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Pakistan, martirio annunciato

Crivellato di colpi il ministro cristiano Shahbaz Bhatti

di Franco Bomprezzi

Una notizia terribile, schiacciata in molti giornali dalla contemporanea pressione dei fatti libici e del voto sul federalismo: ma per noi, oggi, il fatto in primo piano è il barbaro assassinio del leader cristiano Shahbaz Bhatti, avvenuto in Pakistan. Un ministro che esce di casa senza scorta, e viene trucidato, vittima del fanatismo.

“Il ministro indifeso nel Pakistan dei fanatismi” è il titolo a una colonna di spalla, in prima, del CORRIERE DELLA SERA, che racconta i fatti a pagina 17, ma ospita, a partire dalla prima, un pezzo di Andrea Riccardi. Intanto la notizia: il ministro per i Problemi delle minoranze del Pakistan, il cattolico Shahbaz Bhatti, è stato ucciso da un commando armato in un attentato a Islamabad. Crivellato con 30 colpi, Bhatti, 35 anni, era stato appena confermato nell’incarico dopo un rimpasto di governo, nonostante le pressioni dei gruppi fondamentalisti islamici. Sono stati trovati volantini dei talebani pakistani del Punjab sul luogo dell’attentato. Da una prima ricostruzione, Bhatti era da poco uscito di casa con la sua auto e senza scorta quando da una vettura bianca gli sono stati sparati una trentina di colpi. L’auto degli attentatori si è immediatamente allontanata. L’attentato è avvenuto nei pressi del mercato di un quartiere residenziale della capitale. Bhatti è deceduto durante il trasferimento in ospedale. “Pakistan, il martirio del ministro cristiano” è il titolo a tutta pagina della ricostruzione dell’accaduto, a firma di Cecilia Zecchinelli. Andrea Riccardi, della comunità di Sant’Egidio, dopo aver spiegato con grande chiarezza la realtà religiosa del Pakistan, e il peso delle singole minoranze, scrive: “Avrei dovuto incontrarlo – l’appuntamento era già preso – proprio domani a Islamabad. Era venuto a Roma nel settembre scorso. Colpiva per la serenità e il coraggio, nutrito da profonde convinzioni cristiane. Bhatti si era molto esposto, parlando forte contro i pogrom anticristiani. Su altre vicende, come quella di Asia Bibi, consigliava meno clamore mediatico per alleggerire la reazione musulmana. Univa alla tenacia un’intelligenza della situazione pakistana. Il dialogo con parecchi leader musulmani era una sua priorità. Bisognava far accettare i cristiani dall’Islam come parte della nazione. Ieri è morto senza alcuna difesa. E’ una sconfitta non solo per i cristiani. La convenienza politica spinge il governo a non proteggere le minoranze in modo fermo. Ma proteggerle è difendere la libertà di tutti. Prima il totalitarismo islamico colpisce i pochi cristiani; poi arriva l’ora degli altri, magari musulmani, colpevoli solo di non volersi piegare”. A piede di pagina il testamento spirituale di Bhatti, un brano toccante. “Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo – aveva scritto il leader pakistano assassinato ieri – Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora, in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati dal Pakistan, Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita”.

Alla morte del ministro pakistano, LA REPUBBLICA dedica un solo pezzo, a pagina 9: «proteggere i perseguitati non era solo il suo lavoro, per Shabhaz Bhatti, ministro delle Minoranze religiose, era una vocazione da seguire a qualsiasi prezzo».  «Solo poche settimane fa», prosegue Valeria Fraschetti, «lo aveva ribadito di fronte alle telecamere: “preferisco morire per la giustizia delle minoranze piuttosto che compromettere i miei principi”. Una morale di granito che gli è costata la vita». È stato ucciso ieri, fuori dalla casa della madre, a Islamabad. A rivendicare l’omicidio, i miliziani di Tehrik-i-Taliban Punjab: «Continueremo a colpire chi si oppone alla legge che punisce chi insulta il Profeta». Bhatti, 43enne appena riconfermato al dicastero, si era schierato a favore della revisione della pena inflitta a Asia Bibi, la donna cristiana madre di 5 figli, condannata a morte perché accusata di blasfemia. La Santa Sede ha condannato l’omicidio come «un fatto di violenza di terribile gravità».

