Il primo contatto con la quotidiana realtà palestinese è a Deir El Balah. Sotto il sole cocente, una lunga fila attende di passare un check-point israeliano. Serve a proteggere un insediamento israeliano semivuoto e la strada, diretta, che lo collega a Tel Aviv. Una strada che può essere percorsa solo dai coloni. Al check-point un semaforo crea una fila di quasi un chilometro che si muove lenta e rassegnata. Alle volte si ferma decisamente perché devono controllare chi passa, oppure perché nella adiacente strada per i soli coloni sta transitando una vettura. E in questo caso la strada deve essere sgombra.
Intorno alla garitta militare è stato abbattuto tutto nell?arco di cinquecento metri. Case, palazzine o campi coltivati sono passati sotto i cingoli delle ruspe per lasciare libera la visuale ai militari della stella di David. Resti di abitazioni costellano i campi intorno alla strada. Non si tratta di monconi di palazzi o pareti nude, sono proprio macerie: il blocco più grande sarà un metro per un metro. Anche le piccole serre e i campi coltivati sono finiti sotto la furia delle truppe israeliane. Gli abitanti sono stati spostati ai margini della spianata, in tende fornite dall?Onu. Quelli che sono rimasti, almeno. Rendere la vita impossibile affinché vadano via è l?obiettivo non dichiarato di questa guerra a bassa intensità. Finalmente la fila si muove. è passata un?ora e mezza.

Gracchia il megafono
La garitta di cemento armato, vetri antiproiettile e tenda mimetica, vaglia chi passa. Non si vedono soldati in giro. Sono chiusi nella loro piccola fortezza e dettano ordini da un megafono esterno che gracchia ?Jalla, Jalla? (vai, vai), oppure come ad un furgone più avanti, intima lo stop e ordina di aprire i portelloni posteriori per mostrare la merce.
Passato il semaforo si corre per un po? a fianco della strada dei coloni, separata da alti blocchi di cemento, a sancire con fermezza la separazione tra i due popoli. Il traffico intanto è svanito.
Il progetto di emergenza del Cric, mira al sodo. Qui non c?è lavoro. Uscire dai territori ed andare in Israele è difficile, faticoso e pericoloso. Vuoi per le file ad ogni check-point, vuoi per i documenti richiesti ogni volta, vuoi anche, perché è capitato, che qualche operaio o lavoratore rimanga sul selciato senza nessuna ragione stabilita. Così la situazione tesa spinge i palestinesi a non arrischiarsi in avventurosi spostamenti che possono essere vanificati da militari che, se va bene, si mostrano fin troppo zelanti e fiscali nei controlli dei documenti.
La proposta del Cric, accettata da Echo e dalla Ce, mira a consegnare pacchi dono a famiglie poco abbienti. Non è certo la consegna dei pacchi a dare spessore all?operazione, quanto l?utilizzo del materiale che compone il pacco (generi alimentari, di igiene e vestiario per bambini) fabbricati esclusivamente da palestinesi e distribuiti da mano d?opera locale. Per tre mesi migliaia di persone (più di 600 famiglie) saranno coinvolte nell?intervento. I beneficiari sono situati quasi tutti nella zona sud di Gaza: Deir El Belah, Qarara, Mauasi.
Entrare a Mauasi è difficile: benché sia una zona palestinese, in virtù della presenza di una scuola ebraica che serve tutti gli insediamenti di Gaza, è una zona B, come da accordi definiti dalle parti in causa: territorio palestinese sotto controllo militare israeliano. A tal guisa i permessi sono stati richiesti e rilasciati alle autorità arabo-israeliane competenti per permettere ai cooperanti l?ingresso e il lavoro.
In questo quartiere si può entrare solo da un paio di punti da Khan Yunis e a sud, da Rafah, ma questo è ormai sempre chiuso. A Kahan Younis si passa tra le solite macerie di case passate per le ruspe con le abituali tende di esterrefatti palestinesi che, magari, hanno lavorato una vita per gli israeliani, in Israele, per costruirsi sul proprio pezzettino di terra la casa, e se la sono vista buttar giù dalle ruspe o dalle cannonate per lasciare libera la visuale ai bunker israeliani. I pochi palazzi che sono rimasti in piedi sono gruviera disabitata.
Imboccando la discesa verso il mare che porta al check-point scorre a sinistra il muro, alto, di cemento, della scuola ebraica. Filo spinato ovunque. All?ingresso del campo snervanti soste attendono gli unici che vi hanno accesso: gli abitanti. Chi ha un parente all?interno non può andarlo a trovare, e se si manca per qualche tempo si rischia di non risultare più come residente. Un commerciante si è visto rifiutare l?ingresso perché erano giorni che non tornava al campo. Doveva vendere la merce a Deir El Belah, confessa allibito, e finché non l?ha venduta è rimasto dai parenti fuori dal campo. Ora terminata la merce, voleva tornare a casa dai familiari. Non è stato fatto entrare, non risultava più residente.

