Cronache asiatiche
Pakistan al voto ma la democrazia è lontana
Il quinto paese più popoloso al mondo rinnova il suo Parlamento ma il partito più popolare tra i giovani è di fatto in semi clandestinità ed il suo leader, Imran Khan, in carcere, condannato a 34 anni per una serie di reati più presunti che reali. A dirigere le danze, come sempre ad Islamabad, è l'esercito mentre la violenza non accenna a diminuire
di Paolo Manzo
Con 243 milioni di abitanti, domani va al voto il Pakistan. Il quinto Paese più popoloso della terra e, per di più, con 165 testate atomiche. Sono 129 milioni gli aventi diritto, il 43% dei quali ha tra i 18 e i 35 anni. Non saranno però i giovani a decidere le elezioni di domani ma, come sovente ad Islamabad, l’esercito e l’Isi, il servizio segreto pakistano.
Secondo i sondaggi, i giovani voterebbero il partito dell’ex primo ministro 71enne Imran Khan, il Pakistan Tehreek-e-insaf (Pti). Peccato che l’ex star del cricket, lo sport nazionale, sia finito in galera dopo avere rotto con i militari. Casus belli? Avere rimosso dai vertici dell’Isi Asim Munir, che oggi è Capo di Stato maggiore dell’Esercito e gestisce l’arsenale nucleare pakistano.
Dopo un voto di sfiducia in Parlamento telecomandato dai militari nel 2022, Khan è stato fatto fuori da una magistratura più legata all’Isi che alla democrazia e condannato aa 34 anni di carcere. Tre delle sentenze sono arrivate ad orologeria negli ultimi giorni. 10 anni per aver rivelato segreti di stato, 14 anni per corruzione e 7 anni per aver violato la sharia sposando la sua consorte prima che fosse terminato il periodo di attesa tra un matrimonio e l’altro prescritto dalla legge islamica.
Non bastasse, il Pti di Khan, la cui popolarità supera quella di tutti gli altri candidati (oltre il 57% di gradimento secondo l’ultimo sondaggio Gallup) non può organizzare comizi. Inoltre il sito del partito da dicembre non è più consultabile e al Pti è stato proibito l’uso del suo simbolo, una mazza da cricket. Impossibile dunque identificare il candidato preferito tra la miriade di contendenti sulle schede elettorali da inserire domani nell’urna. Almeno per il 42% dei pakistani con più di 14 anni che non sa leggere.
«Gli elettori possono andare alla pagina Facebook di Imran Khan, inserire il nome del loro collegio elettorale e l’identità del candidato appare», spiega a Le Figaro Sibghatullah Virk, il capo comunicazione del partito. «Poi, con il loro numero di telefono, si iscrivono al gruppo Whatsapp del candidato per ricevere informazioni sul suo background, volantini e video», dettaglia un’altra giovane dirigente del Tpi al quotidiano francese.
«Molti dei nostri candidati non dormono mai nello stesso posto e hanno cambiato il loro aspetto», spiega Virk. «Alcuni si sono fatti crescere la barba, altri l’hanno tagliata. Sui loro telefoni, usano schede SIM straniere fornite dai nostri sostenitori espatriati per non essere localizzati. Comunichiamo con applicazioni difficili da intercettare, come Signal e l’uso delle VPN per nascondere gli indirizzi Internet è la loro norma da quando è iniziata la campagna elettorale». Il Tpi è oggi di fatto un partito semiclandestino.
Con queste premesse a vincere domani dovrebbe essere la Lega musulmana del Pakistan dell’ex primo ministro Nawaz Sharif. Un 74enne soprannominato «il leone del Punjab» e uno degli uomini più ricchi del Pakistan la cui famiglia ha costruito una fortuna con l’industria dell’acciaio. Condannato per corruzione, ha trascorso di recente periodi in esilio tra Arabia Saudita e Londra. Domani dovrebbe riprendere il potere per la quarta volta, con il sostegno di gran parte dell’esercito.
«Il sole del 9 febbraio sorgerà con il messaggio della prosperità del Pakistan, giura Nawaz». Questo del resto il titolo di apertura di oggi del National Herald Tribune di Rawalpindi, il quotidiano più letto del Punjab. Qui, con suo fratello Shehbaz, presidente della Lega musulmana del Pakistan e anche lui candidato al Parlamento, ha promesso di «costruire strade come a Parigi». Staremo a vedere.
Da vedere anche se Nawaz otterrà i 134 seggi necessari (su 266) per governare. In caso contrario dovrà allearsi con il Partito popolare pakistano guidato dal 35enne Bilawal Bhutto-Zardari. Figlio di Benazir Bhutto, il primo capo di Stato donna nel mondo musulmano ed eletta due volte prima di essere assassinata nel 2007. Nipote dell’ex presidente ed ex primo ministro Zulfikar Ali Bhutto, fatto impiccare da una giunta militare nel 1979. Il padre di Bilawal, Asif Ali Zardari, da presidente del Pakistan (tra 2008 e 2013) si guadagnò invece il soprannome di «Mr. 10%» per le accuse (tante) di corruzione.
Gli Sharif hanno la loro roccaforte nel Punjab, la provincia più popolosa e influente del paese, mentre i Bhutto dominano nella megalopoli di Karachi. Nonostante la storica rivalità tra i loro due partiti, dovrebbero allearsi per garantire governabilità ad un paese in crisi profonda. In Pakistan l’inflazione è infatti la più alta degli ultimi 48 anni. La moneta locale, la rupia pakistana, si è svalutata del 50% nei confronti di euro e dollaro nell’ultimo anno. Inoltre, il governo ha aumentato negli ultimi due anni i prezzi dell’energia e le tasse per soddisfare le condizioni di prestito del Fondo Monetario internazionale. Anche per questo, come abbiamo scritto dopo la tragedia di Cutro, sempre più giovani pakistani emigrano all’estero.
Per non dire della violenza, sia dello stato contro gli afghani che delle organizzazioni terroristiche contro la popolazione, l’ultima poche ore prima del voto e che ha ucciso 26 persone.
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