Il nuovo Papa Francesco ha sferzato i cardinali ieri con un’espressione ripresa in tutto il mondo frettolosamente riportata con la seguente espressione: “la Chiesa non diventi una Ong pietosa“. In realtà Francesco non ha ammonito la Chiesa affinché non diventi una “Ong pietosa”, ma ha avvisato che senza la confessione a Gesù -e prima ancora senza camminare ed edificare- “la cosa non va“, la Chiesa prende una strada senza uscita, come quella che è stata intrapresa da un certo mondo della Ong negli ultimi anni.
Le interpretazioni da dare a “pietosa” possono essere molte, quella che si può intendere più facilmente è forse legata alla natura di “meramente caritatevole”, compassionevole. Colpisce la capacità di trovare formule comunicative efficaci di questo Papa fin dai suoi primi passi, dando un’immagine ribaltata dei vertici della Chiesa conosciuti in questi anni. E’ per la nostra abitudine a guardare le persone di potere come alieni che saltano agli occhi fatti semplici e umani come il pagamento della Casa del Clero dove ha alloggiato Bergoglio durante il conclave -meglio conosciuto sui media come l’Albergo.
E’ comunque giusto riconoscere che nelle condizioni in cui versa il Paese anche questo è un fatto significativo e che rende molto in termini di immagine.
Ma non occorre essere vaticanisti per capire la portata dell’affermazione sulle pietose Ong e come queste poche parole riprese in mondovisione debbano far riflette il mondo della cooperazione internazionale rispetto alla sua credibilità e non solo la Chiesa.
E non mi riferisco ai presunti scandali e affarismi che, come in ogni fatto umano, anche nel mondo della cooperazione internazionale ogni tanto fanno notizia. No, mi riferisco a questo incedere senza meta. Al vagare in cerca di un mercato della solidarietà utile soprattutto a tenere in vita alcune strutture che in un mondo “normale” non avrebbero senso di esistere. Non sono esperto di messaggi evangelici né ho mai scritto di encicliche o angelus domenicali, ma mi pare evidente che queste prime parole di Francesco interpellino non solo la Chiesa, ma fortemente anche il mondo della solidarietà e della cooperazione internazionale soprattutto in un punto: ritrovare un senso profondo al proprio agire e farlo accanto e insieme ai poveri e non guardando ai poveri come beneficiari di interventi calati dall’alto. Con il coraggio di creare opere, di edificare tetti capaci di restituire speranza e dignità agli ultimi, ben oltre la durata dell’intervento “benefico”.
Sono questioni su cui da anni si dibatte nel mondo delle Ong, anche quelle italiane (nel nostro Paese il dibattito è come al solito in ritardo). Dichiarazioni di principi forti e chiare ne abbiamo lette ed ascoltate a centinaia, ma intanto i meccanismi di finanziamento -pubblici e privati- stanno andando sempre di più nella direzione di rafforzare le “Ong pietose” in una corsa all’accaparramento di risorse che fa perdere di vista l’obiettivo ultimo e il senso della cooperazione e della missione. Anche perché è spesso l’unico modo per sopravvivere.
Le parole del Papa nascono indubbiamente dall’esperienza personale e da quanto osservato in America Latina, ma a maggior ragione dopo averle ascoltate il mondo della cooperazione internazionale deve uscire dalla palude ed essere il cambiamento che vorrebbe portare nel mondo. Magari prima ancora di aspettare che lo diventi la Chiesa.
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