Cultura

P. Jaeger: “Arafat è leader legittimo. A che mira Sharon?”

di Redazione

“Yasser Arafat è il leader eletto e riconosciuto dalla istituzioni palestinesi, come Sharon lo è da parte israeliana. Una nazione non può delegittimare il capo di un’altra”. Lo ha detto in un’intervista a Fides p. David Jaeger ofm, francescano israeliano, esperto di questioni mediorientali. P. Jaeger nota che “l’opinione pubblica israeliana non comprende quali siano gli obiettivi politici del suo governo”, mentre da entrambe le parti si allarga lo scollamento fra leadership e popolazione. Ecco il testo dell’intervista rilasciata a Fides. Yasser Arafat è un terrorista o l’unico interlocutore possibile in Palestina? Nel rapporto Israele-Palestina le persone hanno importanza secondaria. La personalizzazione della politica serve solo a renderla spettacolare. Il contesto non è il rapporto fra individui, ma fra la nazione israeliana e quella palestinese. Nonostante le riserve che molti nutrono su entrambi i leader, oggi il capo del Palestinesi è Arafat, eletto e riconosciuto dalle istituzioni palestinesi, come Sharon lo è per la parte israeliana. Una nazione non può delegittimare il capo dell’altra. La trattativa va condotta attraverso le rispettive istituzioni e le persone che le guidano. C’è, secondo lei, uno scollamento fra leadership e popolazione, in Palestina e in Israele? Fra i palestinesi vi sono serie diffidenze verso la classe dirigente che, si pensa, abbia tratto benefici economici personali e familiari dal processo di Oslo, mentre per la gente comune si è avverato il contrario. Vi è diffuso malumore: si accusano i politici di corruzione e le forze di sicurezza di azioni arbitrarie (come arresti senza garanzie processuali). Anche in Israele l’opinione pubblica non è monolitica. I quotidiani israeliani più influenti si chiedono dove vada il governo, quali siano i suoi obiettivi politici, che il popolo non comprende. Un esempio: negli ultimi giorni il governo ha dato ordine di colpire installazioni e uffici delle forze di sicurezza palestinesi. Ma poi esige dall’Autorità Nazionale Palestinese di adoperare le stesse forze di sicurezza per arrestare i terroristi. E’ una palese contraddizione, che disorienta i cittadini. Secondo gli osservatori il problema è l’organizzazione terrorista Hamas. Che seguito ha oggi? Tutti gli indizi dicono che la grande maggioranza di israeliani e palestinesi desidera ed è pronta ad accettare una pace onorevole. Ma se manca una linea chiara nei governanti e non appare un obiettivo finale, i sentimenti delle popolazioni vanno verso l’oltranzismo. Va notato che da quando l’OLP firmò i primi accordi di Oslo nel 1993, la condizione dei palestinesi comuni è peggiorata sensibilmente, con aumento della disoccupazione, arricchimento di pochi e impoverimento di molti. Così oggi Hamas fa proseliti (anche attraverso aiuti ai palestinesi più poveri, ndr) e intanto in Israele cresce la destra nazionalista. Ma questo fenomeno è basato solo sulla disperazione, sul sentirsi in un tunnel senza uscita. Non c’è dubbio che, appena si vedrà la luce in fondo al tunnel, il seguito di Hamas e di analoghi oltranzisti israeliani diminuirà ben presto. Qual è oggi la strada obbligata per la pace? Occorre ricominciare il processo di pace in modo diverso: gli accordi originari di Oslo prevedevano una serie di misure intermedie, senza specificare il punto d’arrivo. Oggi invece urge un trattato di pace definitivo fra Israele e Palestina, che fissi l’obiettivo finale, e poi negoziare i passi intermedi coi i quali raggiungerlo. A questo punto determinare l’obiettivo è essenziale per poter compiere efficacemente i necessari passi intermedi. Può sintetizzare in cosa consistono obiettivo finale e passi intermedi? L’obiettivo finale è un rapporto di pace e collaborazione fra stato di Israele e stato palestinese, entrambi indipendenti, come previsto dalla risoluzione Onu n. 181 del 29 novembre 1947, che continua ad essere il fondamento della visione internazionale verso la Terrasanta. Il trattato di pace dev’essere negoziato, definendo poi le frontiere, i rapporti che intercorreranno fra i due stati, la sicurezza interna ed esterna, la condivisione di risorse idriche e naturali, gli aspetti economici. I passi intermedi devono essere scanditi nel tempo per consentire l’aumento graduale della fiducia fra le parti.


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