Cultura

«Ora Francesco mi ha fatto sentire accolto»

Emanuele Macca, volontario della Caritas, cattolico e omosessuale: «dal Pontefice un atto di grande coraggio»

di Redazione

«Papa Francesco ha compiuto un atto di grande coraggio mettendosi umanamente in discussione e dicendo ai giornalisti di mezzo mondo: “Se una persona è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarla?”. Ma la sua audacia non sta tanto nell'aver usato “quella” parola quanto nel sottolineare l'accoglienza che si deve a qualsiasi percorso spirituale. Bergoglio ha ricollocato al centro la persona nel suo complesso, quindi la relazione con la sua totalità umana, mettendo da parte il “particolare” dell'omosessualità».

Emanuele Macca ha 37 anni, è nato a Pavia, da sempre lavora nel mondo dell'assistenza sociale, prima nella Caritas pavese e ora nel sostegno ai tossicodipendenti. Si autodefinisce così: «Un cattolico praticante, un credente che nel cammino della sua vita ha scoperto la propria omosessualità con un grande conflitto sia interiore che nelle relazioni con la comunità cattolica». Ma solo all'inizio: «Ho recuperato l'entusiasmo della fede quando ho trovato ambienti che mi hanno restituito la gioia della dinamica di comunità».

Insomma, proprio ciò che sembra voler comunicare papa Francesco… «Voglio dire esattamente questo. Non fermiamoci alla parola “gay”, che è in fondo un'abitudine espressiva, probabilmente troppo legata alla politicizzazione del movimento gay che sembra aver installato tutto il dibattito sul matrimonio sì/matrimonio no. Andiamo oltre. Perché mi sembra davvero essenziale, nelle rapide frasi del Papa, l'accoglienza della persona».

Ma l'espressione usata non è anch'essa importante? «Certamente sì. Papa Francesco usa uno stile comunicativo semplice ed efficace. C'è da essergli grati anche per questo. Perché la forma è indubbiamente sostanza. Ma lo ripeto: l'autentico peso della frase del Pontefice sta altrove. Sta nell'accoglienza».

Macca ha alle spalle un lungo cammino nelle diverse comunità di cattolici omosessuali. L'ultimo passaggio quello nel «Gruppo del Guado» di Milano, in via Soperga. Ma poi ha deciso di camminare da solo.

Frequentando, per esempio, la diocesi di Cremona famosa per la sua «Pastorale per le persone omosessuali». Questione molto importante per lui: «La frase di Bergoglio è perfettamente in linea con tutto il suo approccio pastorale. Ma ha il merito di dare piena legittimità a ciò che si era già manifestato da tempo in diverse realtà della Chiesa. Penso proprio alla Pastorale di Cremona, o ai gesti del cardinale Cristoph von Schönborn, arcivescovo di Vienna. Poi ci sono i gruppi sparsi sul territorio. Quelli di Parma o di Catania, tanto per indicare due esempi che mi sono molto cari»

Pensa che la frase di papa Francesco rappresenti un punto di non ritorno? «Non mi faccio troppe illusioni. Ci saranno sempre difficoltà. Proprio perché la realtà della Chiesa, nel bene come nel male, non è mai lineare e omogenea. Gli stessi vescovi hanno approcci umani molto differenti». Si può dire che la base della Chiesa cattolica sia migliore dei propri vertici? «No, rifiuto un simile schematismo. In ogni dialogo la responsabilità del risultato finale va condivisa tra chi si approccia e chi ascolta». E quale sarà, invece, il risultato positivo? «Il Papa ha ricordato che un'accoglienza fino a oggi troppo “protetta” può e anzi deve diventare accoglienza comunitaria, al di là della rigidità delle leggi o della stessa dottrina».

Resta il punto di fondo, la questione dell'omosessualità vista come «disordine etico». E anche qui Emanuele Macca ha una sua risposta: «A livello di ricerca teologica il dibattito è abbastanza palese, ma il punto è delicato da sviscerare. So che non se ne uscirà se si continua con lo schema “ordine buono contro disordine”. Bisogna insomma capire dove si vuole arrivare davvero…».

da Corriere della Sera del 31 luglio 2013 a cura di Paolo Conti

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