Famiglia
Ora la dislessia esiste anche per la legge
La norma sancisce finalmente l'esistenza dei disturbi d'apprendimento E predispone strumenti e progetti per affrontarli al meglio, in classe e fuori
di Redazione
Finalmente non saranno più bollati come alunni “svogliati”. E neanche come “malati”, come qualcuno paventa. I ragazzi dislessici italiani – circa 350mila, il 4-5% della popolazione scolastica – ora hanno una protezione legale che mira a «metterli alla pari con tutti gli altri nel raggiungimento del successo scolastico», spiega la senatrice Vittoria Franco (Pd), proponente e relatrice della prima legge italiana sulla dislessia.
Approvata il 29 settembre scorso, con un voto bipartisan, la norma è dedicata ai «disturbi specifici d’apprendimento in ambito scolastico», ovvero la dislessia, ma anche la disgrafia e la discalculia, tutti disturbi (non deficit cognitivi: i ragazzi dislessici hanno anzi un quoziente intellettivo più elevato della media) fino a oggi non riconosciuti e causa «di irrequietezza, ansia, senso di frustrazione e abbandono scolastico», spiega la senatrice.
La normativa riconosce finalmente l’esistenza del problema e impone alla scuola di attrezzarsi per riconoscerlo e per offrire ai ragazzi strumenti idonei per seguire le lezioni e dimostrare il proprio valore. «Un traguardo che attendevamo da circa otto anni», commenta Rosabianca Leo, presidente dell’Associazione italiana dislessia. «Abbiamo vissuto in prima persona il calvario di frustrazione dei nostri figli, etichettati semplicemente come “bambini svogliati” ed emarginati dalla scuola». La normativa sancisce il diritto a usufruire dei provvedimenti compensativi e dispensativi lungo tutto il percorso scolastico: «Utilizzare strumenti “compensativi” significa predisporre una didattica personalizzata e utilizzare anche ausili informatici», illustra la senatrice Franco. «Gli strumenti “dispensativi” riguardano la possibilità di evitare allo studente prestazioni non necessarie ai fini della valutazione e dell’apprendimento. Chiamare a scrivere alla lavagna un bambino con disgrafia, significa solo umiliarlo, non interrogarlo».
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