Politica

Ovadia: Plodviv è il cuore pulsante dell’Europa della convivenza

«Questa città salvò la mia famiglia dai nazisti. È la dimostrazione viva e pulsante del fatto che sia possibile vivere in comunione, accogliere e stabilire relazioni anche tra le più profonde alterità». Così lo scrittore Moni Ovadia commenta la scelta della sua città natale come capitale europea della cultura per il 2019

di Lorenzo Alvaro

«Se partono loro, voglio partire anch’io». Una frase che riassume il cuore e l’anima di Plovdiv, la città bulgara che è stata scelta come capitale della cultura europea nel 2019 (sarà quindi in coppia con la città italiana che verrà invece scelta il 19 ottobre). A pronunciarla fu un furente vescovo metropolita Kiril che, rivolto ai nazisti, minacciava di sdraiarsi sui binari per impedire la partenza dei treni della deportazione carichi di ebrei. Quei treni non partirono mai. Un gesto per cui il suo nome è ricordato tra i “Giusti” nel Museo Yad Vashem di Gerusalemme.

«La scelta di Plovdiv è quantomai propizia», sottolinea un suo figlio illustre, Moni Ovadia che aggiunge commosso, «se sono qui e posso parlare lo devo proprio a quel tessuto sociale e a quella comunità che salvò la mia vita e quella dei miei genitori dal Terzo Reich». La Bulgaria infatti fu pressoché l’unico paese ad opporsi alla Shoah. I motivi sono scritti nell’anima del Paese e del popolo bulgaro. «E Plovdiv ne è un sunto straordinario», sottolinea Ovadia che spiega «intanto è di una grande bellezza, con un centro storico prodigioso. Ma soprattutto è nota per la convivenza di genti diverse. Il simbolo di questo multiculturalismo è, come mi racconta spesso il mio amico Angel, il quartiere Orta Mezar».

Ovadia parla di Angel Wagenstein, scrittore e regista, che nella sua Filippopoli (uno dei tanti nomi che Plovdiv ha avuto nei secoli, a partire dai tempi in cui era la città tracia di Pulpudeva, a quando divenne la Philippopolis di Filippo il Macedone, alla romana Trimontium fino alla slava Paldin e alla turca Filibe) ha spesso ambientato i suoi lavori.
 

Lo scrittore bulgaro Angel Wagenstein

In particolare di Orta Mezar scrive nel suo romanzo “Daleko od Toledo” (nella versione italiana “Abramo l’Ubriacone”). «Alla sambuca si davano prevalentemente i turchi e gli ebrei, mentre i bulgari avevano una predilezione per il vino rosso. Le minoranze degli armeni e degli zingari bevevano invece alla rinfusa tutto quel che gli capitava in mano. Dico “minoranze” in modo del tutto generico e anticostituzionale, perché prese singolarmente le etnie del poliedrico quartiere di Cimitero a mezza via, bulgari inclusi, rappresentavano in realtà tutte delle minoranze, ma il sabato sera nella taverna di fronte al vecchio bagno turco si fondevano insieme per formare una maggioranza compatta e possente».

Non solo. Nel romanzo il protagonista, il giovanissimo Berto, impara il valore dell’amicizia e della tolleranza e le regole con cui bisogna comportarsi in società dai tre amici inseparabili di suo nonno Abramo: il rabbino ebreo, il mullah musulmano ed il pope. «A Orta Mezar hanno convissuto per quattro secoli tante fedi, tra cui islam, ebraismo e cristianesimo, in tutte le sue forme, e oltre sette etnie. Non si è mai registrato uno scontro violento», sottolinea Ovadia.

Ecco il motivo dell’importanza di questa scelta. «Plovdiv è il cuore pulsante dell’Europa della convivenza e dell’accoglienza. Una dimostrazione viva e pulsante del fatto che sia possibile vivere in comunione, accogliere e stabilire relazioni anche tra le più profonde alterità».

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