Leggi
Ong nel mirino di Bruxelles
Dieci sigle italiane sono accusate di irregolarità procedurali. Ma gli standard richiesti sono spesso incompatibili con lemergenza
  Tempi duri per la cooperazione non governativa. Negli ultimi dieci mesi almeno 35 sigle italiane sono finite del mirino degli ispettori dei ministeri italiani del Lavoro, degli Esteri, della Commissione europea e di Olaf, l?ufficio europeo antifrode. «Registro un?attenzione insolita, che però nella stragrande maggioranza dei casi ci ha dato modo di raccogliere il plauso di tutte queste istituzioni», interviene Sergio Marelli, presidente dell?Associazione delle ong italiane. L?unico canale di indagine ancora aperto è quindi quello intrapreso da Olaf, che attualmente tiene sotto scacco 40 ong europee, dieci delle quali sono italiane. «Direi che si tratta di una percentuale fisiologica considerato che sono oltre 1.200 le sigle umanitarie che lavorano con la Ue», nota ancora Marelli. Ma cosa cercano gli inquirenti? «Le procedure di Olaf sono segrete, ma a giudicare dal tipo di informazioni che ci richiedono si tratta di appurare irregolarità procedurali nell?acquisto di beni e servizi e nella rendicontazione dei progetti dal 1998 a oggi», spiega Donato Di Santo, neopresidente di Movimondo, entrato in carica ad aprile dopo l?azzeramento dei precedenti vertici coinvolti in un?inchiesta – non collegabile a quella di Olaf – della magistratura italiana, condotta dal sostituto procuratore romano Andrea Padalino, in cui Movimondo si è precostituita parte lesa. Nell?ipotesi più rapida i risultati dell?inchiesta di Olaf saranno resi noti a fine settembre. Non si tratterà di una sentenza, ma di un rapporto d?esito di investigazione che sarà sottoposto al vaglio della Commissione, la quale potrà accogliere o respingere le raccomandazioni dell?ufficio antifrode. «Anche se dopo aver investito 400mila euro non penso che Bruxelles accetterebbe di tornare a casa a mani vuote», prevede il direttore generale di Movimondo, Marcello Goletti.
  C?è chi ipotizza una multa salata, ma non è questo il nocciolo della questione. L?inchiesta di Olaf rischia infatti di trasformarsi in uno tsunami per tutta la cooperazione italiana. Echo e Aidco, le due agenzie che assegnano i finanziamenti europei, hanno infatti deciso di chiudere i rubinetti prima che sia provata la colpevolezza delle associazioni. Nei bilanci delle ong italiane la Ue pesa mediamente il 32%, nel caso di Movimondo la percentuale sale al 60. «Siamo sulle ginocchia», si dispera Di Santo, «in questo momento con Bruxelles vantiamo oltre un milione di euro di crediti per progetti già chiusi e valutati positivamente». Dopo 34 anni di vita, Movimondo rischia di chiudere i battenti. Il personale all?estero è stato ridotto da 80 a 30 espatriati, in sede sono stati licenziati i 10 dipendenti e risolti i contratti di 20 collaboratori. Stoppati anche 10 interventi umanitari in Colombia, Filippine, Haiti, Guatemala, India, Sri Lanka, Myanmar e Siria. «E qui siamo al paradosso», dice Di Santo, «due settimane fa una delegazione di 15 parlamentari europei ha visitato il nostro progetto di accoglimento di profughi in Siria e lo ha giudicato all?avanguardia. Nelle stesse ore Echo ci rifiutava i finanziamenti per errori procedurali».
  Per i non governativi, l?accesso ai finanziamenti europei è subordinato all?accoglimento di paletti strettissimi: l?intervento deve avvenire entro 20 giorni dallo scoppio dell?emergenza, ogni acquisto deve prevedere l?emissione di un bando o l?esame di almeno tre preventivi e le spese amministrative devono essere contenute al di sotto del 7% del budget.
  Una via crucis cui non sono sottoposti né le istituzioni internazionali né le società private. «Poi», attacca Marelli, «non ci si può stupire se non siamo in grado di inviare in loco personale amministrativo che si occupi specificatamente della rendicontazione. Il primo obiettivo è il soccorso umanitario. Ricordo infine che per noi il tetto per le spese amministrative è tre, e in alcuni casi quattro volte inferiore a quello previsto per le agenzie delle Nazioni unite. C?è qualcuno in grado di spiegarmi il motivo di una disparità di trattamento così evidente?».
  Se c?è si faccia sentire.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.