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Ong sotto attacco delle Iene per il loro impegno in Libia: cui prodest?

Il lavoro delle organizzazioni è monitorato dalla Cooperazione Italiana e dal Ministero Affari Esteri, tutto nero su bianco: rendiconti, finanziamenti, capacità di portare aiuto in zone critiche e di guerra. Dove stanno i fatti, allora, è facile capirlo. Non è chiaro per quale ragione ci sia stato un accanimento "a tesi" da parte del programma di Mediaset. Facciamo il punto con tre delle organizzazioni non governative chiamate in causa

di Redazione

«Migranti nei lager in Libia: e i nostri soldi dati alle Ong?». Si intitola così il servizio firmato da Gaetano Pecoraro e andato in onda ieri sera su Italia 1, nel programma "Le Iene". La tesi del servizio è chiara e la citiamo testualmente (qui il link): «Le Ong cosa fanno con i soldi dati dallo Stato italiano per intervenire in aiuto dei migranti? È possibile davvero intervenire in un contesto del genere? Le autorità libiche permettono un’assistenza? Cosa fanno i capi libici dei centri di quanto viene loro consegnato?». Le domande sono retoriche, perché nel montaggio del servizio – osservano le organizzazioni non governative chiamate in causa – mancano voci critiche e, soprattutto, un contraddittorio.

Emergenza Sorrisi

«Un attacco vergognoso e per nulla rispettoso della verità dei fatti». Massimo Abenavoli è presidente di Emergenza Sorrisi, una delle Ong finite nel tritacarne del “servizio” delle Iene. «Operiamo in 23 Paesi e in Libia – prosegue il dottor Abenavoli, che è un rinomato chirurgo – l’urgenza è portare un aiuto sanitario sia alle persone che sono nei campi di detenzione, sia alle persone che vivono attorno ai campi».

L’idea di Emergenza Sorrisi è stata così creare un centro protetto e sicuro all’interno del quale prestare soccorso medico. Lo shelter costruito da Emergenza Sorrisi è un’unità mobile all’interno della quale ci sono tutte le condizioni sanitarie adeguate è stata una prima parte dell’intervento. La seconda fase dell'impegno è stata la formazione del personale sul campo. Un’équipe composta da chirurgo, psichiatra e infettivologo si è attivata per la formazione del personale libico.

Le Ong, a dispetto di quanto si crede, sono strutture sottoposte a innumerevoli controlli. Che cosa è successo allora? «È successo che sono stato inseguito alle nove di sera da un operatore delle Iene», spiega Abenavoli, che aveva dato la propria disponibilità per un’intervista, ma evidentemente non bastava. «Una macchina mi ha inseguito – io mi muovo normalmente in motorino – e, in mezzo alla strada, ho ribadito a questi signori che non avevo problemi a rilasciare un’intervista come concordato e come faccio abitualmente quando me lo chiedono. Evidentemente le intenzioni erano altre, visto che quei signori hanno cominciato a inveire urlando contro di noi. Perché questo comportamento da parte delle Iene? Ancora non lo capisco. Sono attonito».

Cesvi

Cesvi opera in Libia dal 2011 con vari progetti a sostegno della popolazione locale, dei migranti, dei rifugiati e deo richiedenti asilo. Attualmente gestisce cinque progetti di cui beneficiano diecimila persone.

Nel periodo febbraio-luglio 2018 – è il punto "focalizzato" dal servizio delle Iene – Cesvi ha operato anche nei centri di detenzione di Tariq al Seqa, Tariq al Matar e Tajoura, nell’area di Tripoli, con un finanziamento di AICS – Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo per un ammontare complessivo di 296.044 euro.

Il servizio delle Iene, raccontano da Cesvi, si è basato sulla testimonianza di nove ragazzi eritrei presenti nei centri di detenzione libici di Tariq al Seqa e Tariq al Matar nel 2018, che hanno a ragion veduta sostenuto di non avere avuto contatti con gli operatori di Cesvi. Nei mesi della loro detenzione, infatti, l'attività di Cesvi si è svolta nella sezione femminile di questi centri, separata da quella maschile, con attività di supporto per donne e bambini. La possibilità di operare nel centro di Tariq al Seqa, tra l’altro, è stata bloccata dal 3 giugno fino alla fine di luglio 2018 come attestano i report e le comunicazioni ufficiali inviate ad AICS.



Gli operatori di Cesvi operano all’interno dei centri di detenzione e a diretto contatto con le persone da assistere e ogni servizio di assistenza – psicologica o materiale – viene registrato in uno specifico database di progetto che, insieme alla documentazione tecnica e ai rapporti compilati dallo staff sul campo, consente a agli organi di controllo di verificare l’effettiva messa in pratica delle azioni pianificate.

«Abbiamo fornito queste ed ulteriori informazioni anche a Le Iene, ma nel servizio non ne è stato fatto cenno, evidentemente il servizio era orientato fin da subito su una tesi precisa», spiega la Presidente del Cesvi Gloria Zavatta. L’intervista di quasi un’ora rlasciata alle Iene dall'amministratore delegato Cesvi è stata espunta secondo le esigenze del racconto televisivo. Per contrastare questa tecnica di montaggio e rimontaggio della verità, Cesvi ha messo a disposizione un report di approfondimento con il dettaglio delle attività realizzate nell’ambito del progetto AICS, che ha portato aiuto a 1.640 persone detenute in drammatiche condizioni nei centri libici.

A fronte dell’elevato numero di persone rinchiuse a Tariq al Seqa – oscillante in quei mesi tra 970 e 1.200 secondo i dati IOM – così come negli altri centri, l’intervento di Cesvi si è focalizzato sui soggetti a noi accessibili e individuati come più vulnerabili: donne, bambini, adolescenti e minori non accompagnati.

