Mondo

Ong italiane: l’Onu restituisca la parola agli iracheni

Vita pubblica la dichiarazione politica sull'Iraq approvata l’8 maggio 2004 dall’Assemblea delle Ong italiane di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale

di Paolo Manzo

L?Associazione delle Ong italiane si è più volte espressa contro la guerra all?Iraq. Lo ribadisce oggi, in un momento cruciale per il futuro di quel paese e delle relazioni internazionali. La guerra è stata una scelta sbagliata, come l?umiliazione dell?Onu, il rifiuto del confronto politico e del multilateralismo, l?esaltazione del proprio potere e della propria forza, le falsità tese a nascondere i veri obiettivi di potenza, la pretesa di esportare la democrazia con le armi, l?incapacità di gestire il dopo guerra, la serie di scelte sbagliate e di gravissimi errori ad iniziare dalle continue umiliazioni inflitte alla popolazione irachena fino alle orribili e vergognose torture. Anche quanto è stato fatto per la ricostruzione dell?Iraq perde ormai ogni significato e valore. Una svolta radicale, che contempli il riconoscimento della sovranità degli iracheni e l?assunzione di responsabilità da parte dell?intera Comunità internazionale, è ora l?unica via per ritornare alla razionalità, alla legalità internazionale e alla pace. Pace che il popolo iracheno desidera vivamente, dopo anni di feroce dittatura, di embargo, di guerra, subendo umiliazioni e sopportando sofferenze, fino ad oggi. 1. LA SVOLTA, INEVITABILE ED INDILAZIONABILE Occorre mettere fine a questa difficile situazione senza tentennamenti e dare avvio ad una nuova e diversa fase che veda l?Iraq e le Nazioni Unite protagonisti di un vero cambiamento. Si tratta di una svolta inevitabile ed indilazionabile che implica una decisione politica che, con un passo indietro delle forze della Coalizione, restituisca la parola agli Iracheni, attraverso un?assemblea rappresentativa, affidi la gestione del potere a rappresentanti della pluralità dell?Iraq pienamente riconosciuti e deleghi all?Onu la guida della transizione e della ricostruzione, compreso il comando della forza multinazionale di mantenimento della pace. Chi ha fatto scelte unilaterali gravemente sbagliate, programmato una guerra definita ?shock and awe, colpisci e terrorizza? in spregio al diritto internazionale umanitario, occupato l?Iraq senza legittimazione internazionale, commesso così tanti errori con conseguenze che potrebbero essere nefaste per tutti, non può pretendere il comando militare nella fase che deve rappresentare la svolta e mettere fine all?aggressione. Non può pretenderlo, anche perché gli iracheni non lo permetterebbero più e la fase insurrezionale generalizzata potrebbe scoppiare da un giorno all?altro. 2. NON ABBANDONARE L?IRAQ Non abbandonare l?Iraq a sé stesso è un imperativo a cui non ci si può sottrarre, per dovere etico e di responsabile solidarietà che riguarda ancora una volta tutti. Il paese si trova in una situazione di disgregazione, di violenza, di criminalità, di disordine tali da suscitare inquietudine e paura nella popolazione irachena che si sente in balia di eventi non dominabili, nell?immediato, con le sole forze irachene. Non abbandonare l?Iraq significa farlo diventare una preoccupazione dell?intera comunità internazionale, coordinata sotto l?egida dell?Onu, con una vera e lungimirante strategia regionale, un ruolo attivo dei paesi arabi e musulmani, dell?Europa, della Russia oltre che degli stessi Stati Uniti, cercando il pieno consenso delle rappresentanze delle varie tribù e comunità irachene. 3. LE RESPONSABILITÀ DELL?UNIONE EUROPEA L?Unione Europea deve assumere le proprie responsabilità. Ha un ruolo da giocare ed è in grado di esercitarlo con la possibilità di farsi ascoltare da tutte le parti. Finora è stata a guardare, incapace di concordare una posizione ed una linea politica comune. Occorre una scelta collegiale del Consiglio europeo e l?Italia deve proporla e favorirla, adoperandosi con deciso impegno politico e diplomatico. Le scelte unilaterali, nell?attuale situazione internazionale, sono sbagliate sia in America che in Europa. Spetta quindi ai paesi europei, nel loro insieme, assumere una posizione comune che abbia il peso politico necessario a convincere l?Amministrazione americana a cambiare radicalmente rotta, pur mantenendo un ruolo nella questione irachena se così sarà valutato dall?Onu e dagli iracheni. La situazione è giunta a tale livello di complessità e di pericolo da non permettere un?ulteriore latitanza dell?Europa, pena la decretazione della propria irrilevanza politica per il futuro e pena la sfiducia degli elettori europei che si sono espressi in maggioranza contro la guerra e l?occupazione dell?Iraq. Gli elettori dei venticinque paesi, molto preoccupati per la dimensione globale che la crisi irachena ha assunto, chiedono ora una radicale svolta, pretendendo al contempo l?avvio di una seria politica estera e di sicurezza comune. L?Italia ha avuto in tutti i decenni passati due vocazioni, quella atlantica e quella europeista. Può quindi a buon titolo proporsi per costruire ponti di dialogo e di nuova comprensione: da un lato premendo per l?auspicato passo indietro in Iraq dell?Amministrazione Bush e della Coalizione e la fine ad ogni pretesa unilaterale e, dall?altro, agendo per una presa di coscienza politica comune dell?Europa e del ruolo che essa può e deve giocare a livello internazionale e nell?area mediorientale in particolare. 