[Trascrizione dell’intervento svolto venerdì 20 maggio all’interno del Seminario nazionale “Pacifismo, anno zero”, a cura della rivista Vita e della Croce Rossa Italiana, in cui sono stato relatore insieme a Stefano Zamagni, Riccardo Bonacina e Rosario Valastro. Moderato da Stefano Arduni]
Il titolo del Seminario fa riferimento al presunto anno zero del “pacifismo”, ma poiché la datazione degli anni dipende dal tipo di calendario che si segue, io che seguo un calendario che prova a stare sui tempi della storia, anziché su quelli della cronaca, parlerò di Nonviolenza, anno 74, d.G. (dopo Gandhi). Cioè per esplorare questa parola polisemica, partirò da un anno preciso: il 1948. Nel quale accaddero tre fatti, dai quali possiamo far partire convenzionalmente questa datazione. Andiamo in ordine cronologico.
L’1 gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione della Repubblica italiana.
I Costituenti – che conoscevano personalmente che cosa fosse la guerra – iniziarono a lavorare alla Costituzione a poco meno di un anno dalla tragedia delle bombe atomiche statunitensi su Hiroshima e Nagasaki. La Costituzione fu scritta con un linguaggio chiaro, efficace, inequivocabile: un’estetica della trasparenza che corrispondeva ad un’etica della comprensibilità. Per questo non sembrò abbastanza esplicito il verbo “rinunciare” della prima stesura di quello che sarebbe diventato l’Articolo 11, perché avrebbe mantenuto implicitamente l’idea di un diritto al quale si rinuncia, e scelsero – invece – il verbo “ripudiare” che contiene il disprezzo per ciò che si è conosciuto e si vuole allontanare per sempre. L’incipitdel definitivo Articolo 11 – “L’Italia ripudia la guerra” – diventò così elemento fondante di una una storia nuova rispetto al fascismo, fondato proprio sul militarismo come elemento identitario. Inoltre, non sembrò sufficiente ripudiare la guerra come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, ma aggiunsero anche come “mezzo di risoluzione delle controverse internazionali” perché i Costituenti – che non erano ingenui – avevano due consapevolezze: la prima, che i conflitti esistono e non sono eliminabili; la seconda, che nessun conflitto può essere risolto davvero con la guerra. Soprattutto nell’epoca atomica: è l’introduzione dell’etica della responsabilità nella Costituzione. Dunque i Costituenti ci stanno dicendo: noi siamo giunti a capire che la guerra non risolve i conflitti, d’ora in poi tocca a voi – alle generazioni successive – trovare mezzi e strumenti alternativi alla guerra per affrontarli e risolverli. Il secondo comma dell’articolo 11, infine, che “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” e “promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, fa riferimento alle Nazioni Unite che erano nate già nell’ottobre del 1945 con lo stesso spirito della Costituzione italiana, ossia – come recita l’incipit della Carta fondante – per “liberare l’umanità dal flagello della guerra” attraverso la risoluzione delle “controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace, la sicurezza internazionale e la giustizia non siano messe in pericolo” (Carta delle Nazioni Unite, Art. 2). La Nato, come alleanza militare difensiva, sarebbe stata costituita solo nel 1949.
Il 30 gennaio del 1948 un fondamentalista indù uccide (con una pistola Beretta, ndr) Mohandhas Gandhi
Gandhi – ovviamente – non è l’inventore della nonviolenza, ma la fa diventare strumento di lotta politica, sia individuale che, soprattutto, di massa, esattamente per risolvere le controversie a tutti i livelli – tra le persone, tra i gruppi, tra i popoli e gli stati – senza l’uso della violenza. Aveva appreso i primi rudimenti nel suo soggiorno universitario a Londra alla fine dell’800 dalle lotte delle suffragiste inglesi; lo aveva poi sperimentato in Sudafrica dove era emigrato per lavoro, nella lotta contro l’apartheid (che sarà ripresa efficacemente, con la nonviolenza, alcuni decenni dopo da Nelson Mandela, che aveva già sperimentato la controproduttività della lotta armata); l’aveva infine portata e perfezionata in India nella prima lotta di liberazione anti-coloniale del ‘900, contro l’imperialismo britannico. Attenzione: non un imperialismo gentile ma capace di fare stragi a sangue freddo con centinaia di morti e migliaia di feriti (come quella di Amritsar, per esempio). Gandhi non è inerme di fronte alla violenza diretta, strutturale e culturale del colonialismo, ma provoca il conflitto contro l’occupante imperialista, e per questo entra ed esce dal carcere, dove usa il tempo con profitto, leggendo per esempio Lev Tolstoj – lo scrittore russo padre del pacifismo europeo – con il quale avrà una fitta corrispondenza… Nel tempo libero dal carcere, conduce il popolo indiano all’indipendenza ed all’autogoverno, all’insegna del principio rivoluzionario del mezzo che sta al fine come il seme sta all’albero: tra i due c’è “lo stesso inviolabile nesso”. Dopodiché scoppia il conflitto intra-indiano tra indù e musulmani e l’induista Gandhi si dedica ad affrontare anche quello con il metodo della nonviolenza, ma viene ucciso da un suo co-religionario fondamentalista, perché – promuovendo la lotta nonviolenta, anziché quella armata – lo ritiene troppo debole con i musulmani, ossia “filo-musulmano”… vi ricorda qualcosa?