Sull’assassinio di Bhatti scrive su IL GIORNALE Mario Mauro, presidente dei deputati PdL al Parlamento europeo che  ha conosciuto l’uomo politico. Sotto al titolo “Morto da martire il paladino dei cristiani perseguitati” Mauro ricorda che: «Bhatti aveva appena accettato l’invito a partecipare alla prossima edizione del meeting di Rimini. Avrebbe raccontato la su esperienza di Ministro Federale per le minoranze religiose, carica che in Pakistan esiste dal 2008, le sue opere di riforma di un sistema statale che è completamente fondato sulla primizia della religione islamica». «Grazie a lui dal novembre 2008 il governo pakistano ha introdotto una quota del 5% per le minoranze nel settore dei posti di lavoro a livello federale. È riuscito a predisporre dei seggi per i gruppi di minoranza in Senato, anche per le rappresentanze femminili, si è impegnato affinché venisse posta in essere  una rete di comitati locali per l’armonia religiosa. Bhatti era riuscito a far assumere al Primo ministro pakistano l’impegno di concedere i diritti di proprietà  agli abitanti delle baraccopoli di Islamabad che appartengono al gruppi di minoranza. Grazie a lui il Pakistan stava incominciando a considerare seriamente la possibilità di eliminare le norme giuridiche note come leggi sulla blasfemia. Mauro conclude: « il sacrificio di questo uomo straordinario non può passare inosservato all’interno delle istituzioni europee  presso i Governi occidentali. Mentre in questi mesi l’Unione Europea ha perso tempo a discutere dell’inclusione o meno della parola “cristiani” nei propri deboli documenti di condanna, i cristiani continuano a essere massacrati brutalmente».

Su IL MANIFESTO per trovare la notizia dell’uccisione di Shahbaz Bhatti occorre arrivare a pagina 9 dove l’articolo apre la pagina con il titolo «Islamabad, un ministro ucciso. I Taleban rivendicano». Scrive Marina Forti: «Un altro omicidio politico in pieno giorno nella capitale pakistana Islamabad. Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze del governo federale pakistano, è stato ucciso ieri mattina a colpi di kalashnikov mentre viaggiava sulla sua auto. Bhatti era l’unico ministro cristiano – quindi appartenente a una delle minoranze più vulnerabili in Pakistan. (…)» Nell’articolo si analizza la situazione del Pakistan, viene ricordata la condanna di Aasia Bibi per blasfemia, l’uccisione del governatore del Punjab di due mesi fa e conclude: «Il Pakistan sembra dunque sempre più ostaggio delle forze della destra religiosa – e non solo delle sue frangia estrema che va sotto la sigla di “movimento dei Taleban pakistani”, Tehrik-e-Taleban Pakistan. Ieri su internet molti hanno ripreso il video di un’intervista in cui il ministro Bhatti (anche lui del Partito popolare) accusava i Taleban e al Qaeda: “Vogliono imporre in Pakistan la loro filosofia radicale, e minacciano chiunque si opponga a loro. Mi minacciano perché conduco questa campagna contro la legge della Sharia e per l’abolizione della legge antibestemmia, e perché difendo gli oppressi e marginalizzati, i cristiani perseguitati e ogni minoranza. … Sono pronto a morire per una causa”».