4. UNA FORZA DI PEACE KEEPING DELL?INTERA COMUNITÀ INTERNAZIONALE Sarebbe poi un errore coinvolgere la Nato, come tale, nella forza di peace keeping sotto il comando Onu. L?Alleanza Atlantica rappresenta infatti forze e interessi che provocherebbero un facile rifiuto da parte dei paesi dell?area e più in generale del mondo arabo e musulmano. La forza di pace potrà comprendere singoli paesi Nato ma insieme ad una forte rappresentanza dei paesi arabi e musulmani e, possibilmente, gli altri paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Sarebbe il segno dell?indispensabile novità, della fine della fase dell?occupazione, dell?assunzione del problema da parte dell?intera comunità internazionale, della non subalternità dell?Onu alla potenza di un solo paese. 5. SUPREMAZIA DELLA GESTIONE POLITICA RISPETTO A QUELLA MILITARE L?Onu è troppo debole, viene spesso ripetuto. Lo è, certamente. Ne abbiamo avuto prova anche in tutte le crisi dove le ONG sono intervenute. Lo è, però, perché così hanno voluto i paesi che ne fanno parte. Potrebbe essere forte, anche senza aspettare la grande riforma che tutti auspichiamo, se così fossero la volontà politica, le conseguenti risoluzioni e decisioni, l?impegno diretto della maggioranza dei paesi con la conseguente dotazione delle risorse finanziarie, umane e di sicurezza necessarie. Una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza si impone ormai con urgenza. L?Europa potrebbe avere un ruolo primario, dato che è attualmente rappresentata nel Consiglio da ben quattro Stati. La risoluzione potrebbe riprendere il piano messo a punto da Lakhdar Brahimi, l?inviato di Kofi Annan, su cui vi è già un parziale consenso delle principali forze irachene, inserendovi il vero punto della svolta, quello relativo al comando militare. Sarebbe il segno atteso della svolta, della supremazia della gestione politica rispetto alla gestione militare, con la presenza di forze di pace e con il rispetto della volontà delle Autorità rappresentative irachene. 6. LA CONFERENZA INTERNAZIONALE DI PACE La proposta di una conferenza internazionale di pace per l?Iraq, sotto l?egida dell?Onu, che veda l?attiva partecipazione della Lega araba e della Conferenza islamica insieme ai Paesi del G8 e all?Unione Europea, va sostenuta fino in fondo e realizzata quanto prima. Essa faciliterebbe la ripresa del dialogo e del confronto internazionale sull?Iraq e rafforzerebbe la lotta al terrorismo. L?Europa, grazie alla sua posizione geografica e a rapporti consolidati con i pesi mediterranei e mediorientali, può costruire un ponte di dialogo tra l?occidente e il mondo musulmano. Un altro compito a cui, nella situazione attuale, non può sottrarsi. 7. LA PAROLA AGLI IRACHENI, SENZA ESCLUSIONI Dopo tredici mesi di occupazione militare, dopo l?esperienza di un ?Consiglio iracheno di governo? composto da personalità scelte dall?esterno, solo parzialmente rappresentative e comunque delegittimate agli occhi degli iracheni, dopo una gestione del dopo guerra che ha tenuto subalterna la realtà irachena e le sue potenzialità, umiliandola, talvolta disprezzandola e provocando quindi un progressivo crescente rifiuto dell?occupazione militare, il punto centrale, senza il quale tutte le altre iniziative internazionali, compresa quella dell?Onu, perdono valore, è ora quello di ridare la parola agli iracheni. Non si tratta di cosa facile, data la molteplicità delle comunità che compongono la società irachena. Non si tratta infatti solo di curdi, sunniti e sciiti, ma di svariate e significative tribù o gruppi religiosi, di forze politiche rinascenti, di emergenti espressioni organizzate della società civile. Solo un?assemblea rappresentativa, ampia, composta da autorevoli esponenti di tutte le differenti realtà, può oggi esprimere il volere del popolo iracheno e può trovare le necessarie mediazioni per governare questo difficile e pericoloso periodo di transizione. Lo stesso inviato di Kofi Annan, Brahimi, l?ha considerata come una componente essenziale del suo piano. È lo strumento che può permettere la massima partecipazione, il confronto, l?assunzione di responsabilità senza che alcuna realtà significativa sia esclusa e si senta quindi costretta di farsi sentire attraverso l?uso della forza. Sarà da questa assemblea, sostenuta ed accompagnata internazionalmente, che potrà uscire la volontà del popolo iracheno, l?unica da cui non si può prescindere per poter delineare il futuro dell?Iraq. 8. ALL?ONU ANCHE IL COMANDO DELLA FORZA MULTINAZIONALE, PENA IL RITIRO È bene ribadirlo. Il passo indietro della Coalizione e, quindi, l?indispensabile svolta in Iraq si concretizzano pienamente con