Giornate a rischio
Fa molto caldo. Aerei sorvolano continuamente i quarantacinque chilometri per sette della striscia di Gaza. Esplosioni lontane echeggiano tra la calma generale. I taxi vanno e vengono scaricando o caricando persone mentre un tubo dell?acqua lascia che il suo prezioso contenuto si perda tra i terrapieni difensivi delle impassibili, ispide di canne di mitra e fucili, garitte. Alcune studentesse escono con il loro grembiule celeste, il velo e i libri quando il megafono smette di gracchiare il suo ?jalla, jalla? e ordina ad una persona di cambiare posto.
Oggi non si passa però, a Mauasi. Non bastano i lasciapassare già concessi dalle autorità competenti. Da qualche giorno un nuovo ufficio, solo israeliano e non più arabo-israeliano, gestisce il passaggio in terra palestinese. Anche per gli aiuti internazionali, nonostante a questi non debba mai essere preclusa l?attività, come da accordi internazionali. L?attesa e le discussioni, per la cronaca, si sono trascinate per un paio d?ore.
Per i cooperanti rischia di essere una giornata persa. I progetti di Echo sono progetti di emergenza, della durata massima di sei mesi. La velocità di definizione ed intervento di un progetto sono alla base dei programmi di intervento, e un giorno perso può significare tanto. Ma giornate come questa non hanno nulla di speciale, sono routine, con calma si punta perciò ad altri beneficiari, nella zona di Qarara.

La maestra d?asilo
Oggi ci sono scontri in atto. Le ruspe stanno buttando giù delle case, riferiscono, mentre echeggiano colpi di pistola da un lato e di fucili dall?altro. Per la sicurezza dei cooperanti si decide di riparare altrove in attesa che la situazione si calmi. Dopo un?ora ecco i sobborghi di Qarara. I beneficiari sono un paio di famiglie e un asilo. Una prima famiglia è al limite di una spianata incolta e piena di detriti, macerie di quel che fu la loro palazzina, alle spalle del check-point di Deir el Balah, passato in mattinata. L?abbattimento della palazzina ha ridotto nelle tende i palestinesi anche qui. L?asilo ha invece appena chiuso, ma non tace l?insegnante dallo sguardo e dal sorriso radioso, Natisien. Racconta del padre di un alunno che è stato prelevato senza motivo nella notte e rilasciato il giorno successivo. Ora la notte vivono nel terrore che ritornino le divise verdi degli israeliani. Ovviamente la paura si è diffusa anche agli altri abitanti del villaggio. Il marito di Natisien invece lavorava in Israele, ma ora non può più uscire: è schedato. Basta poco qui per essere schedato, è sufficiente aver sventolato la bandiera sbagliata a una manifestazione. O abitare nel palazzo sbagliato, dove abitava qualcuno accusato di terrorismo.
Prima di chiudere la giornata Echo vuole incontrare un?ultima beneficiaria che abita poco lontano. Si chiama Salmà ed è ancora più vicina al chek-point di Deir El Belah. è un uragano, Salmà, trasuda energia: le hanno buttato giù la casa ed ?invitata? ad andar via. Lei, che è stata già per quattro volte profuga, è stanca, non ne vuole più sapere. Si muore solo una volta, dice, e se deve succedere, che succeda lì. Non ha marito continua, attorniata dai bambini del fratello, e quindi, aggiunge ironica, nessuno la piangerà. Si è rifiutata, non si è mossa e ha imposto la sua presenza lì. La Croce Rossa non le ha dato neanche la tenda e lei se ne è costruita una da sola. Gliel?avrebbe data solo se si spostava, perché lì, è la motivazione, è pericoloso. Con buon gioco per gli israeliani. Vuole resistere, Salmà e con l?allegria che ancora riescono a trovare i palestinesi, confessa che ogni notte due carri armati vengono lì per presidiare la garitta di Beir el Balah. Ora è al sicuro, ride, con quei carri vicino alla sua tenda, non la bombarderanno mai.

La striscia di Gaza, un fazzoletto di terra
? Un fazzoletto di terra di 360 kmq, circondata dal mare (40 km di costa) e dai confini con l?Egitto (11 km) e con Israele /51 km).
Nel luglio 2000, la Striscia era abitata da 1.132.000 palestinesi e da 6.500 coloni ebrei. Il 50 % della popolazione è sotto i 14 anni, e solo il 3% supera i 65. Il tasso di mortalità infantile è del 25 per mille, mentre il tasso di fertilità femminile è di 6,55 bambini per donna, con un tasso di crescita della popolazione del 3,97%.

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