Welfare

Pagano, Dap: Il carcere si rinnova anche grazie alla condanna europea

Il 28 maggio l'Italia dovrà dimostrare alla Corte dei diritti dell'uomo che ha aumentato lo spazio per i detenuti e migliorato le condizioni inframurarie, pena una multa salata. Il vicepresidente del Dipartimento: "Siamo ottimisti, con il rinnovamento in atto stiamo uscendo dal buio degli ultimi anni"

di Daniele Biella

“Siamo moderatamente ottimisti, speriamo che la multa non arrivi”. Luigi Pagano, vicedirettore del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha l’impressione che lui e tutti i propri colleghi del mondo del carcere abbiano fatto tutto il possibile per scongiurare la condanna pecuniaria definitiva della Corte europea per i diritti dell’uomo inflitta al nostro paese l’8 gennaio 2013 con la sentenza Torreggiani (si tratta di 100mila euro da suddividere per i sette detenuti che hanno presentato denuncia a causa dello spazio di mobilità ridotta in cella, cifra che potrebbe lievitare ad almeno 150 milioni di euro se tutti i detenuti facessero denuncia): il prossimo 28 maggio il Governo italiano dovrà convincere i membri della Corte che le condizioni di detenzione “inumane e degradanti” sono mutate.

Cosa è cambiato, nel concreto, per indurvi a pensare che la Corte potrebbe essere clemente con l’Italia?
La sentenza ha velocizzato un processo che avevamo già in mente di portare avanti, e che in questo modo ha prodotto risultati positivi prima del tempo. Stiamo parlando di un aumento della capienza complessiva delle strutture, grazie all’apertura di nuovi istituti o nuove parti di quelli già esistenti (per esempio tre nuove strutture in Sardegna, tre nuovi reparti per 700 posti in tutto in Lombardia), nonché di una serie di provvedimenti legislativi, come quello sulla messa alla prova o il più recente sulle droghe, che fanno abbassare il numero della popolazione, oggi a 59mila di fronte ai 66mila di un anno fa. In questo modo è stato possibile aumentare lo spazio vitale dei ogni detenuto e superare la violazione che ha causato la condanna all’Italia, ovvero l’essere scesi oltre il limite minimo di tre metri di spazio per ciascuno. Ancora, siamo arrivati a un minimo di otto ore di apertura delle celle ogni giorno, per ridurre al minimo la vita all’interno, e continueremo in questa direzione. Infine, è cambiato anche il nostro approccio organizzativo nel complesso.

In che senso?
Abbiamo iniziato una rivisitazione dell’ordinamento penitenziario portando al centro delle decisioni i circuiti regionali, riprendendo e valorizzando di conseguenza istituti di pena che erano rimasti in secondo piano. I recenti protocolli del ministro Andrea Orlando con le varie regioni vanno in questa direzione. Dopo parecchi anni di difficoltà, di recente sembra che il mondo del carcere stia uscendo dal buio, promuovendo investimenti attesi da anni: questo vento nuovo da dentro si sente eccome, la speranza è che nel tempo si possa avvertire anche fuori.

‘Fuori’ la percezione è dura da cambiare, anche per le notizie negative che arrivano. L’ultima, di fine aprile 2014, è la pubblicazione di un report del Consiglio d’Europa che vede l’Italia penultima, prima della Serbia, nella qualità delle condizioni detentive…
È vero, se ne parla quasi sempre male e per molti aspetti è lecito. Ma quello che vorrei sia noto all’esterno è che ci stiamo dando molto da fare per migliorare il sistema penitenziario. Avendo come base di partenza la Carta costituzionale, che parla di umanità e dignità della persona come aspetti fondamentali dell’esistenza, ancora più importante se si tratta di una persona reclusa. Ribadisco che la sentenza Torreggiani è stato un toccasana in tal senso, perché ha accelerato un processo che comunque era destinato a partire.

Se la decisione finale della Corte sarà favorevole all’Italia, sarete soddisfatti?
Di certo risparmieremo i soldi della multa, e questo è positivo. Ma per il resto cambia poco: la strada verso il rinnovamento è oramai iniziata e quello che serve ora è rimboccarsi le maniche e non indugiare. Il sovraffollamento rimane (la capienza è 48mila, oggi si è quindi a 11mila detenuti in eccesso) ed è un problema che va risolto, così come altri: i suicidi, per esempio, che per fortuna per quest’anno stanno avendo percentuali minori del recente passato, così come la promozione del lavoro dietro le sbarre.

In molte carceri italiane ci sono iniziative lodevoli di reinserimento lavorativo gestite dalla coperazione sociale o dalle stesse imprese.
Sì, ma siamo ancora a livelli di nicchia. Si può e si deve fare molto di più. Bisogna investire, essere produttivi, attirare chi è disponibile a investire nel mondo del carcere, per esempio rendendo la burocrazia decisamente più elastica di come è adesso.

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