Famiglia
ONU, film for fame
Delude The interpreter, primo film nel Palazzo di vetro: Sulla regia nulla da ridire. Ma più che la Verità, quello che emerge è il Vaniloquio
La formula è sempre quella. Un po? di verità, molta propaganda, tanta azione e un pizzico di cuore. Non necessariamente in quest?ordine. Del resto, se tra gli ingredienti metti un grande Paese africano (senza nome) devastato da guerre fratricide e in mano a un dittatore, e lo condisci con la melassa retorica della forza delle parole, rimestando il tutto in quel grande crogiolo che è la sede dell?Onu, non puoi che ottenere un grande polpettone. Certo di quelli ben fatti, dalla forma regolare, cotti al punto giusto, con tanto di crosticina dorata? Ma sempre polpettone è, e si fa fatica a digerirlo.
Proprio come The Interpreter di Sidney Pollack. Che è un film ambizioso, pieno di pretese e che aspira alla Verità (sì con la v maiuscola), raggiungendo solo la Vanagloria e il Vaniloquio. Non che il racconto non sia fluido o che sia mal calibrato. Anzi. Non manca la capacità di maneggiare gli intrecci, al vecchio Pollack. E in questa cartolina dal palazzo (di vetro), alcuni tocchi son proprio ben dati. Ma a prevalere è appunto l?effetto cartolina: sia per la scena africana, rapidissima e truculenta, sia per quelle newyorkesi, lucide e patinate. Cioè illustrazioni di una tesi preconfezionata che non cresce dalle immagini, ma è distillata già pronta (e compattamente ripetuta da Nicole Kidman, l?interprete protetta da Sean Penn): il male esiste, la soluzione per vincerlo è il dialogo, la pace è possibile… Insomma, «volemose bene»!
Ma stiamo scherzando? Si dirà: è solo cinema. Meno male, perché se davvero all?Onu si ragiona in modo così schematico, abbiamo un motivo in più per preoccuparci. E qualche dubbio viene, pensando a come il film è stato promosso, battendo e ribattendo i tamburi dell?annuncio che, per la prima volta signore e signori, una troupe ha potuto girare dentro il vero palazzo dell?Onu. Nemmeno Hitchcock aveva potuto? Già nemmeno lui. Invece Pollack ha superato le diffidenze di Kofi Annan parlandogli della pellicola in modo tanto persuasivo che il segretario ha ceduto.
Eccola, la libertà americana in azione: si riesce a far cambiare idea persino ai potenti se si hanno buone ragioni. Un elemento che molti critici italiani (la maggior parte dei quali favorevoli, anzi favorevolissimi al film) hanno ripreso. Dimenticandosi che già negli anni 50, la potentissima ma non trasparente Cia collaborava con il dorato mondo hollywoodiano. Ottenendo in cambio un occhietto benevolo e ammiccante. Ça va sans dire?
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