Politica

PALESTINA. Accordo tra Hamas, Fatah e le altre 12 fazioni

E' di portata storica l'intesa raggiunta nella serata di giovedi 26 febbraio nei colloqui in atto a Il Cairo. "Uniti per un governo di transizione e per un nuovo inizio senza lotte interne, per il bene dei palestinesi", dicono i leader

di Daniele Biella

Un accordo insperato. È quello siglato giovedì sera 26 febbraio 2009 da tutte le 14 fazioni palestinesi, Hamas e Fatah in primis, presenti al tavolo di dialogo promosso a Il Cairo dal governo egiziano. “Abbiamo raggiunto un’intesa che come primo effetto porterà a un governo palestinese di transizione”, ha spiegato il leader di Hamas presente al tavolo, Mussa Abu Marzuq. “Un governo che durerà fino alle prossime elezioni parlamentari e presidenziali”, per le quali non c’è ancora una data ma che “si faranno presto”.

Dopo due anni di caos istituzionale e guerre interne per il potere, che hanno di fatto spaccato i Territori palestinesi in due zone a sé (Gaza governata dall’integralista Hamas, la Cisgiordania dal moderato Fatah, nonostante alle passate elezioni la popolazione aveva scelto il partito fondamentalista), arriva una notizia positiva almeno a livello politico, soprattutto in vista della Conferenza dei donatori per la ricostruzione di Gaza, che si tiene il prossimo 2 marzo sempre in Egitto.

“Sarà un governo tecnico, in cui tutte le fazioni concorderanno ai lavori”, ha aggiunto Ahmad Qurei, il capodelegazione di Fatah al meeting egiziano, “i primi compiti sono stati suddivisi tra cinque commissioni, che dal 10 marzo lavoreranno autonomamente per dieci giorni, dopo i quali le loro decisioni verranno subito messe in pratica”. Le commissioni sono: riconciliazione nazionale, governo di unità, ricostruzione degli apparati di sicurezza, riforma dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina ed elezioni legislative e presidenziali.

L’impressione che si faccia sul serio arriva anche dal commento di uno dei leader palestinesi più moderati, Mustafa Barghouti, leader del Pni, Palestinian national iniziative, che nelle ultime elezioni presidenziali del 2005 aveva preso quasi il 20% dei voti: “Ora più che mai tutte le fazioni sono unite, e assieme confronteremo ogni problema, a cominciare dai rapporti con Israele”. Anche i partiti più fondamentalisti, fino al recente passato ostili a qualsiasi collaborazione con Fatah, ritenuta troppo corrotta e influenzata dall’estereo (dagi Stati uniti in primo luogo), hanno espresso apprezzamento per l’accordo: “Passiamo dalla lotta per il potere al dialogo”, ha detto Bassam As-Salhi del Ppp, Palestinian people party, mentre per Ziad Nakhalah, leader dell’estremista Islamic Jihad, addirittura “si è aperto un varco nel muro delle singole fazioni, è un nuovo inizio per risolvere i problemi dei palestinesi”.

Comunque vada a finire, l’accordo del 26 febbraio rappresenta un notevole cambio di rotta per la politica interna palestinese, ancora lacerata dalla recente guerra a Gaza e dalle accuse reciproche sulle responsabilità. Nel frattempo, a 40 giorni dalla tregua, a Gaza non smettono i bombardamenti israeliani, che nella notte tra giovedì e venerdì hanno preso di mira la periferia di Rafah, cittadina palestinese al confine con l’Egitto: l’obiettivo dichiarato era la distruzione dei tunnel che permettono il passaggio di beni di consumo e armi tra la Striscia e il territorio egiziano. Tunnel che, distrutti per l’80% durante i bombardamenti d’inizio 2009, sono già stati in parte ricostruiti e riattivati.

 

 

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