Economia

Ora la Banca mondiale dà ragione a noi sognatori

Verso lo sviluppo. La ricetta di Riccardo Moro

di Emanuela Citterio

Riccardo Moro, economista, nell?ultimo anno ha trascorso molto del suo tempo in Africa. Come membro del Comitato per la riduzione del debito della Cei, ha lavorato in Zambia e in Guinea insieme alla società civile locale per individuare progetti a favore della popolazione di due fra i Paesi più indebitati dell?Africa. A lui abbiamo chiesto un parere, da economista, sulla situazione attuale dell?Africa e sui meccanismi da attivare per migliorarla. Vita: Quando si parla delle differenze che esistono nelle vite delle persone sul nostro pianeta il caso dell?Africa emerge per le drammatiche condizioni di povertà che affliggono molti dei suoi Paesi. Riccardo Moro: Parlare di un continente nel suo insieme è molto difficile, perché in Africa esistono realtà molto diverse fra loro. Se consideriamo solo l?Africa subsahariana ci troviamo di fronte a situazioni così complesse e a una povertà così capillarmente diffusa che un possibile intervento per modificare le condizioni di vita delle persone può essere solo un intervento molto graduale Vita: Quali strumenti a livello economico e finanziario potrebbero servire a migliorare le cose? Moro: C?è bisogno prima di tutto di un impegno molto più grande per la cancellazione del debito, in modo che i Paesi africani possano disporre di risorse da destinare non al pagamento degli interessi ma al miglioramento delle condizioni produttive e alle spese sociali essenziali. Nei Paesi poveri è poi indispensabile una programmazione credibile a livello nazionale che coniughi gli obiettivi di tipo economico con quelli di tipo sociale. Vita: Sembra facile. Ma come riuscirci? Moro: Esiste uno strumento disponibile: sono i Piani per la riduzione della povertà, i famosi Prsp, che i governi dovrebbero preparare insieme alla società civile locale. I Prsp sono il segno di un mutamento culturale da parte anche di Banca mondiale e Fondo monetario, che ormai non parlano più del famigerato aggiustamento strutturale (che in Africa ha significato tagli alla spesa per la sanità e l?istruzione in nome della crescita economica). C?è poi la questione della good governance, di una efficace amministrazione delle risorse. Che si ottiene con il rafforzamento delle istituzioni democratiche: con il coinvolgimento più grande possibile, cioè, della popolazione civile nei Paesi africani in sede politica e di controllo dell?uso delle risorse e della realizzazione dei programmi. Vita: E i governi africani? Quali strategie dovrebbero attuare a livello economico? Moro: Puntare al rafforzamento del mercato interno. È ormai chiaro che promuovere dissennatamente le esportazioni cercando di inseguire produttività e competitività a livello internazionale non ha portato i Paesi africani molto lontano. Non si tratta di limitarsi, ma nemmeno di cercare a tutti i costi il prodotto che può rendere competitivi nell?esportazione quando è possibile scambiare con beneficio merci, prodotti e servizi sul mercato interno o regionale. La moneta unica africana potrebbe essere uno strumento efficace. Ma i governi dovrebbero anche creare una credibile politica dell?offerta. Vita: Sta dicendo che lo Stato deve svolgere un ruolo attivo nel regolamentare l?economia? Moro: Da parte dello Stato non ci deve essere un?uscita completa dall?economia. Anzi, ci deve essere un ruolo attivo sia in termini di regolamentazione che di ridistribuzione delle risorse. Da solo il mercato non è un perfetto allocatore delle risorse. O meglio, è un allocatore efficiente ma non è in grado di includere, mentre noi abbiamo il dovere di garantire a tutti pari opportunità di partecipare al mercato per far sì che nessuno venga escluso. Non si tratta, in Africa e nei rapporti fra nord e sud del mondo, di invocare una ridistribuzione ?alla Robin Hood? che toglie ai ricchi per dare ai poveri. E nemmeno di proporre la pianificazione dell?economia. In Africa si potrebbe, invece, investire per migliorare le condizioni strutturali che rendono più facile la produzione e dunque rendono più competitive le imprese nazionali. Vita: Scusi, professore, ma per investire servono innanzitutto risorse economiche. Moro: C?è il problema dei finanziamenti, naturalmente. Ma che i soldi siano tanti o pochi, andrebbero spesi per migliorare il capitale umano, cioè per formare le persone, e fisico, cioè strade e mezzi di trasporto, piuttosto che per finanziare solo le aziende che esportano sul mercato internazionale. Degli interventi strutturali interni, oltre tutto, beneficiano tutti i cittadini. Una buona scuola che forma le persone e buone strade sono utilizzabili da tutti, oltre ad essere un indiscutibile un vantaggio per le aziende, che possono contare su persone preparate e su strutture che agevolano l?attività economica. Vita: Ma cosa dovrebbe fare il Nord del mondo? Moro: Innanzitutto onorare l?impegno di destinare lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo alla cooperazione. In Italia siamo allo 0,2 per cento. L?Africa non può uscire da sola dalla povertà. Localmente si possono sviluppare esperienze interessanti, come quella del microcredito. Ma non cambieranno di certo il volto dell?Africa. Il Nord del mondo deve prendersi le sue responsabilità. Non si può parlare di guerre etniche o di corruzione in Africa dimenticando il ruolo che hanno giocato e giocano Francia e Stati Uniti in alcuni Paesi africani. Non si tratta per questo di voler imputare tutti i mali dell?Africa all?occidente. Ci sono esempi di violenze e corruzione squisitamente locali così come bellissime esperienze di cooperazione nord-sud. Vita: Strumenti come la Tobin Tax (la tassazione sulle transazioni finanziarie, ndr) possono essere utili a riequilibrare i rapporti? Moro: Bisogna essere realisti e tener conto che le condizioni in cui Tobin ha proposto questo strumento non sono le stesse di oggi. Ma è anche vero che fino a qualche anno fa anche la riduzione del debito e la revisione della filosofia dell?aggiustamento strutturale erano ritenute impraticabili oltre che dannose dall?ortodossia. Il 10 luglio di quest?anno è uscito un documento interessante della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale. Si dice che la cancellazione del debito è impossibile non perché sia sbagliata ma perché se le due istituzioni la praticassero non avrebbero più risorse per finanziare prestiti per lo sviluppo, essenziali soprattutto nei Paesi a medio reddito. Ci hanno insomma dato ragione col dire che non ci sarebbe nessun problema a cancellare, anzi che sarebbe un?ottima cosa: c?è solo il problema che i ricchi devono mettere i soldi a disposizione per farlo.


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