«Assassinato il difensore dei cristiani in Pakistan». La notizia ha un richiamo in prima e trova spazio a pagina 12 de IL SOLE 24 ORE. L’articolo è di Antonella Scott: «Shahbaz Bhatti aveva preannunciato la sua stessa morte. “Conosco il significato della Croce – aveva detto in un’intervista quattro mesi fa – seguirò la Croce. Le forze della violenza, i talebani e al-Qaeda vogliono imporre sul Pakistan la loro filosofia radicale. Mi hanno minacciato, ma sono pronto a morire per difendere i diritti delle minoranze. Preferisco morire per i miei principi, piuttosto che accettare compromessi”». Dopo il suo assassinio la situazione si fa ancora più difficile in Pakistan: «Sherry Rehman, la deputata che lo scorso anno ha presentato in Parlamento la proposta di modifica alla legge sulla blasfemia, è stata costretta dal suo stesso partito a far marcia indietro. Ora vive semi-nascosta, riceve minacce per telefono e e-mail ogni mezz’ora. Ma il governo del Pakistan ha abbandonato la battaglia, ha comunicato che non sosterrà la riforma nella speranza di spegnere le fiamme dell’estremismo. E questo rende ancora più disperata e “inqualificabile”, come ha detto il Vaticano, la morte di Shahbaz Bhatti. La sua causa era già perduta».

Sul quotidiano on line IL SUSSIDIARIO c’è una bella intervista a Rufin Anthony, vescovo di Islamabad, la città dove il ministro per le minoranze religiose, Shahbaz Bhatti, è stato ucciso.  «L’esecutivo di cui faceva parte ha fatto il possibile perché non fosse ucciso? Anthony: “Purtroppo Shahbaz Bhatti ha commesso la leggerezza di uscire di casa senza la scorta. Ma le autorità gli avevano fornito gli agenti sufficienti per difendersi. E se appena è possibile, il governo protegge sempre le chiese e gli altri edifici cattolici. Ma gli stessi ministri musulmani non sono al sicuro da attentati, e sono costretti a girare con le guardie del corpo”».  «Per un cristiano pakistano è pericoloso pregare e andare a messa? Anthony: “Qui nessuno ha paura di niente. Dopo gli attentati, come quello contro il ministro Bhatti, la gente viene in chiesa molto più numerosa che non nei momenti «normali». Più ci attaccano, e più le messe sono affollate, perché le persone sentono di avere bisogno di Dio, che è l’unico che ci può proteggere”». Ha paura per la sua vita? “Non ho nulla di cui temere. Un giorno o l’altro dovremo morire tutti”.

“Spezzata la voce dei deboli” è il titolo di apertura di AVVENIRE sull’assassinio del ministro per le minoranze Shabhaz Bhatti, unico membro cristiano del governo pachistano ucciso da un commando di terroristi. In prima, oltre a una sua foto emblematica dietro una grande croce di pietra, anche un passo del suo testamento, datato 12 febbraio: «La mia battaglia continuerà, nonostante le difficoltà e le minacce che ho ricevuto. Il mio unico scopo è difendere i diritti fondamentali, la libertà religiosa e la vita stessa dei cristiani e delle altre minoranze religiose. Sono pronto a ogni sacrificio per questa missione, che assolvo con lo spirito di un servo di Dio. Ora vi è ancora molto lavoro da fare, dobbiamo affrontare sfide molto serie come quella della blasfemia. Cercherò di testimoniare, nel mo impegno, la fede in Gesù Cristo». Anche l’editoriale, firmato da Fulvio Scaglione, parla dell’assassinio di Bhatti. La tesi è che “Non capire è impossibile”. Scrive Scaglione: «Chi difende Asia Bibi muore. Ai primi di gennaio, in Pakistan, era stato assassinato Salman Taseer, il governatore del Punjab che aveva presentato una richiesta di grazia a favore della donna cristiana, madre di cinque figli, arrestata nel 2009 e condannata a morte nel 2010 per il reato di blasfemia. Adesso la violenza dell’estremismo islamico si è abbattuta su Shabhaz Bhatti, il ministro per le Minoranze che proprio a partire dal caso di Asia Bibi aveva avviato una battaglia per la riforma della legge sulla blasfemia… La persecuzione dei cristiani in oltre 60 Paesi del mondo è un’innegabile realtà e il Pakistan (la “terra dei puri”, la Repubblica islamica nata nel 1947 per accogliere i musulmani del subcontinente indiano) dimostra che ha un nocciolo politico. … Le teste e le mani che hanno armato gli assassini del ministro Bhatti sono nella North East Frontier Province, l’area del Pakistan che confina con l’Afghanistan e si è trasformata nel santuario del fondamentalismo. Si muore in Afghanistan perché la regione non vada in pezzi, quindi anche perché il Pakistan (Paese dotato di armi atomiche) non diventi il nuovo centro propulsivo del fondamentalismo islamico. Cosa che avverrebbe se il fragile governo democratico del premier Raza Gilani e del presidente Ali Zardari fallisse o cadesse. Per Asia Bibi e contro Osama Bin Laden, la battaglia è la stessa. Prima lo capiremo, più facile sarà ottenere risultati positivi». A pagina 5 la cronaca e un ricordo di padre Bonnie Mendes, coordinatore di Caritas-Asia intitolata “Mi aveva detto: tornerai in chiesa per i miei funerali”: «Era sotto tiro e lo sapeva, tuttavia aveva da tempo rinunciato a cedere alla paura e alle intimidazioni. La sua fine è una chiamata ad agire». In Pakistan, su una popolazione di 85 milioni di abitanti, al 96% musulmani, i cristiani sono circa il 2% e fra questi i cattolici sono poco più di un milione, discriminati in ogni settore. Tra le reazioni in Italia, riportate a pagina 7 di AVVENIRE, quella del ministro Frattini che parla di “Europa codarda” e sostiene «Adesso quell’Unione che rifugge dal sanzionare il fondamentalismo religioso verserà le sue lacrime di coccodrillo».  E l’associazione Italia-Pakistan, che raggruppa parlamentari di quasi tutti i partiti, chiede passi diplomatici e gesti simbolici di condanna.

