Politica

Ora favoriamo la buona flessibilit

Lavoro/ Lo suggerisce Michele Tiraboschi, stretto collaboratore di Marco Biagi: "Quella dell'apprendistato, ad esempio". L'Mcl a Milano lancia il dibattito

di Christian Benna

Quale futuro per le politiche del lavoro alla luce delle indicazioni di politica economica e fiscale approvate dal governo? Il Movimento cristiano lavoratori ha preparato un appuntamento in grande stile a Milano convocando economisti, sindacalisti, esperti di diritto del lavoro al seminario internazionale, promosso insieme all?Adapt – Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro guidata da Michele Tiraboschi, a suo tempo stretto collaboratore di Marco Biagi. E logicamente le valutazioni sulla Finanziaria tengono banco.

«Il governo non è in grado di fare le riforme strutturali né di apportare i necessari tagli alle spese improduttive e inutili di governo ed enti locali», attacca Carlo Costalli, presidente di Mcl. Che spiega anche la ragione di questa debolezza: «È privo di sufficiente consenso sia nella maggioranza stessa che lo sostiene sia nel Paese, dove la sinistra massimalista si oppone a chi cerca di riformare il welfare, di abolire gli enti inutili, i privilegi e gli sperperi degli enti locali, di rimodulare l?età pensionabile».

Ma la prospettiva del convegno, dedicato alle politiche del lavoro, è comunque costruttiva, come tiene a dimostrare lo stesso Costalli: «Le politiche governative dovranno tenere conto dei passi avanti che le politiche del lavoro hanno compiuto in questi anni e delle tante opportunità occupazionali che ne sono scaturite, e che non devono essere ora vanificate da inutili e pericolosi irrigidimenti delle norme che regolano l?accesso al lavoro».

«Per incrementare la produttività serve mettere a regime le riforme del lavoro e dei sistemi formativi per avviare l?innovazione organizzativa e gestionale», conferma Michele Tiraboschi a Vita. «Ciò che più conta è avviare modelli partecipativi e di fidelizzazione dei lavoratori puntando sulla motivazione. Una strada è quella di incentivare le imprese ad utilizzare la flessibilità buona come l?apprendistato. Esiste una sola ricetta, cioè riformare le relazioni industriali come unico strumento a disposizione per conciliare gli interessi delle imprese con le istanze di tutela del lavoro».

Tiraboschi non la cita, ma lo sguardo di tutti è puntato sulla strategia di Lisbona che ha l?ambizioso obiettivo di fare dell?Europa l?economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e maggiori posti di lavoro e più coesione sociale. I singoli Stati devono innalzare drasticamente il loro capitale umano attraverso ben più elevati tassi di istruzione, di apprendimento permanente, di occupazione e di partecipazione al mercato del lavoro.

«La democrazia economica ci appare sempre più come il più naturale esito della democrazia politica», spiega Costalli. «Senza la prima anche la seconda diventa asfittica. E come nella democrazia politica, così anche in quella economica il ruolo del cittadino-lavoratore è costitutivo. Il successo della organizzazione competitiva globale non viene solo dalla riduzione dei costi, ma molto dalla flessibilità e dal coinvolgimento. Il successo nasce da flessibilità e partecipazione. In questo contesto anche la gestione del salario è sempre più legata ai risultati di impresa (non solo all?incremento della produttività). Il crescere di importanza di materie come l?ambiente e la sicurezza o la formazione dei lavoratori implicano sempre più un approccio relazionale non solo negoziale o conflittuale, ma partecipativo».

La emancipazione e la tutela del lavoro non si esaurisce in buoni salari e decenti condizioni professionali, ma nella capacità di incidere sulle decisioni. Costalli lancia anche un messaggio al sindacato, che è rappresentato al convegno milanese da Raffaele Bonanni, segretario Cisl: «Questa è una sfida anche per il sindacato e per la sua capacità di rinnovarsi, abbandonando l?antagonismo per assumere, nettamente e decisamente, la strategia riformista della codeterminazione o della partecipazione».

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