Politica

Ornaghi: Milano riparta dalla sua grande risorsa, la società

Il presidente del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano in questa intervista delinea due ricette controcorrente: 1. Lavorare affinché la politica torni nel suo ambito. 2. Spingere la società a trovare una sintesi fra “le mille anime di Milano”. Anime che nei momenti di crisi hanno sempre saputo entrare in sintonia.

di Alessandro Banfi

Lorenzo Ornaghi, 72 anni, è un grande intellettuale milanese. Politologo, accademico, è stato per dieci anni il Rettore dell’Università Cattolica, dove ha insegnato Scienza politica e Storia del pensiero politico. È stato presidente dell'Agenzia delle Onlus, Ministro dei Beni culturali nel governo Monti ed ha avuto una serie di riconoscimenti fra cui spiccano l’Ambrogino d’oro e il titolo di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica. Lo abbiamo raggiunto per ragionare sulla Milano della cultura. Come si esce dall’incubo pandemia? Soprattutto, come può la cultura dare una mano per trovare lo spirito giusto per quel nuovo inizio di cui Milano ha bisogno? Ornaghi delinea due ricette controcorrente: 1. Lavorare affinché la politica torni nel suo ambito. 2. Spingere la società a trovare una sintesi fra “le mille anime di Milano”. Anime che nei momenti di crisi hanno sempre saputo entrare in sintonia.

Lei da circa un mese è stato nominato presidente del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, una istituzione prestigiosa della cultura milanese. È anche Presidente della Veneranda Biblioteca ambrosiana, ed è membro del Cda del Piccolo Teatro… Come vede la cultura nella Milano che vuole uscire dalla pandemia?

Lorenzo Ornaghi: C’è un uso talmente frequente della parola cultura e dell’aggettivo culturale che l’idea stessa di cultura rischia di logorarsi. Dal mio punto di vista la domanda principale è: qual è l’anima della cultura? Non si eaurisce certo nelle attività o nei temi culturali. Se usciamo dagli sterotipi oggi la cultura, anche e soprattutto a Milano, serve a ricollegarci ad un passato rispetto ad un domani che incombe. Se torniamo al 1921, a cent’anni fa, Milano si ritrovava, finita la guerra mondiale e l’epidemia di spagnola, di fronte alla necessità di uno slancio creativo enorme, che a sua volta si riconnetteva idealmente con la grande Esposizione nazionale Industriale e Artistica del 1881. Al di là della forzatura delle analogie storiche, Milano si trova in un momento come quello. Un momento in cui occorre uno slancio che non può venire solo dalla politica, ma anche dagli elementi più rappresentativi della classe dirigente della città.

A volte sembra che la città sia ancora sotto choc, stenti a riprendersi…

Ornaghi: Sì, è un’impressione che condivido. C’è un’incertezza che ha preso la collettività intera. In effetti più che l’immagine abusata del ripartire, l’idea giusta è quella di un nuovo inizio. C’è un desiderio diffuso di di ricominciare. E di cominciare, delineando e attuando, come nel 1921, qualche progetto, qualche iniziativa, qualche visione che incida a lungo termine.

Mai come in questa crisi pandemica si è avvertita la necessità della scienza e della tecnica. Anche se paradossalmente è stato anche il tempo della infodemia, come l’ha chiamata l’Oms, della disinformazione sulla pandemia…

Ornaghi: Sull’infodemia, in tempi abbastanza brevi, dovremmo fare davvero riflessioni scientifiche e accademiche, nel senso di capire che cosa è accaduto. Siamo stati un po’ tutti disorientati, atterriti, bloccati. Il tema della scienza e della tecnica pone una domanda rilevante sul ruolo e sul significato stesso della cultura. Nel senso che entrambe rappresentano una sfida all’antropologia europea, occidentale, quella che ha radici cristiane e che informa ancora il nostro pensiero. La sfida ci impone di alzare la nostra antropologia al livello dei risultati attuali della scienza e della tecnica. Ci costringe a ripensare che cosa è l’essere umano oggi. E in questa riflessione è in primo piano la cultura, che ha una funzione ineliminabile nel ricucire un rapporto fra il nostro passato e il futuro che vogliamo costruire.

Il Museo che lei ora presiede è anche un potente strumento di divulgazione fra i giovani e gli studenti. Che cosa si può fare per incoraggiare le giovani generazioni ad una formazione scientifica e tecnica?

Ornaghi: È una questione fondamentale per la definizione della cultura, comunque la si veda. Senza un passaggio di questo tipo, rischiamo di non confrontarci col tempo che viviamo. C’è il tema della divulgazione, di come far comprendere ai giovani, che la scienza è parte fondamentale di quella visione dell’uomo tipica del nostro pensiero. Ma c’è anche il tema della formazione. L’informazione scientifica, mi si permetta il gioco di parole, deve diventare anche formazione. E quindi, in prospettiva, creazione o, se si preferisce, innovazione.

Ad ottobre i milanesi voteranno per il nuovo Sindaco, che cosa metterebbe al centro del dibattito per far ripartire Milano? Qual è la domanda alla politica che viene dalla cultura, dal mondo accademico e scientifico?

Ornaghi: La prima constatazione, tornando all’Eposizione del 1881, è che in quell’occasione Milano si rivelò la “città più città” d’Italia. Oggi potremmo dire la città più europea d’Italia. E da allora fu davvero così. Si tratta di tornare a qualcosa di quello spirito. Aggiungo un’osservazione personale. Negli ultimi anni noi milanesi abbiamo assistito ad un’espansione della politica in ambiti dove invece bisognerebbe lasciare il campo alla società in quanto tale. Le stesse discussioni e scelte culturali non sono rimaste tali ma sono state troppo influenzate e determinate dalla politica e quetso è un limite secondo me. Bisognerebbe riportare ad un maggiore equilibrio il rapporto tra la necessaria leadership politica e le componenti sociali di Milano.

Anche perché è nella società che si definisce l’identità vera della città…

Ornaghi: A volte si ha l’impressione che si debba accettare passivamente quello che la politica fa. Mentre gli esponenti della vita civile devono condividere, compartecipare le scelte pubbliche sulla città. Le parti sociali nei loro strati dirigenziali finiscono per avere un ruolo marginale. E non è che sia sempre colpa dei politici, a volte sembra che nella società manchi la convinzione. Invece si esce dallo choc della pandemia con una forte partecipazione di tutte le classi dirigenti. La grande risorsa di Milano è la società, lo sappiamo tutti, qui non c’è mai stata l’egemonia della politica. Giorgio Rumi amava richiamare un’immagine particolarmente felice: “le tante anime di Milano”. E poi aggiungeva che queste anime nei momenti importanti della storia della città avevano sempre raggiunto l’accordo. Un accordo paritetico. È quello che ci vorrebbe ancora oggi.

L'intervista è stata pubblicata da 10alle5quotidiana

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