Da segnalare su LA STAMPA un bell’articolo di Francesca Paci a pagina 17, con richiamo in prima pagina, che ricostruisce il profilo del giovane ministro ucciso in Pakistan e della sua lotta per la libertà religiosa, non solo dei cristiani, ma di tutti i pakistani. «La legge sulla blasfemia era la sua ossessione» scrive LA STAMPA. Introdotta  dai britannici nel 1927 per punire «gli atti che deliberatamente offendono i sentimenti religiosi» viene mantenuta dal fondatore della Repubblica islamica del Pakistan Mohammad Ali Jinnah. Via via è stata caricata di postille tutt’altro che irrilevanti tra cui l’ergastolo per il reato di profanazione del Corano e la pena di morte per blasfemia, datata 1986. «All’epoca Shahbaz Bhatti era un adolescente sbarbato ma sufficientemente consapevole da impegnarsi nelle campagne per i diritti delle minoranze e cogliere lo scarto tra i dieci casi di blasfemia portati in tribunale tra il 1927 e il 1985 e gli oltre quattromila del 1986». Con la sua uccisione esce alla ribalta lo spettro del fanatismo, sotterraneo e sempre presente negli ultimi anni in Pakistan: con una media di un cristiano ucciso o arrestato ogni mese, il Paese occupa l’undicesimo posto della World Watch List 2011, la classifica delle persecuzioni ai cristiani realizzata ogni anno dall’associazione Porte Aperte.

E inoltre sui giornali di oggi:

