Ha restituito una folta chioma a Silvio Berlusconi.
Ma anche il sorriso, gratis, a tanti bimbi sfigurati
nei campi profughi di tutto il mondo. Chi pensa
che la chirurgia estetica sia solo questione di labbra
e seni rifatti, dovrebbe fare due chiacchiere con lui…Dici “chirurgia estetica” e pensi a seni rifatti a 18 anni, labbra a canotto e zigomi tirati su. Storcendo il naso per quella che spesso viene additata come una delle principali “scorciatoie” che le moderne tecniche chirurgiche, unite all’andazzo dei tempi, mettono a disposizione di chi punta all’apparenza.
Eppure chirurgia estetica, una costola della chirurgia plastica, significa anche intervento ricostruttivo dopo un incidente, operazioni invasive o ustioni, significa intervenire in maniera concreta su quegli aspetti, pur esteriori, che impediscono a una persona di vivere nel migliore dei modi la propria esistenza, il proprio quotidiano.
Una professione che ha due volti, insomma, un destino con cui i chirurghi hanno ormai imparato a convivere. Come fa Piero Rosati, uno dei nomi più noti in questo campo, in Italia e all’estero. È stato lui, per esempio, a “ridare i capelli” a Silvio Berlusconi: un’intervento di routine, ma per via di questo paziente speciale Rosati è finito anche sui tabloid. Se fosse tutto qui, si potrebbe fare la solita battuta sulla bandana del premier, e finirla lì.
E invece, meno pubblicizzata ma altrettanto a livello di fama internazionale è la costante attività di interventi chirurgici pro bono effettuati dal professor Rosati a persone vittime di traumi o incidenti che non possono permettersi operazioni costose. Anzi, è necessario farglieli addirittura gratis, senza pubblicità.
Cicatrici sane, cicatrici malate
«Le cicatrici fisiche fanno presto a diventare cicatrici psicologiche e, di conseguenza, limitazioni. Noi parliamo con il nostro corpo, con gli atteggiamenti, con le smorfie, con gli occhi; se, per un incidente, capita che queste funzioni vengano limitate da una menomazione, perché non si deve fare qualcosa per aiutare le persone a stare meglio? Purtroppo, la chirurgia estetica ha un po’ perso la bussola, tanti pensano che ricorrere al chirurgo sia più facile che far allargare i pantaloni, ma si tratta pur sempre di un intervento chirurgico. È a noi medici che si richiede un “di più” di responsabilità: dobbiamo valutare le aspettative dei pazienti che, talvolta, sono “miracolistiche”, e spingono a farsi operare anche solo per correggere difetti impercettibili». È questa è una delle due facce della medaglia del suo lavoro. «Esatto. Diverso è il discorso per chi arriva da me dopo un grave incidente: chi ha già sofferto, e spesso anche tanto, per un trauma, affronta tutto con una sensibilità diversa. Anche perché, in questo caso, si tratta di una persona malata che, come tale, si rivolge giustamente al medico. Quelli, invece, che vengono a farsi “ritoccare” sono persone sane».
L’attività pro bono di Rosati, si rivolge, naturalmente, proprio alla categoria delle persone “malate”: «Io parto dal principio che se nella vita hai ricevuto tanto, in qualche modo è tuo dovere restituire. Io ho questo dono, la mia professione, e attraverso questa posso fare qualcosa di utile. Ho curato tanti pazienti che venivano da zone di guerra, e la maggior parte degli interventi li ho effettuati su pazienti provenienti da campi profughi, dal Sud-Est asiatico e dal Corno d’Africa, tantissimi vittime di incidenti, spesso anche banali: bimbi rimasti gravemente ustionati perché le mamme li tenevano in braccio cucinando su improvvisati fornelli da campo… La cosa che mi fa più arrabbiare, in tanti anni di attività di questo tipo, è vedere come l’operazione, in sé, è una cosa semplice. La difficoltà è far viaggiare il paziente per portarlo qui, garantirgli la degenza, una sistemazione per i parenti se si tratta di bambini, i documenti, la burocrazia….».
La Fondazione? Tempo perso
Tutti problemi che Rosati ha provato ad affrontare, per esempio creando una propria fondazione, «ma anche su questo fronte ho scoperto che non è semplice fare del bene. Se non ti appoggi a un’organizzazione, va a finire che tutto il lavoro ricade su una persona: ero io a operare, ma ero sempre io che dovevo organizzare i viaggi, reperire i fondi, andare in questura per i permessi. Il tutto cercando anche di tenere in piedi la mia “normale” attività: a un certo punto, non vivevo più». Così, la fondazione è stata momentaneamente accantonata, e l’attività pro bono di Piero Rosati continua al servizio della sua rete di contatti che lo chiamano e gli propongono “casi”.
Che cosa ci guadagna? Lo stupore nel vedere come tanti di questi suoi pazienti bisognosi affrontano gli interventi chirurgici: «Sono tutte persone che provengono da situazioni a dir poco difficili, da esperienze lontanissime dalla nostra quotidianità. Aggrediscono la vita in un modo che lascia sbalorditi. Mi ricordo, in particolare, di una bambina che veniva dall’ex Jugoslavia, arrivata da me attraverso la Croce Rossa: le spiegai l’intervento che dovevamo fare e tutto ciò che comportava. Lei non mostrò paura per l’operazione, e l’unica domanda che mi fece fu: “Ma tra quanti giorni potrò tornare a scuola?”. Non so quanti altri adolescenti di ben altra provenienza mi avrebbero fatto la stessa domanda…».
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