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Osur (Amref): «Lotta al Covid e vaccino, nessuno è al sicuro finché non lo siamo tutti»
«Durante i primi mesi di pandemia è stato fatto un grande errore, ed è stato quello di concentrarsi esclusivamente sul Covid19, senza considerare i modi in cui avrebbe potuto influenzare le altre malattie», dice il professore Joachim Osur, direttore tecnico dei programmi di Amref Health Africa. «Ciò che più mi rattrista è che il nazionalismo dei vaccini è in aumento, ed è un fenomeno pericoloso. Stiamo combattendo un nemico comune, non dimentichiamolo mai»
di Redazione
“Nessuno è al sicuro finché non siamo tutti al sicuro”, ha dichiarato il Prof. Joachim Osur – direttore tecnico dei programmi di Amref Health Africa, nonché Professore Associato e Preside presso l’Università Internazionale di Amref Health Africa – durante un'intervista. La totalità del continente africano, a livello nazionale e locale, deve essere coinvolta nella sperimentazione di terapie anti-COVID-19, in modo da garantire a tutti un accesso tempestivo ed equo al vaccino, una volta ottenuta l’approvazione.
Al 2 novembre 2020, i contagi confermati nel continente africano sono 1.794.507, e i decessi 43.176. Tra i Paesi più colpiti Sud Africa (726.823 casi e 19.411 decessi), Marocco (222.544 casi e oltre 3.762 decessi), Egitto (107.736 casi e 6.278 decessi), Nigeria (62.964 casi e 1.146 decessi) e Algeria (58.272 casi e 1.973 decessi). Il Prof. Joachim Osur parla della situazione attuale nel continente africano, delle implicazioni e delle preoccupazioni relative alle sperimentazioni dei vaccini anti-COVID-19, dell’influenza del nuovo Coronavirus sulle esistenti e future epidemie e dell’importanza della solidarietà globale.
Qual è la situazione attuale nel continente africano?
Al momento sono stati rilevati circa 1.795.000 casi, ma non c'è una risposta certa rispetto all’attendibilità dei numeri. Le capacità di controllo e di monitoraggio dei casi variano a seconda del Paese, ma spesso non sono ben sviluppate, e i test vengono fatti nei limiti delle risorse a disposizione. I casi potrebbero quindi essere più di quelli dichiarati.
Ci potrebbe fare qualche esempio?
In Sud Sudan, dall’inizio della pandemia, il numero massimo giornaliero di test è stato di circa 180, ma la media è molto più bassa. La Tanzania ha dei numeri simili, con una media di cento test al giorno.
In Kenya, invece, vengono fatti circa 1.000 test al giorno. In Sud Africa la situazione è diversa. A confronto, vengono fatti moltissimi test, difatti, il numero di casi è molto più elevato. Tuttavia, ciò che accomuna tutti i Paesi africani, al momento, è l’aumento dei casi.
A che punto sono le sperimentazioni di terapie anti-COVID-19, e come si posiziona il continente africano in questo?
La storia sanitaria ci insegna che i vaccini richiedono molti anni di progettazione, test e tempo aggiuntivo per essere prodotti su larga scala. Tuttavia, i ricercatori si stanno muovendo in maniera estremamente rapida. Il Sud Africa, da qualche mese, partecipa alle sperimentazioni dei vaccini. Sono inoltre in corso alcuni dibattiti per fare in modo che Senegal, Uganda e Kenya possano partecipare. L’Etiopia, inoltre, sta attualmente lavorando sullo sviluppo di un vaccino anti-COVID-19, al momento nella prima fase di sperimentazione – la fase in cui ne viene determinata la sicurezza e la capacità di stimolare il corpo umano a produrre immunità. Tuttavia, la maggior parte dei Paesi africani non è coinvolta.
Quali sono le altre epidemie e gli altri aspetti sanitari, al di là del COVID, che la preoccupano?
Durante i primi mesi di pandemia è stato fatto un grande errore, ed è stato l’errore di concentrarsi esclusivamente sul COVID-19, senza considerare i modi in cui avrebbe potuto influenzare le altre malattie. I programmi di immunizzazione sono stati infatti messi a rischio di sospensione a causa dei gravi vincoli del sistema sanitario e delle misure di distanziamento fisico in atto per mitigare la pandemia di COVID-19 in corso. Per questo motivo, molti bambini non hanno avuto accesso ai vaccini salvavita raccomandati, e questo ha aumentato il rischio di future epidemie e di peggioramenti delle attuali epidemie in corso.
Ci sono degli aspetti positivi?
L’aspetto positivo è che è stata registrata una forte diminuzione dei casi di malattie virali, batteriche e legate all’igiene. Questo grazie alle misure di distanziamento fisico e alle svariate attività di sensibilizzazione sul lavaggio delle mani.
Quali sono le conseguenze più velate della crisi?
Tutte le implicazioni del COVID-19 sulla salute sessuale e riproduttiva, sulla salute materno-infantile, sulla pianificazione familiare. Sono aumentate le mutilazioni genitali femminili, sono aumentare le gravidanze indesiderate e precoci, è aumentato il numero di aborti non sicuri. Le conseguenze velate della crisi sono innumerevoli.
Cosa la rattrista di più di questa situazione?
Ciò che più mi rattrista è che il nazionalismo dei vaccini è in aumento, ed è un fenomeno pericoloso. Stiamo combattendo un nemico comune, non dimentichiamolo mai. I Paesi coinvolti nello sviluppo e nella produzione di nuove terapie e vaccini anti-COVID-19 stanno dando priorità alle loro popolazioni e l’idea che le popolazioni più a rischio, nei Paesi a basso e medio reddito, possano essere private di questo prodotto salvavita, mi preoccupa moltissimo. Stiamo tutti passando un periodo difficile, ma dobbiamo essere solidali, perché nessuno è al sicuro finché non siamo tutti al sicuro.
C’è altro che la spaventa?
Il fatto che, come mai prima d’ora, la comunità scientifica debba lottare contro movimenti volti a sfidare la conoscenza scientifica del COVID-19 per trarne beneficio politico. Quando la scienza viene messa in discussione, le persone muoiono, e raggiungere obiettivi politici, in questo momento storico, è meno importante della protezione dell’umanità.
Che messaggio vuole dare?
Non lasciamo indietro nessuno, rafforziamo il potere della comunità e della solidarietà. Impariamo l’uno dall’altro: il continente africano ha molto da imparare, ma ha anche molto da insegnare.
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