FEDERALISMO
IL MANIFESTO – Il richiamo in prima sul sì al fisco municipale con la sottolineatura della richiesta da parte di Calderoli di quattro mesi in più per il federalismo, permette al MANIFESTO di scegliere la chiave di lettura della giornata politica di ieri: «Lega e Fini allontanano le elezioni», è questo il titolo del richiamo che ha come fotografia Bossi. Gli articoli sono alle pagine 4 e 5 che si aprono con il titolo «La resa del palazzo» e dove il sommario spiega: «Il presidente della camera si prepara a mandare in aula il conflitto di attribuzioni su Ruby. “Prima ci sarà una attività istruttoria” precisa, ma è già pronto a cedere sulla richiesta di Berlusconi. Prolungando la vita al governo. Anche la Lega non pensa più alle urne: 4 mesi in più per il federalismo». L’articolo dedicato al Federalismo «Il Cavaliere verde incassa la fiducia» sottolinea che: «I sì sono ancora pochi: la risoluzione sul federalismo fiscale municipale, sulla quale il governo aveva chiesto la fiducia, passa nell’aula della camera con 314 voti a favore (la maggioranza assoluta è di 316). Ma Silvio Berlusconi non si demoralizza, anzi. Si tiene nel taschino il fazzoletto verde infilatogli da Roberto Maroni e sorride entusiasta mentre sui banchi i leghisti sventolano le bandiere verdi e i vessilli delle regioni del nord e urlano “Bossi, Bossi” per poi andare a brindare. (…)».

IL SOLE 24 ORE – «Dopo 112 giorni di repliche ininterrotte la pièce sul fisco municipale esce dal cartellone dei lavori parlamentari e si avvia a Palazzo Chigi», scrive Eugenio Bruno a pagina 4. «Condurre in porto il testo che, dal 2011, istituisce la cedolare secca sugli affitti e sblocca l’addizionale comunale all’Irpef mentre, dal 2014, introduce l’imposta municipale sugli immobili (Imu) al posto dell’Ici è stato tutt’altro che semplice», spiega il quotidiano. Mentre in un articolo più breve si dà spazio all’opposizione: «Il Pd denuncia la stretta sulle onlus». La riforma sarebbe una «stangata» per le organizzazioni non lucrative che se «dovessero acquistare beni per lo svolgimento delle proprie attività si vedranno applicare un imposta di registro del 9% sul valore del bene, rispetto ali attuali 168 euro». E in un commento in prima pagina Massimo Bordignon fa notare che «sulla sanità occorre un federalismo bipartisan».

AVVENIRE – A pagina 12 il resoconto della fiducia della Camera che con 314 sì ha approvato la legge delega sul Fisco comunale. Per  Bossi “non è perfetta, ma è una buona legge”. La Lega sventola in aula le bandiere e Berlusconi mette il fazzoletto verde. Il testo votato sarà già oggi in Consiglio dei ministri. Calderoli annuncia che chiederà una proroga di 4 mesi per gli altri decreti delegati. “Soddisfatta” l’Anci che però parla anche di “nodi irrisolti” che secondo il presidente Chiamparino «potrebbero portare anche a un inasprimento della pressione fiscale».

LA REPUBBLICA – “Via libera al federalismo bagarre in aula”: con 314 sì passa il decreto sul federalismo municipale. Esultante la Lega, l’Mpa non vota. Berlusconi si infila il fazzoletto verde nel taschino, ma Bossi mantiene i piedi per terra: «Noi vogliamo completare il federalismo…. Siamo quasi al tetto… Ora arriva la parte difficile: il federalismo regionale e provinciale». Il Pd vota contro: «Se volete reggere il moccolo al miliardario», ha detto Bersani, «se volete mettere il Carroccio al servizio dell’imperatore non trovate le scuse del federalismo, che non c’entra niente».

LIBIA
LA REPUBBLICA – È il titolo d’apertura del quotidiano diretto da Ezio Mauro: “Gheddafi: mi riprenderò la Libia”. Lungo discorso televisivo del Rais che attacca l’Italia e minaccia migliaia di morti se la Nato interviene. Intanto l’Italia si prepara alla missione di emergenza senza aspettare l’avallo dell’Ue. Le operazioni saranno coordinate da Elisabetta Belloni. Carlo Bonini segnala che le partecipazioni libiche alle imprese italiane sono in salvo: «all’aggressione alle disponibilità estere del Colonnello e del suo clan familiare, Palazzo Chigi farà eccezione. Non procederà, come hanno già fatto Usa, Canada, Inghilterra, Austria, Spagna e persino Svizzera, a considerare parte integrante del tesoro del rais anche le partecipazioni azionarie e gli investimenti dei fondi sovrani e della banca centrale di Tripoli».

