Mondo

Pace, un nuovo movimento. L’anno uno del post pacifismo

Apertura e dialogo, realismo, partecipazione, ripudio della guerra e difesa dei diritti umani. Così in Italia è cresciuto il movimento di chi chiede la pace. di Flavio Lotti

di Redazione

Accusati da destra e, spesso anche da sinistra. Antiamericani. Di parte. A senso unico. Unilaterali. Ingenui. Utopisti. Sognatori. Amici dei terroristi. Dall?11 settembre 2001 i pacifisti sono tornati a essere bersaglio di attacchi e critiche di ogni tipo. Pochi politici e commentatori hanno assunto la loro difesa. Molti (anche a sinistra) hanno preferito prenderne le distanze. E tuttavia, un anno dopo, i loro sostenitori sono cresciuti e le loro ragioni rafforzate. Il loro unico merito è stato di aver tenuto fede ad alcuni valori e principi (come il ripudio della guerra e la difesa dei diritti umani) sanciti non solo dalla morale ma dalle carte fondamentali della comunità internazionale. Al resto ci hanno pensato gli eventi. Come hanno dovuto ammettere gli stessi americani, la guerra in Afghanistan ha mancato il suo obiettivo fondamentale. Non solo il più famoso ricercato e condannato a morte ma anche molti dei suoi temuti collaboratori sono ancora uccel di bosco. Per smantellare il regime dei talebani sono stati compiuti massacri e atrocità indicibili ma oggi che si tratta (opera ben più impegnativa) di costruire la pace, i ?liberatori? sembrano dissolversi come la neve al sole. Come si prevedeva, la guerra, anziché ridurre la minaccia terroristica, ci ha trascinato dentro l?imprevedibile ciclo della violenza diffondendo anche in Italia e in Europa insicurezza e paura delle ritorsioni. Straordinaria vitalità Che le ragioni della pace siano oggi più forti delle ragioni della guerra lo si misura analizzando le innumerevoli reazioni contrarie ai nuovi preparativi di guerra degli Stati Uniti contro l?Iraq, che stanno facendo traballare la stessa coalizione mondiale antiterrorismo. Persino il fedelissimo primo ministro inglese, Tony Blair e l?ex segretario di Stato americano, James A. Baker, fautore della Guerra del Golfo insieme a Bush padre, hanno dovuto esternare dubbi e preoccupazioni. Le ragioni degli operatori di pace sono più forti anche perché i popoli sono stanchi di essere coinvolti in uno stato di guerra permanente e di assistere a guerre ?giuste e umanitarie? che non hanno rispetto per nessuno, tantomeno per i bambini e per la povera gente. Bene ha fatto il movimento per la pace italiano a non cercare risposte ideologiche all?11 settembre: è l?evidenza dei fatti a dargli ragione. Questo atteggiamento realista e responsabile gli ha consentito di affrontare momenti estremamente difficili dando prove di straordinaria vitalità. Come non ricordare i 25 chilometri di gente che, solo un mese dopo quel giorno maledetto, in un clima di ansia e di paura, hanno marciato da Perugia ad Assisi per la pace, contro il terrorismo e la guerra? Come non ricordare quei 300mila giovani e giovanissimi, ma anche le famiglie, le donne, gli uomini e gli anziani di tante generazioni, i moltissimi sindaci e presidenti, assessori e consiglieri che per primi hanno squarciato il muro dell?impotenza e della rassegnazione riaprendo un discorso sulla pace che sembrava impossibile? La Marcia Perugia-Assisi del 14 ottobre 2001 è stata solo la madre di una incalcolabile serie di iniziative per la diffusione della cultura e di una politica di pace che sono continuate a fiorire grazie all?impegno silenzioso di centinaia di persone. Si tratta di un lavoro faticoso, spesso sottovalutato, ma che consente al movimento per la pace italiano di crescere e maturare più di quanto non stia avvenendo nel resto dell?Europa. Prova ne è l?inatteso successo dell?ultima Perugia-Assisi (12 maggio 2002). Convocata in meno di un mese per chiedere all?Europa di intervenire per mettere fine al conflitto israelo-palestinese, la Marcia ha visto una straordinaria partecipazione di oltre 80mila persone. Per la prima volta dal 1961 anche la Chiesa umbra ha voluto partecipare direttamente al lungo corteo e il Papa ha inviato ai partecipanti un caloroso messaggio d?incoraggiamento: segni importanti per un movimento che ha fatto dell?apertura e del dialogo con tutti uno dei suoi tratti caratteristici. Le nuove sfide Tutto bene allora? Certamente no. Il mondo sta attraversando uno dei momenti peggiori degli ultimi trent?anni. Cresce il disordine internazionale. L?attacco portato alle regole e alle istituzioni internazionali democratiche (anche in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo) è incessante e mira a cambiare radicalmente, a livello planetario, le regole del gioco. Lo smantellamento del ruolo dello Stato, la progressiva erosione delle libertà democratiche e dei diritti fondamentali, la riduzione delle forme di protezione e di solidarietà sociale stanno peggiorando le condizioni di vita di centinaia di milioni di persone. Dall?11 settembre, il discorso sulla pace e sulle responsabilità storiche di chi lavora per la pace si è fatto più difficile. Si parla sempre di più di pace perché se ne sente la mancanza, perché la si vede minacciata o perché si teme di perderla ma più se ne parla, più crescono le interpretazioni diverse e più la pace resta un oggetto misterioso. Per il movimento per la pace si pongono vecchie e nuove sfide. Prima tra tutte il difficile confronto con il mondo politico. Un confronto necessario e inevitabile perché è lì che si sono accumulate le maggiori ostilità, resistenze, ritardi e incomprensioni. Seconda sfida: il confronto con i media, il mondo dell?informazione e della comunicazione. Ogni azione per la pace che non si ponga oggi il problema della comunicazione non potrà risultare efficace. Terza sfida: il confronto con l?Europa. I costruttori di pace, quelli che la pace la costruiscono ogni giorno, hanno il dovere di lavorare con impegno nel cantiere che sta edificando l?Europa. Flavio Lotti -coordinatore della Tavola della pace-


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