il passaggio del comando militare all?Onu o ad un?entità sopranazionale accettata dai rappresentanti riconosciuti della pluralità dell?Iraq. La decisione di questa svolta non può più aspettare. Il Segretariato dell?Onu ha avviato un delicato lavoro politico-diplomatico per identificare, con tutte le parti, un?idonea e condivisa soluzione. L?Associazione delle Ong italiane è convinta che lo sforzo dell?Onu debba essere sostenuto ed appoggiato, sia perché rappresenta l?unica via di pace percorribile, sia per il rispetto e il credito politico che devono essere garantiti a questa Istituzione internazionale. Dato che l?Amministrazione Bush mostra di voler continuare sulla propria strada optando per l?imposizione della propria forza e potenza, chiedendone all?ONU la copertura, allora occorre prenderne atto e il Parlamento e il Governo italiani, insieme agli altri paesi europei, hanno l?obbligo morale e politico di prendere nettamente le distanze da scelte che si sono dimostrate errate e pericolose e che possono condurre a situazioni di gravità non più controllabili. E il ritiro del contingente militare deve essere, coerentemente, la prima immediata decisione. 9. I PRINCIPI DELL?AZIONE UMANITARIA Anche se alcuni nostri volontari sono subito ritornati a Baghdad per rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione di Falluja o a Bassora per assistere i rifugiati di ritorno da anni di esilio in Iran, le ONG italiane operanti nell?Iraq centro-meridionale nei giorni scorsi hanno dovuto evacuare temporaneamente il proprio personale internazionale perché esposto a troppi rischi: minacce, rapimenti, attentati, uccisioni. Hanno continuato le attività con il personale locale, rimanendo con esso in costante contatto. Non è bastata la scelta politica di non collaborare con le forze di occupazione e di non avere rapporti con i militari per salvaguardare l?integrità dello spazio umanitario contro ogni possibilità di confusione e di inquinamento. Da parte delle Ong c?è stata una grande attenzione a rimanere e a mostrarsi nel proprio ambito di intervento, quello dell?aiuto umanitario e del sostegno alle comunità: distribuzione di beni di prima necessità, educazione, assistenza, sanità, acqua potabile, sminamento umanitario, crescita delle capacità autonome di sviluppo. I principi che guidano le Ong sono quelli universalmente riconosciuti come essenziali per l?azione umanitaria: la totale autonomia e indipendenza nelle scelte e nell?azione al fine di garantire la necessaria neutralità e imparzialità dell?aiuto. Purtroppo, lo spazio umanitario è sempre più invaso da altri principi, strumentalizzazioni e modalità di intervento che stanno restringendolo sempre di più, fino quasi ad annullarlo. 10. L?USO STRUMENTALE DEGLI AIUTI DA PARTE DEI MILITARI E DEI GOVERNI Le conseguenze sono gravissime e le Ong le constatano chiaramente in Iraq, e non solo, dove le missioni militari sono definite umanitarie, dove i militari hanno compiti umanitari, dove i soldati portano aiuti nei villaggi su mezzi blindati o comunque dotati di quelle stesse armi che uccidono, dove gli aiuti sono decisi sulla base delle convenienze politiche. L?abuso del termine umanitario, la sua strumentalizzazione, l?abbinamento degli aiuto con le armi stanno producendo un vero e proprio inquinamento dei principi e dell?azione umanitaria, creando grande confusione tra la gente che non riesce più a distinguere gli operatori umanitari dai militari e mettendo quindi a rischio i volontari che, come sempre, si presentano indifesi, senza alcuna arma se non quella del rapporto di fiducia e di solidarietà con le popolazioni. Imperativo umanitario, autonomia, indipendenza, neutralità e imparzialità sono principi inconcepibili in una forza armata, per definizione subalterna a decisioni politiche di parte. Le Ong chiedono quindi che sia finalmente abolito il termine umanitario da qualsiasi presenza o attività delle forze armate in contesti di conflitto. Occorre soprattutto che ognuno faccia il proprio mestiere senza ambiguità di sorta. Le popolazioni devono poter chiaramente distinguere tra operatori umanitari e militari, senza confusione dei ruoli. Si tratta di un punto di estrema importanza e attualità. È in gioco la stessa sopravvivenza dell?azione umanitaria delle Ong, quale dovere umano imparziale, strumento solo dell?imperativo umanitario e non di posizionamenti o tatticismi politici o militari. La netta distinzione è necessaria anche per ragioni di sicurezza, che richiedono che l?operatore umanitario non venga mai confuso in nessun modo con il militare. La temporanea uscita dall?Iraq di alcune Ong è, in parte, anche la conseguenza di questa confusione. Data l?estensione e la gravità del problema, le Ong italiane chiedono,un tavolo di confronto con i Ministri degli Affari Esteri e della Difesa per individuare regole di comportamento, da far valere anche a livello internazionale, a salvaguardia dell?azione umanitaria e in applicazione del diritto internazionale umanitario.


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