Mondo
Orrore a Lugansk!
Eliseo Bertolasi, ricercatore associato e analista geopolitico all'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) di Roma, racconta lo sgomento dei raid delle “milizie” ucraine e il silenzio dei media europei
di Redazione

Il due di giugno le “milizie” ucraine hanno sferrato un attacco nelle zone urbane della città di Lugansk. Durante il raid che ha colpito il palazzo dell’Amministrazione regionale, sono stati uccisi (se vediamo i video che girano in rete: letteralmente fatti a pezzi) numerosi civili. Drammaticamente dopo un mese esatto si ripete la strage e l’orrore di Odessa. Era il due maggio, a distanza di un mese rivediamo le stesse immagini di civili massacrati e di distruzione.
Le chiamo “milizie” ucraine, non riesco a chiamarle forze armate; quest’ultimo termine, nonostante implichi una nefasta connotazione di violenza, indica comunque una certa formalità e disciplina, ma quando così brutalmente si colpiscono civili disarmati, abbiamo a che fare con dei barbari, dei banditi che operano a sfregio di qualsiasi convenzione, di qualsiasi logica militare.
Scenari ai quali, purtroppo, siamo stati abituati, dalla lunga serie delle cosiddette guerre “per esportare la democrazia”: Iraq, ex-Jugoslavia, Afghanistan, Libia.. una sofferenza indescrivibile e continua, un numero incalcolabile di vittime civili asetticamente liquidate come “effetti collaterali”.
C'è solo la nostra angoscia di fronte a tali immagini, e il nostro sgomento davanti allo sconcertante silenzio dei media del mainstream nazionale. Certo si parla di Ucraina, ma mai in prima battuta, sempre dopo le notizie sull’asfissiante e litigiosa politica nazionale infarcite dal solito mix di gossip e calcio, e comunque se ne parla sempre in maniera vaga e imprecisa: viene data molta enfasi alle dichiarazioni di Obama, che non solo non biasima tali eccidi, ma lanciando i suoi strali contro la Russia, sostiene apertamente e supporta la politica repressiva del nuovo potere di Kiev, si continua a parlare del presidente Putin con l’ironico appellativo di “zar” come una minaccia per l’intera Europa… tuttavia, mai una parola di ferma condanna a tali massacri. Silenzio totale! Esiste il detto, più che mai appropriato: “Chi tace acconsente!”.
È inquietante il fatto che un’Europa così sensibie ai diritti di tutti: dalle minoranze, agli omosessuali, agli immigrati… sia invece così cieca e muta davanti a tali eccidi.
La stessa Europa che con gli Stati Uniti minacciava l’ex presidente ucraino Janukovyč di pesanti sanzioni e di condanne in caso di uso della forza contro i “pacifici” manifestanti di Euromaidan, ora mostra, palesemente, il suo totale disinteresse verso la sorte della popolazione russa e russofona dell’Ucraina orientale.
Ci stiamo dimenticando che per molto meno, solo per l’accusa da parte della “comunità internazionale” di presunte violenze consumate dai governanti sulla propria popolazione, sono iniziate guerre in Iraq, in Libia in Siria…
Va anche aggiunto che l’Ucraina orientale non è sotto il fuoco di un’esercito straniero, o di una forza d’occupazione, ma è lo stesso esercito nazionale ucraino che spara sulla propria gente, questo dettaglio, non irrilevante, aggrava ulteriormente la connotazione di questo conflitto: siamo in presenza di un’autentica guerra civile.
Ho amici e conoscenti a Lugansk sono costantemente in apprensione per loro. Conosco bene l’edificio che è stato colpito, si trova in una zona centrale della città, davanti c’è un grande parco, ampie strade e larghi marciapiedi. Nella piazza antistante ho fotografato, filmato, registrato interviste in una delle numerose assemblee, da parte della popolazione, che da almeno un paio di mesi si susseguono in sostegno alla forze di autodifesa di presidio al palazzo, della neo proclamata repubblica autonoma di Lugansk.
Ricordo un piazza gremita di gente di tutte le età con tante bandiere russe, anche bandiere sovietiche, che al suono trionfante delle canzoni patriottiche sovietiche inneggiava alla Russia: “Rassìa! Rassìa!”. Dalla rampa di accesso al palazzo i vari oratori che si alternavano affermavano il bisogno d’indipendenza dal potere di Kiev e il desiderio di ricongiungersi con la Russia, che in queste regioni continua ad essere percepita come la naturale madre patria.
Per capire questo dato bisogna considerare il fatto che l’Ucraina indipendente è un Paese “nuovo”, nasce nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica. L’unico suo esperimento statuale, prima di tale data, fu solo il periodo dei tre anni, dal 1917 al 1920, della Repubblica Popolare Ucraina (nata in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre e terminata con l’arrivo dell’Armata rossa). Dall’Urss l’Ucraina eredita i confini attuali e la sua complessa composizione etnica che vede concentrata, per l’appunto nelle zone Sud-orientali del Paese (verso il confine con la Russia), la maggior parte della popolazione russa (1/5 della popolazione totale).
I russi non hanno bisogno di spingersi in Ucraina, su questi territori, prima appartenuti all’impero zarista e poi all’Urss, vi vivono già da secoli.
Dalla fine di aprile quando sono iniziati i primi scontri a fuoco tra i difensori di Slavjansk fino agli ultimi eventi, l’operazione “antiterrorismo” che Kiev sta conducendo nei territori Sud-orientali dell’Ucraina, ha registrato un graduale aumento di utilizzo della forza bellica. Dai primi combattimenti con armi leggere le forze di Kiev sono presto passate ai mortai, ai tank, fino all’uso massiccio di truppe con l’appoggio di aerei ed elicotteri da combattimento. Un’escalation di violenza che ha ricevuto una forte accelerazione contemporaneamente all’arrivo al potere del neo-presidente Porošenko, subito benedetto da Washington, che nonostante la sua apparente aria bonaria, sembra determinato a liquidare rapidamente e solo col linguaggio della violenza la questione dell’autonomia delle oblast’ (regioni) di Doneck e Lugansk.
Versare tanto sangue non farà altro che radicalizzare ulteriormente le posizioni e quindi accentuare sempre di più il distacco delle regioni Sud-orientali dal resto del Paese. Indietro non si tornerà, qualunque sia l’esito di questa assurda guerra fraticida, l’Ucraina che ne uscirà non sarà più la stessa di prima.
Nella foto di copertina Eliseo Bertolasi in piazza a Lugansk
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