Welfare

Operatori sociali, troppo pochi e troppo soli

Lettere dal carcere

di Cristina Giudici

Il 15 gennaio il Centro di servizi sociali per adulti di Milano (CSSA) inizierà una mobilitazione per ottenere un ampliamento di organico, ma anche una rivalutazione del proprio ruolo all?interno dell?amministrazione carceraria. Perciò dedichiamo il nostro spazio settimanale a queste figure di operatori sociali che, dentro e fuori dal carcere, si adoperano per rendere possibile l?applicazione delle misure alternative alla detenzione per migliaia di detenuti ogni anno e centinaia di persone processate che, grazie alle indagini del CSSA e ai benefici di legge, riescono a non finire in galera. A Milano gli assistenti sociali ?galeotti? sono 23 e devono combattere contro le richieste che provengono da San Vittore, Monza, Lodi, Opera (in tutto 4000 detenuti). Solo nei primi sei mesi del 1997 hanno dovuto seguire 1603 affidamenti in prova, 1890 fra semilibertà e detenzioni domiciliari e 486 sospensioni di carcerazione; mentre nel ?96 hanno seguito ben 11mila utenti. La loro pianta organica è rimasta quella del 1983, mentre la popolazione detenuta è cresciuta al punto di rappresentare una città nella città. Perciò oggi chiedono di non essere lasciati soli. Ma chi sono queste figure ignote che con il loro lavoro rendono possibile ( o impossibile) la libertà di molti carcerati? Lasciamo loro la parola. La riflessione degli operatori penitenziari sulla legittimità del loro lavoro accompagna da sempre le declinazioni della questione criminale nel nostro Paese. Guardando alla situazione penale penitenziaria oggi, ci sembra sia caratterizzata dall?aumento vertiginoso della criminalità e il conseguente crescente allarme sociale, l?aumento della popolazione carceraria, e l?incremento delle tipologie dei detenuti. A queste problematiche complesse corrisponde però, purtroppo, un appiattimento del trattamento dei detenuti, sempre più considerato un optional, e la scarsa presenza degli enti locali e realtà economiche e sociali che supportino l?applicazione delle misure alternative al carcere. A tutto questo bisogna aggiungere il disorientamento del personale, compreso quello della polizia penitenziaria, incerto fra custodia e trattamento. Infine veniamo noi, gli assistenti sociali che rappresentiamo il 3% del bilancio dell?amministrazione penitenziaria rispetto al 20% dei condannati. Gli operatori sociali penitenziari hanno avuto il merito di aver introdotto il principio che la pena non è solo e necessariamente privazione della libertà, ma può diventare anche qualcosa d?altro. Ma si sono scontrati con una società che non è mai stata matura per farsi carico della devianza e con il pressappochismo sia nella normativa che nella pratica. Il rischio di un?applicazione indifferenziata e riduttiva delle misure alternative come valvola di sicurezza contro il sovraffollamento delle carceri. E in mezzo a tutto questo c?è il Servizio sociale per adulti che si trova a svolgere ormai funzioni di mero assistenzialismo, privo di ogni criterio oggettivo. L?esecuzione esterna della pena va invece articolata e differenziata con attenzione. Le misure alternative applicate oggi sono state ritagliate per un certo tipo di soggetti, con problemi di emarginazione e di disadattamento e infatti, per quanto riguarda i detenuti comuni provenienti dalla piccola e media delinquenza, i benefici di legge sono serviti a sganciarsi dal mondo della devianza. Per intervenire in modo adeguato bisogna, però, avere anche i mezzi. Noi che per legge siamo obbligati a fare indagini conoscitive socio-familiari sui detenuti che chiedono l?affidamento in prova, la semilibertà o gli arresti domiciliari. Che facciamo indagini per permettere a coloro che non sono ancora stati arrestati, ma solo condannati (e che abbiano i requisiti di legge) di ottenere la sospensione della pena; che in carcere facciamo lavoro di osservazione con colloqui individuali addirittura per la concessione dei permessi premio (per non parlare di tutta quella fascia di detenuti o condannati che non possiamo accettare per mancanza di tempo, gente e risorse) siamo bistrattati o meglio semplicemente dimenticati. La legge Simeoni ha previsto un ampliamento di organico, ma intanto qui, a Milano, siamo sempre gli stessi. I problemi sociali sono di tutti. Non ve ne dimenticate. E non lasciateci soli.

Gli assistenti sociali del CSSA di Milano


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