Impresa sociale

“Orto da asporto”, l’impresa ibrida che condivide il valore prodotto

Il progetto della cooperativa sociale Esserci di Torino coniuga innovazione sociale e innovazione digitale. Come? Grazie a un e-bancone. Ecco come funziona

di Redazione

L’innovazione è anche, e volte soprattutto, narrativa. Attraverso le sue realizzazioni in termini di prodotti e servizi, luoghi dove si genera, attività e risorse che la supportano, organizzazioni e community che l’adottano si alimenta un “discorso” che costantemente riprodotto e diffuso diventa una visione del mondo o, con un termine che sa molto di novecento, un’ideologia. Il digitale, da questo punto di vista, ha ormai da tempo monopolizzato la narrativa dell’innovazione tanto che in un libro di qualche tempo fa veniva definito come “l’ultima ideologia”. Anche il campo sociale non è immune da questa tendenza espansiva. Espressioni come “social tech” rimandano infatti, quasi come un riflesso condizionato, ad applicativi e soluzioni ma anche ad approcci di startup, incubazione, capitali di rischio e pure impatti che sono facilmente riconducibili alla narrativa digital e al suo armamentario ideologico.

Ogni tanto però lungo il percorso emergono progettualità in apparenza ordinarie ma che in realtà sono divergenti perché contribuiscono a diversificare il quadro dell’innovazione e, auspicabilmente, a mettere in discussione mentalità e visioni dominanti. Ad esempio “Orto da asporto”, un banco da mercato accessibile e inclusivo realizzato dalla cooperativa sociale Esserci di Torino per raggiungere i diversi contesti comunitari dove vende i suoi prodotti di agricoltura sociale. Niente di particolarmente disruptive a prima vista, se non per il fatto che è stato realizzato grazie a un programma di innovazione tecnologica a fini sociali – SocialTech4EU – che a prima vista poteva sembrare il classico terreno di caccia solo per app, piattaforme, marketplace realizzate da startup sostenute da acceleratori e incubatori e finanziate da fondo di venture capital. In realtà non è proprio così perché l’obiettivo dell’iniziativa sostenuta da fondazione Brodolini e Torino social impact è di “sostenere la capacità di innovazione, competitività e sostenibilità degli ecosistemi dell’economia sociale, delle start-up e delle imprese sociali”, ma comunque “con particolare attenzione alle iniziative inerenti all’impiego della tecnologia in contesti sociali”.

Nonostante questa curvatura in senso sociale del programma, “Orto da asporto” appare comunque un po’ alieno – anche solo per il fatto di essere un supporto materiale – tanto che si sarebbe tentati di contrapporlo all’innovazione mainstream creando così un dualismo, anche a livello narrativo e ideologico. Una specie di Davide dell’innovazione sociale contro il Golia di quella tecnologica e digitale. In realtà non è così, anche perché questa contrapposizione rischia di rinchiudere in una nicchia – non si sa quanto confortevole – tutto ciò che non è allineato. “Orto da asporto” si configura invece come un’innovazione ibrida alla quale hanno lavorato designer dei servizi del Consorzio nazionale Cgm e designer di prodotto dello Iuav di Venezia a stretto contatto con operatori e utenti della cooperativa. Si tratta infatti di un “e-bancone” caratterizzato da una tecnologia costruttiva e un modello gestionale che incorpora risorse digitali al fine di sostenere le capacità cognitive dei lavoratori con disabilità in tutte le operazioni di preparazione, vendita, smontaggio e trasporto. L’e-bancone è anche un dispositivo di comunicazione, dotato di tecnologie per diffondere contenuti video e narrativi della filosofia di intervento di Esserci, dei valori, dell’idea di sviluppo sostenibile, della diffusione di un nuovo modello di inserimento lavorativo per persone vulnerabili. Inoltre, alla vendita tradizionale dei prodotti è affiancato a un sistema digitale di ordine e consegna, attivabile online o direttamente presso l’e-bancone, per aumentare la fruizione, la visibilità e l’offerta per i clienti. In sintesi “Orto d’asporto” è una di quelle piattaforme che il digitale ha prodotto in gran quantità in questi ultimi anni, avvicinando attori diversi per abilitare nuove forme di scambio. Solo che qui la risorsa del digitale non è “nativa” – anche se non è rifiutata – ma soprattutto cambia il modo in cui di produce e redistribuisce il valore creato secondo un approccio, questo sì oppositivo, orientato non all’estrazione ma alla condivisione. Un aspetto non da poco per un “banale” banco da mercato scaturito da un programma social tech.

Credit foto: cooperativa sociale Esserci

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