Welfare

Padova, sindrome da ghetto

Comitati cittadini sul piede di guerra. Cronache locali allarmistiche. E proposte di nuovi muri, recinzioni, sbarramenti. La realtà, però, è un’altra.

di Elisa Cozzarini

E' lunga l?ombra di via Anelli, a Padova. Si allarga al quartiere Stanga, via Manara, via Cairoli, il parcheggio del Centro commerciale Giotto… Arriva in stazione. Strade e luoghi che fanno a turno a chi sta sulle pagine di cronaca locale per spaccio e prostituzione. Alla fine dell?estate c?era chi parlava di un nuovo muro. Un altro, in via Manara. Mentre quello vecchio, con i murales, resta in piedi attorno alle palazzine vuote e decadenti del Serenissima. Del complesso di via Anelli non si sa ancora che sarà. Intanto, per scongiurare un nuovo ghetto nel quartiere, le retate della polizia hanno fatto pulizia di clandestini e ristoranti abusivi ai civici 37-39. Chi non se li ricorda i ristoranti negli appartamenti di via Anelli? C?erano pure l?idraulico, il parrucchiere, il piccolo commerciante che usava il carrello del supermarket per vendere? «Un nuovo muro? Macché, è solo una recinzione. Se ne parlava già un anno fa», dice Andrea Micalizzi, presidente del quartiere 3 di Padova. «Nelle palazzine al 37 e 39 di via Manara ci sono in effetti presenze di persone non proprio ?a posto?, ma da qui a dire che c?è un nuovo ghetto, ne passa. Anche perché ormai gli irregolari sono stati allontanati. È vero, il piazzale davanti a queste palazzine è stato un centro di spaccio e prostituzione. La soluzione è allargare il recinto, chiudendo lo spazio pubblico e includendolo nella proprietà condominiale». Questo nuovo recinto spunterà tra poco più di un mese, secondo le promesse dell?amministrazione comunale. Ma a proposito di sbarre e recinti, quelli che chiudono il parcheggio del Centro Giotto hanno allontanato i clienti di alcuni negozietti etnici della zona, di cui però nessuno si cura. «Abbiamo paura di farci sentire, perché lo straniero diventa facilmente il capro espiatorio», dice uno di loro, che, per prudenza, non vuole rivelare l?identità. Meglio non fidarsi, con quello che si sente in giro. E non dice nulla di più. Per Luca Bertolino, di Razzismo Stop, il problema non sono via Manara, via Cairoli, o le due baracche di rom sugli argini che qualcuno ha chiamato bidonville: «Sembra si cerchi a tutti i costi il nuovo Bronx. C?è un?ossessione di sicurezza, che non sempre corrisponde alla realtà. Quello che noi vediamo sono le oltre cento persone che in tutta Padova dormono in strada. Da tre anni ormai noi volontari dell?associazione ne abbiamo conosciute tante, girando a portare tè caldo e coperte di notte». Ma i media hanno fatto parlare molto di più la ?Gisa?, cioè Gisella Scanferla, presidente del comitato di via Manara, che da quest?estate grida al degrado della sua città e vuole sicurezza. La ?Gisa? è arrivata pure a Rai1, per la Vita in diretta. Altri comitati e associazioni padovani hanno deciso di rispondere in modo un po? diverso. Hanno promosso, il 14 dicembre, una giornata di mobilitazione per inaugurare un percorso-dibattito su sicurezza, solidarietà e legalità con il sindaco Zanonato e il Comune. Gli organizzatori sono Arci, Cgil, Diritti più umani, il Consiglio delle Comunità straniere e il Comitato Stanga, di cui fanno parte, tra gli altri, la parrocchia e la moschea, in collaborazione con l?assessorato all?Immigrazione. Lo spunto dell?iniziativa viene dalle parole di Tom Benetollo: «La parola ?sicurezza? è una parola bella, che ha innanzitutto a che fare con la lotta millenaria degli esseri umani contro la paura. È stato il pilastro della costituzione dello Stato sociale. È il bisogno primario della vita nelle nostre comunità. Credo sia profondamente sbagliato concepire l?idea di sicurezza come ?antinomia? rispetto alla solidarietà».


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