Spiega ancora Zavatta che «quando si fanno servizi che sembrano andare verso tesi precostituite tagliano le informazioni che non servono a supporto di quelle tesi. Tutto il materiale che abbiamo inviato non è stato preso in considerazione».

Albero della Vita

Non tutti i centri sono uguali. Ci sono centri gestiti dal governo e centri gestiti dalle milizie e le persone che vivono in questi centri di accoglienza nella migliore delle ipotesi si trovano in condizioni di grande degrado, nella peggiore al degrado si uniscono la tortura e le deprivazioni di beni essenziali.

Ivano Abbruzzi è presidente della Fondazione L'Albero della Vita – onlus, un'altra delle organizzazioni finite nel calderone delle accuse delle Iene «Tutte le organizzazioni che hanno scelto di fare questo lavoro in Libia si sono messe a farlo consapevoli che lo scenario era molto complicato. Per qualcuno, questa complicazione è stato un motivo per non partecipare. Per altri è stata l'occasione per privilegiare l'aspetto umanitario di un'azione di aiuto».

«Abbiamo lavorato con Cefa e Cir, in Libia, da gennaio 2018 a luglio 2018. Lo abbiamo fatto in uno dei siti gestiti dal Governo e aperto a tanti attori dela cooperazione internazionale. Non siamo certo noi i promotori di questo sistema di governo dei flussi migratori, tutt'altro, ma soprattutto non abbiamo ricavato nulla dal nostro impegno se non la fatiica e la difficoltà, per dare la possibilità a bambini e soggetti fragili di vivere una condizione migliore. Questa possibilità di portare sollievo anche a una sola persona, per noi fa la differenza».

Helpcode

Helpcode opera nei centri di detenzione governativi gestiti dal Ministero per il "contrasto all'immigrazione clandestina" (Dcim) del governo di Concordia Nazionale della Tripolitania dal 2018 con lo scopo di migliorare le condizioni dei migranti detenuti. Nel 2018, con il progetto “Prima emergenza nei centri di detenzione migranti in Libia”, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo (AICS) per 678.108 €, Helpcode ha portato aiuti nei centri governativi libici di Tajoura, Triq al Sikka e Trik al Matar.

Nel corso del programma Le Iene – andato in onda il 28 aprile scorso – il giornalista Gaetano Pecoraro ha riportato la posizione di alcuni migranti secondo i quali gli aiuti delle Ong che operano nei centri non arriverebbero ai detenuti. In considerazione del taglio dato al servizio, e dal momento che dell’intervista concessa da Helpcode, al giornalista è stato riportato un breve estratto a cui Helpcode risponde coi dati.

Tra marzo e settembre 2018, nei tre centri citati, Helpcode – attraverso il proprio partner libico STACO – ha distribuito 2.800 materassi, 2.800 lenzuola, 2.800 coperte, 2.800 asciugamani, 2.800 scarpe, 2.800 vestiti, 930 kit igienici per le donne, 3.550 saponette e shampoo e 2.800 spray repellenti (qui è possibile visionare una tabella con i dettagli delle distribuzioni per ciascun centro e le date in cui le attività si sono svolte). Helpcode ha costruito e/o riabilitato 15 servizi igienici nel centro di Trik al Sikka, 15 a Trik al Matar e 12 a Tajoura, come è possibile verificare dalle immagini riportate riferite ai lavori di Trik al Matar (è possibile scaricarle qui).

Secondo le testimonianze riportate dal servizio de Le Iene, i kit distribuiti ai detenuti dai centri di Triq al Sikka e Trik al Matar nel 2018 sono stati sequestrati successivamente da chi li gestisce. «Se i fatti emersi dalle testimonianze si rivelassero veri, sarebbe molto grave – spiega invece Alessandro Grassini, segretario generale di Helpcode. Noi faremo tutte le necessarie verifiche per assicurarci che i kit e i beni di prima necessità arrivino nelle mani delle persone a cui sono destinati. Operiamo in favore di chi ha bisogno e sempre nella totale trasparenza» (qui è possibile prendere visione del report).

Nel 2019 Helpcode sta proseguendo il suo intervento in Libia con un nuovo progetto finanziato da AICS, denominato “Verso una migrazione sostenibile” e attivo nei centri di Khoms, Tajoura, Triq al Sikka, Trik Al Matar e Al Jjoudeida.

Nonostante le difficili condizioni in cui si trova ad operare a causa della guerra scoppiata nel Paese, Helpcode sta distribuendo coperte, asciugamani, scarpe, saponi per l’igiene personale e altri beni ai detenuti ed effettuando lavori per migliorare l’aerazione delle stanze dove sono detenuti migranti e rifugiati e ristrutturando i servizi igienici.

Oltre a questo, il progetto in corso prevede un’attività di referral, ovvero la segnalazione di casi specifici di vulnerabilità a UNHCR (per le persone provenienti da Ciad, Etiopia, Eritrea, Sudan, Palestina, Siria, Yemen – o IOM per altri paesi di provenienza) per facilitare le procedure di ritorno volontario o di corridoio umanitario per i casi più vulnerabili.

Alcune questioni aperte

Alcune questioni rimangono dunque sul tavolo: le Ong non sono mai entrate in campi controllati dalle milizie e il loro lavoro è riconosciuto e monitorato dal Ministero Affari Esteri, tutto nero su bianco. Dove stanno i fatti, allora, è facile capirlo. Dove le costruzioni a tesi, anche. Non è chiaro per quale ragione ci sia stato un accanimento preventivo da parte del programma di Mediaset.

Perché questo servizio televisivo? Perché proprio ora? Cui prodest?

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