Formazione

Orgoglio di classe

Dalla cattedra, con tanta passione. La parola ai professori

di Redazione

Bistrattata dagli opinion leader e dalla politica, spesso disprezzata dalle famiglie, la scuola italiana in verità è una straordinaria fucina di conoscenza e di relazioni. Un luogo dove ogni giorno si lanciano sfide che spesso, nonostante
le difficoltà enormi, vengono vinte. Come racconta una prof che è stata in cattedra 30 anni. Con orgoglio A quanti stanno per rientrare nelle aule, mentre intorno all’istituzione scolastica è tutto un temporale di tuoni e fulmini, da inguaribile ottimista o per semplice realismo (lavoro ancora con docenti e alunni), vorrei proporre una serie di considerazioni positive sulla scuola pubblica italiana, un piccolo invito a riappropriarsi di un “orgoglio di classe”.
Vorrei che avessimo tutti, dagli studenti ai genitori, ai docenti, dai capi d’Istituto agli impiegati amministrativi, dal personale ausiliario ai custodi, a tutti gli operatori, tutti, ma proprio tutti, uno scatto d’orgoglio per la realtà nella quale lavoriamo.
Lo so che tante, troppe cose non vanno, ma per una volta proviamo a vedere quello che va, quello che vale nella scuola pubblica proprio perché è tale. Per mesi ed anni si affronta un viaggio non sempre liscio e non sempre comodo ma è una avventura di conoscenza e di scambio, di parole, di confronto. Pensate: si vive e ci si relaziona in un posto vero, non virtuale, dove confluisce l’infinità varietà del mondo reale. E il mondo reale, si sa, è settico, anche pieno di spigoli, non c’è dubbio, ma è anche imprevedibilmente ricco e vario. Nelle aule di una scuola pubblica non c’è una vita liofilizzata, ritoccata, taroccata, ci sono persone vere, contatti veri, insomma il modo così com’è! In giro proliferano scuole virtuali, anzi, di questa stagione offrono in saldo qualcosina: paghi uno e prendi due! Sono le scuole finte. Invece noi, noi dell'”orgoglio di classe” siamo in scuole vere!
Potremmo essere orgogliosi per cose semplici, ovvie, ma dal peso specifico forte: per esempio perché la scuola è un tempo/luogo importante, dove si lanciano sfide e, talvolta, nonostante le difficoltà enormi, si vincono. Questa del 2009/10 ha di fronte (e sempre più così sarà) scommesse difficili ma può affrontarle e superarle (gli esempi virtuosi ci sono!). Sono la sfida dell’integrazione, della coesistenza nelle diversità (religiose, etniche, di abilità e disabilità fisiche e psichiche), sono la sfida del trasmettere curiosità e interessi, cultura e civismo.
Scuola pubblica significa coltivare insieme una esperienza di inclusione, di pluralità, di contrasto al pregiudizio xenofobo e razziale, di crescita culturale e umana. Scuola pubblica significa lavorare su un sapere altro, non beceramente appiattito sul vuoto totale che tv, qualunquismo e reality offrono. È una sfida che chiede coraggio, energie, nervi saldi. Ma si può reggere e spesso vincere. In molte realtà scolastiche è già successo e continua a succedere. L’Italia in cui viviamo è cambiata e sempre più cambierà, con buona pace di chi si strappa i capelli. La realtà che stiamo già vivendo è una realtà plurireligiosa, plurietnica, plurilinguistica?, insomma è una realtà plurale. Davvero pensiamo che la Storia si arresti o cambi direzione per qualche ministro leghista? Non sarà che il ministro leghista ignora un po’ la Storia?
La scuola pubblica è per sua intima natura e per dettato costituzionale aperta, inclusiva e dovrebbe essere, perciò, oltre che il biglietto da visita di un governo, il luogo dove si svolge uno dei lavori più rispettati e dignitosi di un Paese: la formazione dei giovani. Riprendiamoci questo orgoglio di appartenenza, nonostante la distanza siderale tra queste verità e le politiche governative in atto.
Le affermazioni del ministro Gelmini sono poco più che proclami quando dice di volere una scuola migliore: benissimo! Siamo d’accordo. È sul come che dissentiamo. Come avere una scuola migliore, più efficiente, se viene impoverita, scempiata nei segmenti buoni? Il ritorno al merito! Benissimo! Ma degli immeritevoli che ne facciamo (leggi: alunni somari, indisciplinati, problematici. Basta espellerli, relegarli ad affollare i bar e i muretti? Non peseranno negativamente – con la loro ignoranza, esclusione da percorsi formativi, rabbia, noia, qualunquismo – sul tessuto sociale? Non si potrebbe fare di tutto per tenerli in un percorso educativo? Non è impresa impossibile: basta mettere in campo strategie giuste e praticabilissime).
Certo la scuola pubblica italiana, sempre più denigrata, mutilata, attaccata d’ogni parte, mostra le miserie culturali del Paese. È una società intera che nelle aule mostra il suo volto. E c’è un volto brutto, non c’è dubbio, ma la scuola le mostra, le rileva queste miserie, non ne è causa! E, va detto, mostra anche le forze migliori: l’impegno e la generosità degli operatori, l’alta professionalità di tanti, la vitalità delle famiglie. Ripartiamo da questo volto virtuoso della realtà scolastica, facciamo leva su questo. Di condanne e “crucifige” siamo anche stanchi.
Riprendiamoci un sano orgoglio di classe e riflettiamo su un dato innocente e indiscutibile e cioè che l’esperienza della scuola è comune a tutti, ma proprio a tutti: maschi e femmine, poveri e ricchi, belli e brutti, con e senza famiglia, del Sud e del Nord? Come è possibile non cogliere la portata straordinaria di questo transito nelle aule scolastiche?
Ogni politica scolastica che ignori questo potenziale positivo e non lo sostenga (e non sostenga chi, a vario titolo, con questi scolari lavora), non può che essere miope, profondamente ingiusta e in malafede.
La politica, oggi più che mai, in campo scolastico va in un’unica direzione: smantellamento delle situazioni positive (vedi scuola elementare), tagli indiscriminati per rendere più “sgarrupata” la condizione della scuola pubblica; a breve la proposta Aprea che, una volta divenuta legge, darà il colpo mortale al segmento delle superiori. Il tutto, propinato attraverso un grande, efficace spot: restituiamo rigore e dignità!
Lo spot fa presa, si sa, perché veicola un messaggio elementare, che si rivolge a chi non ha o non può o non vuole avere della realtà scolastica (e non solo) una visione minimamente più complessa. Ma tant’è, i tempi favoriscono il pensiero elementare (perciò stesso ambiguo, perché conclama e non articola, non spiega, resta assertivo, passa vuote parole d’ordine e non affronta i come e i perché). Ma chi volesse fermarsi un attimo a riflettere, se vuole, può farlo.
Mi piace pensare (sarà anche un sogno ma i sogni sono necessari più del pane a volte) che siamo molti più di quanto si pensi noi dell'”orgoglio di classe”. Buon anno a tutti, buon viaggio e buon lavoro!

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