Cultura
Paesaggio, scuola, lavoro: ecco le sfide ecologiche della società civile
Nella Giornata Nazionale della Custodia del Creato, le sezioni AIAPP Lombardia e LAMS-Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna pubblicano un "Manifesto della Ripartenza per il Paesaggio". Un testo che sollecita la riflessione della società civile sui temi del lavoro, della giustizia, delle disuguaglianze e, ovviamente, della tutela socio-ambientale della casa comune
di Marco Dotti
La nozione di paesaggio è sempre più centrale nella nostra società. Al di là e ben oltre la questione strettamente ambientale, nel paesaggio si giocano infatti partite decisive per la tenuta di un legame sociale che la pandemia ha messo a dura prova.
Qualunque sia l'aspetto che di questo legame si voglia affrontare è quanto mai importante capirne la dimensione ecologica, ovvero l'interrelazione tra le parti e il tutto. Un compito che spetta, prima di tutto, alla società civile chiamata a passare, come scrive Giuseppe Buffon (nel libro recentemente scritto con Massimo Folador, Verso un'economia integrale. La via italiana alla ripresa, GueriniNext), dalla difesa del bene comune alla custodia attiva della casa comune.
Dal paesaggio ai paesaggi
In questa direzione si muove un importante Manifesto, curato dalle sezioni AIAPP di Lombardia e LAMS-Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna, pubblicato oggi sul Giornale dell'Architettura.
In una fase in cui la politica si sta disinteressando sempre più dei bisogni comuni e, scrivono i redattori, « continua a utilizzare un modello economico che ha determinato la rovina ambientale» è importante declinare il paesaggio nella sua pluralità.
Il Manifesto si rivolge non solo alle istituzioni e alle amministrazioni, «ma ai cittadini e a tutti i soggetti che quotidianamente vivono e trasformano il paesaggio: professionisti, artigiani, intellettuali, artisti, comunità, associazioni. Questo è il momento di delineare nuove prospettive di programmazione, per concretizzare azioni di formazione, progettazione partecipata e cura dei nostri paesaggi. A fronte della situazione che stiamo vivendo, oggi è importante sostenere una strategia comune e favorire nuove forme di collaborazione».
IL MANIFESTO DEL PAESAGGIO
- Riqualificare e curare il patrimonio esistente
- Realizzare luoghi condivisi e accessibili
- Promuovere la crescita sostenibile
- Proteggere la biodiversità e gli ecosistemi
- Contrastare la frammentazione del territorio e il consumo di suolo
- Valorizzare le comunità locali
- Riattivare le connessioni tra città e spazi aperti
- Incrementare la rete ecologica
Nonostante il distanziamento, fisico e persino sociale che ancora siamo costretti a vivere, questo documento «vuole contrastare la frammentazione dell’individuo, combattere isolamento e incuria, difendere e creare luoghi dove le comunità possono ancora dialogare, riconquistare spazi di aggregazione, curare il patrimonio esistente, favorire scambi e attività comuni, sviluppare rapporti con il contesto ambientale e paesistico. Questo Manifesto non è solo un atto di amore per la natura e il diritto degli individui di vivere il territorio, è anche una riflessione sul valore della cura che il legame con i luoghi richiede».
Per questo, scrivono i redattori del Manifesto, «dobbiamo rivedere completamente il modo di programmare. È necessario allargare lo sguardo, ripensare ai luoghi e al contesto sociale. Dobbiamo abbandonare la semplificazione e cercare la risposta nel ruolo strategico delle relazioni».
Verso un paesaggio civile
Ma cosa significa, per la società civile, "paesaggio"? Al Manifesto, i redattori di AIAPP, fanno seguire una serie di declinazione sociali del concetto di paesaggio. Eccole:
«Il paesaggio delle distanze. L’emergenza ha generato fra le persone l’esigenza di nuove distanze che si protrarranno nel tempo; saremo costretti con il distanziamento sociale a immaginare paesaggi fatti anche di “vuoti”.
Il paesaggio dell’economia di mercato. Un mondo in cui oggi pochi godono dei benefici e molti patiscono i danni. Suburbi stracolmi hanno marginalizzato milioni di persone dove vi è malavita e disagio sociale. Pessimi paesaggi generano pessime persone. Ripensare i luoghi, trovare risorse adeguate per garantire i bisogni di chi li abita.
Il paesaggio confinato. La malattia ha confermato che i confini politici non fermano i virus. I confini politici sono linee immaginarie. Il virus ci ha dimostrato che manca, a livello internazionale, un pensiero nelle questioni di interesse collettivo».