IL GIORNALE – La cronaca di Fausto Biloslavo sullo «show  di tre ore del Colonnello che arriva su di una minicar da campo da golf con l’ombrello bianco il pellicciotto  sfila davanti alle telecamere in occasione dell’anniversario della fondazione della repubblica araba socialista fondata da Gheddafi il 2 marzo 1977. Tra le esternazioni riportate: «Se ci attaccano sarà una strage» e a proposito del petrolio. «Piuttosto lo do ai cinesi».

IL SOLE 24 ORE – In un commento Christian Rocca spiega quali sono «Le buone ragioni di un intervento internazionale». Scrive Rocca: «Il dibattito, adesso, è sulla no-fly zone nei cieli libici. Il pensiero torna all’Iraq» dove nel 1992 «il massacro di sciiti, realizzato con gli elicotteri e grazie al pieno controllo dello spazio aereo, convinse le Nazioni Unite a istituire un divieto di volo sull’Iraq settentrionale, a protezione della popolazione civile. Oggi, in Libia, il problema è lo stesso. L’apparato militare di Muammar Gheddafi usa l’aviazione per annientare le capacità dei ribelli di Bengasi. Secondo alcuni resoconti, anche per uccidere gli oppositori».

AVVENIRE – Dedica quattro pagine alla situazione in Libia, dove Gheddafi minaccia “Migliaia di morti se attaccati”. I ribelli chiedono che l’Onu bombardi, ma il rais in un discorso tv durato tre ore ha promesso di resistere anche a costo di un bagno di sangue. Il leader libico, pur accerchiato dentro e fuori il Paese, sembra ancora in grado di mobilitare e gestire una parte consistente delle forse di sicurezza. Ieri ha inviato caccia, armati di bombe e missili, e “500 blindati sulle  città liberate”. Ma i rivoltosi sono riusciti a contrastare le brigate fedeli al regime che puntavano su Bengasi. AVVENIRE pubblica un’intervista a Silvana Arbia, magistrato della Corte penale internazionale dell’Aja che ha aperto un’inchiesta sui crimini del rais e annuncia un mandato internazionale per arrestare il Colonnello.  Pagina 10 è tutta dedicata al campo in Tunisia per aiutare 77mila profughi annunciato da Maroni, mentre a pagina 11 si parla della situazione a Lampedusa dove in ventiquattr’ore sono arrivati altri dieci barconi.

IL MANIFESTO – «Controffensiva» è il titolo di apertura del MANIFESTO che illustra la prima pagina con una grande fotografia dell’accoglienza ricevuta da Gheddafi a Roma da parte di Berlusconi all’aeroporto. «Discorso fiume di Gheddafi. Sfida Onu e Nato a “trovare le prove delle migliaia di vittime”, minaccia “un bagno di sangue” in caso di intervento militare internazionale. E strapazza Berlusconi: “Abbiamo costretto l’Italia a inginocchiarsi e a pagare i danni del colonialismo”, e ora “l’Occidente si sente insultato perché l’Italia mi ha baciato la mano”. Mentre le forze fedeli al raìs riconquistano due città in Tripolitania e attaccano centri in Cirenaica. No fly-zone, i generali Usa frenano» riassume il sommario dei temi che vengono trattati nelle due pagine interne (la 2 e la 3). Giampaolo Calchi Novati firma in prima l’editoriale dal titolo “Stallo somalo”. «Partendo dalla constatazione – e relativa ipotesi interpretativa – che le sollevazioni nel Nord Africa giunte a un primo punto fermo sono state animate e sostanzialmente decise da una coalizione impropria fra giovani e militari, si può capire meglio perché in Libia il meccanismo si è inceppato. (…) La situazione di stallo che si è venuta a creare si presta a tutte le possibili soluzioni. La rivolta può trasformarsi in una guerra civile e la guerra civile sarebbe destinata a consolidare e inasprire le differenze non solo fra Cirenaica e Tripolitania ma anche fra le diverse componenti che si usa definire tribù sino alla paventata “somalizzazione”. (…)» e conclude: «Le sanzioni decretate dall’Onu all’unanimità contro Gheddafi e, con effetti più dirompenti perché già si profilano opinioni contrastanti, eventuali interventi militari variamente motivati a fini “umanitari” tolgono la neutralità ai fattori esterni. Già la no-fly zone di cui si parla con eccessiva leggerezza in Italia è un’operazione pesante che, ancorché dall’aria, può riguardare gli spostamenti per terra come la concentrazione di forze o gli apparati della contraerea. Né l’Italia né l’Europa hanno i mezzi adatti e si dovrebbe ricorrere come minimo alla Nato. Sarebbe un epilogo ben miserevole per le “primavere” appena incominciate».

