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Ong: la Libia riapre il dilemma degli aiuti umanitari

A poche ore dalla scadenza, il bando dell’Agenzia per la cooperazione italiana aperto alle Ong per intervenire nei centri di detenzione in Libia continua a sollevare polemiche. Per molti un compromesso inaccettabile, per altri la possibilità di essere presenti in una vera e propria emergenza umanitaria. Ne abbiamo parlato con Francesco Petrellidi Oxfam e portavoce di Concord Italia, il network delle Ong in Europa

di Ottavia Spaggiari

Qualcuno l’aveva chiamato il patto con il diavolo e dal suo annuncio, lo scorso settembre, il bando dell’Agenzia per la cooperazione rivolto alle Ong per intervenire nei campi di detenzione in Libia ha sollevato molte polemiche e aperto un dibattito acceso tra le organizzazioni, rinvigorito negli ultimi giorni anche dalla lettera pubblicata su Il Manifesto e firmata da un gruppo di intellettuali, tra cui il compianto Alessandro Leogrande, che chiedevano proprio “alle Ong” e “alle persone, agli esseri umani che lavorano nelle Ong” di non cedere a quello che viene definito “un ricatto fin troppo convincente”. Ne abbiamo parlato con Francesco Petrelli portavoce di Oxfam e di Concord Italia, il network delle Ong in Europa.

A settembre con la rete delle Ong di Concord avevate dichiarato che l’unica risposta possibile poteva essere la chiusura di quei centri di detenzione. È cambiato qualcosa?

Mi sembra che negli ultimi mesi la situazione dei trenta centri che sono stati censiti non sia cambiata. È stato spostato il problema dal mare alla terra, forse in mare si muore di meno ma si muore nei campi in Libia. Continuano a mancare le condizioni minime di sicurezza perché si riesca ad operare in maniera efficace. Il bando stesso, per i fondi che mette a disposizione, che sono comunque limitati per gestire un’emergenza umanitaria e per la criticità della situazione in Libia, non permetterebbe un intervento strutturato all’interno dei campi, per questo si tratterebbe di offrire più che altro un’assistenza da remoto.
Il problema è che bisognerebbe invece garantire un presidio immediato e gestire la liberazione delle persone che in quei campi sono tenute prigioniere. La variabile temporale è fondamentale. Ogni giorno che passa c’è qualcuno che muore, qualcuno che viene stuprato e che subisce violenze indicibili.
​Il governo Sarraj è riconosciuto dalla comunità internazionale, che dovrebbe garantire un presidio immediato, pre-condizione allo smantellamento di quei centri e magari anche chiedere alla Libia la firma dei trattati internazionali, un gesto simbolico che però indicherebbe una direzione ben precisa.

È stato spostato il problema dal mare alla terra, forse in mare si muore di meno ma si muore nei campi in Libia".

Francesco Petrelli portavoce di Oxfam e di Concord Italia

Accettare di partecipare al bando potrebbe avere un effetto negativo per l’immagine delle Ong?

Il clima generale nei confronti delle organizzazioni è quello che è. Bisogna però ricordare che ci si trova davanti ad una scelta che chi lavora nelle emergenze umanitarie conosce molto bene, soprattutto chi opera nelle zone di conflitto. È il cosiddetto “humanitarian dilemma”, il “dilemma umanitario” che ha visto moltissimi esempi, tra cui il fatto di entrare in un territorio per distribuire aiuti alimentari ad una popolazione affamata e sapere che, per fare questo, una buona parte di quelle derrate sarebbe stata confiscata dagli eserciti e dalle milizie locali, andando così a contribuire a quello stesso conflitto che affama la gente. Si tratta di scenari estremamente complessi e di decisioni durissime da cui dipende la vita delle persone.
La cosa fondamentale è non confondersi con le parti in causa e rispettare i principi fondamentali dell’umanitario: portare gli aiuti al massimo della professionalità, dell’indipendenza e della neutralità.

E in questo caso?

Anche qui la scelta è tra l’esserci e il non esserci. Ognuno deve fare le proprie valutazioni, capire quale possa essere l’impatto. Ripeto, da quello che abbiamo potuto vedere, si tratterebbe di operare da remoto perché le garanzie di sicurezza non ci sono e perché si creino quelle condizioni c’è bisogno di una svolta, legata anche alla stabilizzazione libica, così da impedire davvero il perpetrarsi di una situazione inaccettabile e garantire una presenza umanitaria che possa non solo aiutare i migranti, ma anche la popolazione locale.

Foto: Alessandro Rota (Oxfam)

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