Nel dicembre del 1948, in Italia, Pietro Pinna si dichiara obiettore di coscienza.
Pietro Pinna è il primo obiettore di coscienza per ragioni politiche dell’Italia repubblicana, ossia per rifiuto del militarismo in quanto tale: aveva visto la guerra colpire la sua Ferrara ed aveva deciso di essere coerente con la Costituzione italiana, ossia di ripudiarne personalmente la preparazione. Chiede di essere mandato a sminare il territorio dalla tante bombe ancora inesplose, per difendere in questo modo il Paese dalla guerra stessa, che ne è il primo nemico. Invece il Paese lo spedisce in galera, dalla quale entra ed esce per anni – oltre a subire perizie psichiatriche – finché verrà congedato per un’inesistente problema al cuore. La vicenda giudiziaria di Pietro Pinna, che viene supportata e amplificata dal filosofo della nonviolenza Aldo Capitini, apre una lotta – attraverso varie vicende nelle quali sarà coinvolto anche Lorenzo Milani – che porterà il tema dell’obiezione di coscienza al servizio militare e del diritto al servizio civile prima all’attenzione dell’opinione pubblica, poi al riconoscimento nel 1972 (quest’anno sono 50 anni) e infine al servizio civile come forma di difesa della patria. Grazie alla lotta nonviolenta di tanti obiettori di coscienza oggi il nostro ordinamento giuridico prevede formalmente due modalità di difesa del Paese, in base all’articolo 52 della Costituzione, uno militare e uno civile. Che poi per la difesa civile si spenda un centesimo di quanto si spende per le sempre crescenti spese militari è una responsabilità politica che accomuna tutti i governi degli ultimi venti anni… Pietro Pinna diventerà anche il principale collaboratore prima e successore poi di Aldo Capitini, il quale recuperando l’esperienza delle marce gandhiane, fu – tra le altre cose – l’ideatore della Marcia del 1961 da Perugia ad Assisi, il fondatore del Movimento Nonviolento nel 1962 e della rivista Azione Nonviolenta nel 1964. Esperienze che continuano fino a noi, parte anche della più vasta rete della War Resister’s International che in questo momento supporta i tanti obiettori di coscienza russi e ucraini, che rifiutano da entrambe le parti le logiche militariste dei rispettivi governi, dai quali gli uni e gli altri sono perseguitati, ed i cui portavoce hanno anche firmato – poche settimane fa – un documento congiunto contro la guerra.
Venendo all’oggi, dunque, nell’anno 74, d.G., queste linee di sviluppo storico della nonviolenza – gandhiana, costituzionale e antimilitarista – hanno portato organizzativamente alla costituzione della Rete Italiana Pace Disarmo che promuove – 365 giorni all’anno (non solo quando uno degli oltre 160 conflitti armati in corso sul pianeta riesce a bucare lo schermo) – politiche attive di pace, attraverso campagne e progetti nazionali e internazionali, di cui elenchiamo i principali filoni: 1. disarmo, anziché nuova corsa agli armamenti; 2. riconversione sociale delle spese militari, anziché riconversione militare degli investimenti sociali; 3. riconversione civile dell’industria bellica, anziché sviluppo sfrenato dell’export militare; 4. proibizione delle armi nucleari (come previsto dal Trattato ONU, voluto dalla Campagna internazionale, ed entrato in vigore l’anno scorso), anziché il loro ammodernamento; 5. Corpi civili di pace capaci di intervenire preventivamente nei contesti di conflitto (le “controversie internazionali”) prima che degenerino in guerre, anziché partecipare a interventi armati e inviare armi nei conflitti in giro per il pianeta. I Corpi civili di pace, inoltre, oggi sono previsti all’interno del progetto di legge per la difesa civile, non armata e nonviolenta, presentato in parlamento da due legislature e mai discusso. In questa logica storica, per chiudere, propongo un esercizio di storia contro-fattuale: pensate che cosa sarebbe successo se nelle regioni del Donbass ucraino conteso, a partire dal 2014 – anno in cui inizia il conflitto deflagrato oggi in occupazione militare e guerra aperta – invece di far arrivare armi ed armati da tutte le parti, fosse stato inviato un formato e competente corpo civile di pace internazionale, capace di fare interposizione, mediazione, comunicazione, riconciliazione tra le comunità, secondo la proposta che già nel 1995 Alex Langer aveva realizzato per il Parlamento Europeo, dopo la tragica esperienza della guerra fratricida nelle ex Jugoslavia. Eppure Langer non fu ascoltato, ne i movimenti nonviolenti che hanno continuato a proporlo, a progettarlo, e qualche volta anche a sperimentarlo nel loro piccolo sono stati e sono ascoltati… Quindi oggi siamo sì, ancora all’anno zero, ma nel calendario della costruzione della capacità di gestione nonviolenta dei conflitti da parte dei governi, i quali – invece di rispondere all’appello dei Costituenti e dell’ONU – continuano a fare come l’uomo col martello, che vede tutto il mondo come un chiodo. Facendo buchi ovunque, ma con grande profitto e gioia dei produttori e commercianti di chiodi e di martelli.
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