MICROCREDITO
IL SOLE 24 ORE – «Il triste autunno del patriarca Yunus» è il titolo di un amaro intervento nelle pagina dei commenti. La cronaca ci dirà se Muhamed Yunus sarà davvero estromesso «per limiti di età» dalla sua Grameen Bank, «se l’azione della banca centrale del Bangladesh è killeraggio politico per tagliare al Nobel la strada della politica, come sostengono i suoi sostenitori. O se dietro i 10 miliardi di dollari concessi dall’istituto dalla fondazione a oggi ci sia qualcosa di poco trasparente. Già ora si può dire però che il microcredito è sfuggito di mano al suo creatore. Si è esteso su scala globale, gonfiandosi per territori (dal Sudamerica all’Europa) e tassi di interesse (sempre più alti) e ha così cambiato natura. Quel che sembra saltato in questa ipertrofia sono due ingredienti essenziali: vicinanza e fiducia».

STRESS
ITALIA OGGI – Originale apertura in prima “Danno da burocrazia” del quotidiano dei professionisti sul danno biologico a un imprenditore ammalatosi per lo stress causato dai ritardi del permesso a costruire. Secondo quello stabilito da una sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio scorso, è stato riconosciuto il danno biologico all’imprenditore che rischia di ammalarsi a causa della burocrazia. «Il comune, che rilascia permessi lumaca a costruire, dovrà risarcire, oltre al danno patrimoniale anche quello biologico, come lesione alla salute dell’interessato scaturita dall’inerzia della p.a.».

SECONDE GENERAZIONI
SETTE – Sul magazine del “Corriere della Sera” Edoardo Vigna firma a pagina 55 un articolo dedicato al progetto multiculturale Mus-e (Musique Europe) che coinvolge 209 elementari in tutta Italia. Un progetto di integrazione per insegnare a bimbi italiani e immigrati a vivere insieme. Il modello si basa su una serie di incontri delle classi con artisti diversi (un pittore, un attore, una ballerina) che spiegano il rispetto per le varie culture e per la diversità, vista come una ricchhezza e non come un ostacolo. «Con l’arte diamo autostima ai bambini più carenti nella socializzazione. E i risultati sono incredibili con i bambini autistici”, dice il presidente di Mus-e Italia Riccardo Garrone. I bambini interessati sono 13.944, in 29 città italiane.

5 PER MILLE
ITALIA OGGI – “I contribuenti bocciano la politica”. E’ un periodo di vacche magre anche per le fondazioni dei parlamentari a cui gli italiani non hanno voluto destinare il 5 per mille del loro reddito irpef. Ecco alcuni dati: la fondazione Italainieuropei di Massimo D’Alema e Giuliano Amato ha incassato 14.955 euro; 7.292 euro per la fondazione Nuova Italia di Gianni Alemanno; 6.233 euro per la fondazione Liberal di Ferdinando Adornato. Il caso più umiliante è quello della fondazione Amintore Fanfani. All’ex esponente della Dc è andata una sola preferenza con 4,99 euro. «Nemmeno i suoi consiglieri» fa notare ITALIA OGGI «hanno destinato qualcosa  alla fondazione».


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