Non profit

Oxfam in Italia col metodo starbucks

«Per cambiare le cose occorre dialogare con istituzioni e aziende. Come insegna il caso della catena di coffee shop». Intervista al direttore esecutivo Jeremy Hobbs

di Emanuela Citterio

È la non profit che dà la pagella al presidente della Banca Mondiale (che poi si prende la briga di leggerla). Oxfam, la quarta organizzazione non governativa più grande del mondo, con un budget di un miliardo di dollari e progetti in 99 Paesi, è nata in Gran Bretagna nel 42. Sulla giustizia economica, la lotta contro la povertà, le emergenze umanitarie, è una delle voci più autorevoli e ascoltate. Oggi è una confederazione di 14 organizzazioni di Paesi diversi, che da poco ha anche un ramo nel nostro Paese: dopo un percorso di avvicinamento, l’ong italiana Ucodep con sede ad Arezzo è diventata a tutti gli effetti Oxfam Italia. Jeremy Hobbs è il direttore esecutivo della casa madre.
Vita: Perché Oxfam ha scelto di venire in Italia?
Jeremy Hobbs: L’Italia fa parte del G8 e del G20. Qui abbiamo trovato una società civile molto vivace, e un partner radicato sul territorio come Ucodep. Un’altra ragione, non piacevole da dire, è l’impatto negativo che alcune decisioni del governo italiano hanno sulla lotta alla povertà e la sostenibilità ambientale. I Paesi dell’Unione europea non hanno rispettato gli impegni per l’Aiuto pubblico allo sviluppo, e il 55% dei fondi mancanti sono quelli dell’Italia. Sappiamo anche che è stato il governo italiano a bloccare a Copenhagen un accordo più ambizioso sulla riduzione delle emissioni di gas serra.
Vita: C’è una priorità in questo momento per Oxfam?
Hobbs: Il cibo e il problema della fame. Abbiamo deciso di sostenere l’agricoltura su piccola scala e i contadini nel Sud del mondo, perché siamo convinti che abbiano un grande impatto sulla lotta contro la povertà. Negli ultimi vent’anni c’è stato un disinvestimento nel settore agricolo, i prodotti locali vengono scavalcati da quelli importati a basso costo e questo ha gravi conseguenze nel Sud del mondo. Siamo convinti che gli aiuti e i progetti di cooperazione non servano a molto se le politiche non cambiano, per questo Oxfam si concentra anche sull’advocacy.
Vita: Come riuscite a farvi ascoltare dai governi e dalle istituzioni internazionali?
Hobbs: Con le campagne e con quattro sedi dedicate a questo. Uno di questi uffici permanenti è a Ginevra e ha il compito di monitorare le decisioni dell’Organizzazione mondiale per il commercio. A New York c’è l’ufficio che interagisce con l’Onu, a Bruxelles quello per l’Unione europea. Ad Addis Abeba in Etiopia abbiamo un ufficio che porta le istanze della società civile africana ai governi e all’Unione africana. L’intento non è quello di demonizzare, ma di provocare un cambiamento mostrando un’alternativa.
Vita: Ci fa un esempio?
Hobbs: Il caso Starbucks. Dopo anni di dialogo e di campagne, la grande catena di coffee shops ha trovato un accordo con il governo etiope che ha permesso ai contadini di vendere il loro caffè a un prezzo più equo. I progetti di commercio equo e solidale sono un piccolo esempio di un’alternativa possibile, ma dialogare con le aziende può avere un impatto sulla vita di milioni di persone.
Vita: I vostri fondi provengono da privati o da istituzioni?
Hobbs: La sede negli Usa riesce a reggersi totalmente su donazioni private. In Inghilterra il 60% del nostro budget è privato e il 40% da istituzioni pubbliche.
Vita: Riuscite a criticare i governi anche quando vi finanziano?
Hobbs: Le sembra che ci tratteniamo?


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