Mondo
Ong in mare e il reato di solidarietà
L'editoriale che apre il numero di VITA di maggio dedicato alla tempesta mediatica che si è abbattuta sulle organizzazioni non governative impegnate nelle operazioni di salvataggio dei profughi nel Mar Mediterraneo. Una tragedia che nel solo 2017 ha dovuto contare 1.089 morti di cui 160 bambini
Non dimenticherò mai quando, a fine febbraio 2016 il Comandante in capo della squadra navale mi introdusse (credo anche violando qualche regola) per pochi minuti nella Centrale operativa della Marina Militare, cuore del Comando della Squadra Navale che ha sede a circa 20 chilometri da Roma. All’interno della struttura blindatissima un megaschermo con una mappa geografica elettronica in cui ogni presenza e movimento nel Mediterraneo viene monitorata e seguita. Indicandomi il pullulare di presenze sul megaschermo l’Ammiraglio, non riuscendo a mascherare una profonda tristezza, chiosò: «Non solo in mare raccogliamo decine e decine di cadaveri, ma qui ci tocca assistere impotenti a naufragi, spesso anche provocati, a poche miglia delle coste libiche. Quando sui mass media scrivete i numeri dei morti nel Mediterraneo, lei si ricordi di moltiplicare almeno per dieci quel numero. Sa quanti tra noi sentono questo peso che neppure i supporti psicologici riescono a toglierci?».
Cari lettori, facciamolo assieme questo esercizio: nel 2016, 4.733 morti nel Mediterraneo (fonte Unhcr); 1 gennaio – 23 aprile 2017, 1.089 morti di cui 160 bambini (fonte Oim)! Quel che resta di umano nel nostro cuore e nella nostra testa sente lo scandalo provando a dare un nome, un volto, una storia a quelle decine di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da povertà, carestie, guerre? Se stiamo ormai scivolando verso l’abitudine, l’indifferenza, il cinismo, facciamoci aiutare dalle immagini dei pochi che hanno documentato questa strage continua che si perpetua ormai da anni. Pensavo a questo di fronte alla vergognosa campagna contro le Ong impegnate nel soccorso nel Mar Mediterraneo, per un totale di imbarcazioni impegnate quotidianamente che varia tra le otto e le tredici e che operano, è utile sottolinearlo, sotto il coordinamento e le indicazioni della Guardia Costiera italiana (Mrcc). «Ci rifiutiamo di restare a guardare dal molo» si legge nei siti delle Ong sotto attacco. E un comunicato di tutte le reti delle Ong recita: «L’aumento drammatico delle morti in mare e le migliaia di salvataggi a seguito dei naufragi dei barconi dei trafficanti — dovuti anche alla mancanza di canali regolari di ingresso in Europa — sono da alcuni ormai considerati una normalità e si rischia l’assuefazione a queste tragedie evitabili e alle sofferenze che esse comportano. Ma c’è chi, nella società non accetta questo tipo di “normalità” di chi si rifiuta di guardare la realtà e di affrontarla salvaguardando i valori di umanità e solidarietà, che sono la base della nostra convivenza».
Il dilemma etico e umano è proprio questo: restare a guardare dal molo o girarsi dall’altra parte di fronte alla carneficina o attivarsi per salvare vite umane? Questo è il primo punto imprescindibile. Nel 2016 grazie all’impegno coordinato di Guardia Costiera, Marina Militare, navi delle Ong e, in misura minore, da Frontex sono stati salvati 178.415 migranti, nel 2017 (al 23 aprile) 35mila. Ora questo impegno che dovrebbe renderci orgogliosi è da qualche settimana sotto attacco a causa di una ben orchestrata campagna media all’insegna delle fake news, dell’attivismo mediatico del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, e di uno scatenato vice presidente della Camera Luigi Di Maio secondo cui le navi delle Ong sarebbero “taxi” per migranti verso l’Italia organizzati in combutta con i trafficanti di esseri umani. Accuse gravissime, infamanti costruite sulla base di “si suppone”, “ si vuole capire”, “ci sono elementi che lo portano a pensare”, ”ci si domanda come sia possibile”, “parrebbe che”, e altre allocuzioni da bar sport. Allocuzioni che non fanno onore né al magistrato né al vice presidente della Camera che avrebbe al contrario l’onere di presentare una proposta politica seria di soluzione di fronte al fenomeno migratorio e alle condizioni di povertà dell’Africa.
Se gli sforzi di ricerca e salvataggio in mare venissero interrotti, non diminuirebbe il numero dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa, perché non cesserebbero i motivi che spingono uomini, donne e bambini a rischiare la vita in mare pur di non morire nei loro Paesi di origine o in Libia, né cambierebbe l’approccio disumano dei trafficanti senza scrupoli. Unica conseguenza sarebbe l’aumento del numero di morti in mare. La presenza di navi che operano per il salvataggio in mare non rappresenta un fattore di attrazione, ma solo un modo per consentire a un numero maggiore di persone di sopravvivere. Forse per coprire il fallimento delle politiche europee e nazionali si è pensato bene di introdurre oltre il reato di clandestinità anche il reato di solidarietà. Reagiamo per favore, prima che sia troppo tardi.
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