Il paesaggio de-globale. De-localizzare e de-produrre ci ha fatto cogliere i limiti di questo modello organizzativo. L’industrializzazione delle filiere produttive nell’agro-alimentare ci espone alla diffusione di patologie a cui si risponde con un massiccio uso di trattamenti chimici, nocivi per la salute. Sarà necessario proporre un sostegno alla biodiversità, quale chiave della valorizzazione del gusto e della sostenibilità, per la crescita di una nuova generazione di consumatori consapevoli. Si tratta di ipotizzare organizzazioni, non gerarchiche e non globali, dove possano convivere diversi modelli organizzativi, capaci di prevedere rinascite.
Il paesaggio del silenzio e della lentezza. Il confinamento ha portato alla nostra attenzione i piccoli rumori, abbiamo scoperto i silenzi nelle nostre case. Il silenzio e il tempo sono valori imprescindibili per l’uomo e per il pianeta. Dobbiamo imparare a considerare il silenzio non più come assenza “di”, ma come occasione “per” e il tempo non come una perdita di qualcosa, ma come la sua riconquista.
Il paesaggio della relazione. Saremo più insicuri e impauriti, forse, diffidenti rispetto al buon senso dell’altro. Il “fuori da casa” sarà il luogo della mancanza di controllo. Torneremo a credere che la parte sommitale delle montagne è il luogo sicuro. La pianura, dove viviamo, diverrà pericolosa. Sarà l’occasione per rivedere ripopolata, con la forza del lavoro, la nostra orografia.
Il paesaggio del lavoro. L’emergenza ha fatto esplodere il telelavoro. Una modalità lavorativa che riduce gli spostamenti, e impatta meno sull’inquinamento, ma che ci farà avere orizzonti brevissimi. Si evidenzierà anche quanto lavoro effimero portiamo avanti, lavoro-contenitore, privo di contenuti. Che sia questa l’occasione per avere il tempo da dedicare alla sostanza?
Paesaggio e Stato. Il libero mercato ha generato questi paesaggi. Lo Stato dovrà riprendere il suo ruolo, tutti invocheranno più Stato. Sarebbe auspicabile il riordino della relazione fra pubblico e privato. In una crisi globale, cittadini e imprese si rivolgono allo Stato, capace di caricarsi sulle spalle il fardello di tutti; lo Stato dovrà riprendersi un ruolo di regia, evitando la privatizzazione dei vantaggi e la socializzazione degli oneri.
Il paesaggio degli interstizi. La cura dei luoghi fa la differenza, anche in termini igienici. Un territorio accudito anche negli interstizi genera luoghi salubri fisicamente e mentalmente. Dovremo occuparci di molti brandelli di paesaggio, spazi non gestiti che dovranno trovare una progettazione ed una cura.
Il paesaggio del giardino privato. Spazi pubblico e privato avranno ruoli nuovi. Lo spazio privato sarà vissuto come un’estensione della casa, filtro con il paesaggio e con il mondo esterno poco sicuro. Lo spazio pubblico, sarà sovraccaricato di necessità sociali e sarà percepito come zona libera dai contagi, necessaria, per tutti.
Paesaggio e scuola. Le nuove generazioni si formano nella Scuola e nell’Università. Dovrà divenire un luogo che esca dagli specialismi e che eviti di castrare le curiosità trasversali. Il modello dovrà rimuovere l’idea che la competenza si generi quasi esclusivamente sulla nozione. Si dovranno valorizzare gli stili cognitivi e si dovrà insegnare ai nuovi cittadini a muoversi nella complessità come paradigma per la lettura della realtà. Metodo e non saperi fini a se stessi. Questo cambiamento genererà il paesaggista “regista” di competenze e risorse di natura diversificata.
La nuova sfida creerà molto lavoro, che oggi non vediamo perché esce dalla logica del profitto. Non saranno sempre lavori nobili ma avranno con ampi spazi di libertà, lavori che dovranno occuparsi di un pianeta gravemente malato, di un paesaggio distrutto e di aree naturali sventrate, sempre per il maggior profitto di pochi. Si dovrà fare impresa all’interno di regole definite da uno Stato che oggi viene interpellato soltanto quando servono soldi pubblici per coprire fallimenti gestionali, lo Stato non dovrà chiedere, come un qualsiasi concorrente, il permesso ad una economia pseudo libera, dovrà dare gli indirizzi, le linee di azione per il benessere collettivo e del pianeta».
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