Welfare
Padre incarcerato, padre dimezzato
Va attuata un' opera di mediazione per permettere a chi sta in carcere di veder riconosciuto il proprio ruolo di padre.
Un padre recluso è, oltre che un padre dimezzato, anche un padre continuamente a rischio di vedersi negato il suo ruolo. Lo spiega bene un detenuto, nella sua testimonianza tratta da La Rondine, il periodico delle persone detenute della Casa di reclusione di Fossano, quando racconta che a un padre in carcere può essere tolta la patria potestà o, cosa ancora più dura da sopportare, può essere negata dalla moglie stessa la possibilità di vedere i figli. E questa è una realtà che andrebbe affrontata diversamente, aiutando le compagne dei detenuti ad accettare una situazione, che facile non è mai, e attuando, se necessario, un?opera di mediazione per permettere a chi sta in carcere di veder riconosciuto il proprio ruolo di padre al di là dei rancori, dei conflitti famigliari, dei disagi.
Ornella Favero (ornif@iol.it)
Esistono, a mio parere, tre condizioni che riguardano il rapporto tra padre recluso e figlio. La più grave condizione è quella in cui viene tolta la patria potestà al genitore. Infatti, molti detenuti padri, dopo una condanna, sono colpiti da questo drastico provvedimento che è causa di un forte trauma, sia per il genitore, che si vede privato non soltanto della libertà, ma anche del diritto-dovere e della gioia di essere padre, e sia per il figlio che si ritrova a tutti gli effetti senza la figura paterna.
Ci sono poi altri detenuti che non possono più vedere il proprio figlio a causa dell?interruzione dei rapporti con la madre, la quale, non venendo a colloquio, impedisce di fatto anche quel minimo contatto che permetterebbe di mantenere vivo il rapporto col figlio. La situazione è disastrosa in quanto il padre si sente defraudato del suo diritto di vedere il figlio e questo, se legato affettivamente al padre, soffre e si sente privato di quella figura fondamentale per la sua crescita e per il suo equilibrio psicologico.
Per fortuna tanti altri detenuti hanno la possibilità di continuare a coltivare con i propri figli un rapporto basato sul dialogo, la comprensione e la fiducia. In questo caso, i membri della famiglia ne risultano ancora più uniti; il padre detenuto, pur privato della libertà, ha la possibilità di mantenere, tramite la corrispondenza e i colloqui settimanali, quel rapporto di amore già impostato in precedenza. Contemporaneamente il figlio ha l?opportunità di avere un contatto frequente con il padre, trovando così in lui la figura affettiva che, nonostante la condizione forzata di un allontanamento temporaneo, può aiutarlo e comprenderlo nella sua crescita.
Di fronte a questi tre contesti è facile comprendere quanto i sentimenti possano essere contrastanti e deleteri fino a sfociare in una condizione di depressione autodistruttiva, in moti rabbiosi che possono portare ad atti inconsulti; oppure, viceversa, si possano instaurare sentimenti costruttivi e profonde riflessioni su quell?importantissimo valore che è la famiglia, l?essere padre, l?avere la responsabilità di un figlio.
Maurizio F.
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