Mondo

Pace, nero su bianco

Entro luglio la Commissione per la verità e la riconciliazione, presieduta da Tutu, chiuderà i conti con le stragi del passato. Non una Norimberga nera, ma un modo per imparare a convivere. In nome d

di Redazione

Entro il 31 luglio il Sudafrica dovrà conoscere nomi e cognomi di chi ha commesso crimini contro i diritti umani negli anni più bui dell?apartheid, quelli dal 1960 al 1993. «Dopo, nessuno più potrà presentarsi e raccontarci degli orrori, perché gli è già stata offerta l?occasione», dice l?arcivescovo Desmond Tutu, premio Nobel per la pace, incaricato di presiedere la speciale Commissione per la verità e la riconciliazione voluta dal presidente Nelson Mandela e che ha portato alla luce numerose violazioni compiute dal precedente governo. Tutu sta ricostruendo, attraverso documenti e testimonianze, il conflitto tra bianchi e neri che ha insanguinato il Sudafrica. La maggior parte del lavoro della Commissione riguarda la gente comune, le persone che vogliono sapere che fine ha fatto un parente, in quali circostanze è morto un figlio, chi sono stati i responsabili. A chi racconta in aula i crimini commessi e dimostra di aver agito per un obiettivo politico, viene concessa l?amnistia.
Non tutti però credono nel lavoro della Commissione come strumento di riconciliazione, dato che essa non può emanare una sentenza, ma solo rinviare le conclusioni del processo alla polizia. Un fondo istituito da Mandela risarcisce le vittime delle violazioni, e compito della Commissione è segnalare chi ha diritto a un risarcimento. Ma non ci sono soldi per tutti. Tutu ha l?arduo compito di far riconciliare un Paese con il suo passato. Ma anche di far emergere un nuovo modo di intendere la giustizia. Ne parliamo con Russell Ally, presidente del Comitato per la violazione dei diritti umani, che fa parte della Commissione, oltre a essere docente di Storia all?Università di Johannesburg. «È molto difficile», ci dice, «ma credo che il primo passo sia far luce sul passato, poi accertare i responsabili delle violazioni dei diritti umani, quindi riconoscere formalmente le vittime, infine che il governo le risarcisca economicamente, dia loro opportunità di studio, costruisca monumenti commemorativi».
Quale la differenza tra verità e giustizia? «Non è facile rispondere. L?apartheid metteva anche i neri contro i neri. Intere comunità sono state dilaniate da conflitti tra organizzazioni politiche rivali. Se pensiamo che chiunque fu coinvolto in qualsiasi forma di violazione dei diritti umani deve essere perseguito penalmente, allora dovremo perseguire anche i bambini delle township che attaccavano i poliziotti neri, ritenendoli parte del sistema dell?apartheid. Mi sembra quindi più importante accertare la verità per avere una base per la riconciliazione, piuttosto che aderire a una concezione molto stretta della giustizia. Non credo che passare 5 o 10 anni a fare processi sia un modo utile e sano per cercare di costruire una nuova democrazia. Se la commissione concedesse alla gente l?amnistia senza occuparsi delle violazioni dei diritti umani, senza fare i nomi, allora si potrebbe dire che la giustizia è stata sacrificata. Ma quando si concede l?amnistia solo in cambio della piena luce sui fatti, allora la questione è diversa».
Che cosa succederà quando finirete il vostro lavoro? «La Commissione dovrà formulare delle raccomandazioni su come prevenire il ripetersi di quanto è accaduto in passato. Raccomandazioni che speriamo potranno essere prese in seria considerazione dagli organismi in seno al governo per essere più sensibili alle questioni dei diritti civili».

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.