Mondo

Orrore in Nigeria, ma chi soffia sul fuoco?

di Giulio Albanese

Come avranno già appreso i lettori di questo Blog, domenica scorsa, bande organizzate di pastori nomadi musulmani hanno massacrato centinaia di contadini stanziali cristiani, assieme ai loro familiari. Sepolture di massa sono ancora in corso nei 3 villaggi di Dogo Nahawa, Zot e Ratsat, dove è avvenuta la mattanza che è costata la vita ad oltre 500 persone. E mentre l’esercito e la polizia presidiano le località devastate dalla violenza, le autorità nigeriane hanno promesso che faranno di tutto per impedire un nuovo bagno di sangue. A questo proposito segnalo una riflessione che ho scritto per l’edizione odierna di Avvenire.

“Il massacro di oltre cinquecento persone, per la stragrande mag­gioranza cristiane, nello Stato nige­riano del Plateau è aberrante e va con­dannato senza alcun distinguo. Non solo perché si tratta dell’ennesimo af­fronto alla sacralità della vita umana, ma anche per l’uso scellerato che menti perverse hanno fatto della re­ligione. In meno di un anno e mezzo è già la terza volta che lo Stato della Nigeria centrale assurge all’onore del­le cronache per atti criminosi che ve­dono coinvolti esponenti di fede mu­sulmana e cristiana.

È difficile risalire alle precise respon­sabilità iniziali di questi massacri, in cui si uccidono all’arma bianca mas­se inermi, essendo la realtà nigeria­na un crogiolo di etnie e culture, in un contesto geo-politico caratterizzato da forti disparità sociali. Un mosaico nel quale è facile manipolare l’insod­disfazione dei ceti meno abbienti in nome dell’appartenenza a questa o a quella etnia, o anche in nome della fede. Eppure, tutti sanno che dietro le quinte si celano interessi politici di parte, giochi di potere e antiche riva­lità, sia a livello regionale sia nazio­nale. Fenomeni che hanno a che fa­re con le negligenze di un governo centrale, quello di Abuja, che da cir­ca un decennio tollera l’applicazione della sharìa, la legge islamica, negli Stati del Nord, peraltro in flagrante violazione del dettato costituzionale di una Repubblica Federale che non dovrebbe rinnegare la propria laicità. Stiamo parlando di un Paese dove l’1% della popolazione ha il control­lo quasi assoluto della ricchezza na­zionale e in cui i fondi destinati alla spesa pubblica sono una misera manciata di spiccioli rispetto al volu­me complessivo di denari generati dal business petrolifero. Un sistema corrotto nel quale il diritto di cittadi­nanza sembra essere ancora una no­zione astratta per la stragrande mag­gioranza della popolazione. E mentre le autorità intervengono ancora una volta in ritardo, mobilitando legioni di poliziotti e militari per riaffermare l’ordine pubblico, in queste ore si sta consumando il macabro rito del ri­conoscimento dei parenti e congiunti caduti nell’orribile mattanza nei vil­laggi di Dogo-Na-Hawa, Rasat e Jeji a sud della città di Jos.

Questa volta gli attori delle violenze sono stati pastori musulmani dell’et­nia fulani, la volta precedente, nel gennaio scorso, gli scontri erano ini­ziati per colpa di cristiani ‘pseudo­evangelici’. Sarebbe comunque fuor­viante dividere lo scenario tra ‘buo­ni’ e ‘cattivi’. Indubbiamente, vi so­no in Nigeria frange estremiste che seminano il terrore su procura, ma i veri mandanti sono personaggi il cui unico fine è quello di indebolire lo Stato di diritto. Ecco che allora quan­to sta avvenendo nel Plateau è la car­tina al tornasole di un Paese in cui la politica delle alte sfere finora ha da­to il cattivo esempio. La dicono lun­ga i giochi di potere a livello locale e le evidenti tensioni tra il vice presi­dente Goodluck Jonathan, di fede cri­stiana, cui il Parlamento ha trasferito i poteri, e presidente Umaru Yar’a­dua, gravemente malato, apparte­nente alla comunità islamica.

Peccato che il braccio di ferro, per in­duzione, contamini questa o quella fazione, acuendo peraltro l’insicu­rezza. Secondo autorevoli fonti della società civile, gli assassini e i man­danti, poco importa se musulmani o cristiani, delle stragi occorse nello Sta­to del Plateau nel 2001, 2004, 2008 e nel gennaio 2010, sono praticamen­te tutti a piede libero. Non c’è dunque da meravigliarsi se gli sterminatori sono tornati a usare il machete. Si sa bene che la Nigeria potrebbe garan­tire a tutti migliori condizioni di vita, non foss’altro perché galleggia sugli i­drocarburi; eppure, continua a esse­re metafora delle ingiustizie di oli­garchie che godono della conniven­za di potentati stranieri. Non a caso la Chiesa Cattolica, attraverso il suo episcopato, ha sempre stigmatizzato la pesante sperequazione tra i ceti più ricchi e quelli meno abbienti, da cui dipende la cronica instabilità della nazione. La comunità internazionale non può continuare a rimanere inerte, perché la vita umana vale più dell’oro nero”. (Avvenire, 9/3/2010)

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