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Ong, fate un passo indietro

La proposta di un grande esperto di cooperazione allo sviluppo, Gianni Rufini: «A Beirut c’è una società civile forte. Per questo dobbiamo reinventare il nostro ruolo»

di Carlotta Jesi

«Per aiutare il Libano serve un fondo internazionale, e neutrale, gestito da un?istituzione immune da pressioni politiche incaricata di gestire l?aiuto umanitario. Caschi blu compresi». Secondo Gianni Rufini, docente di Cooperazione allo sviluppo e di peacekeeping presso l?Ispi di Milano e all?università di York, è un grande fondo umanitario, tipo il Global Fund contro l?Aids e la malaria lanciato dal segretario generale dell?Onu, Kofi Annan, la risposta alla grande domanda che il recente conflitto mediorientale ha posto alle ong occidentali: collaborare o no con Hezbollah? E, più in generale, con Hamas e altre organizzazioni dal triplo dna, filantropico, politico e terroristico al tempo stesso?

Ad oggi, molte ong si sono accontentate di una risposta più superficiale. Quella dei loro governi. Dal secco ?no? di George Bush, al ?sì? del nostro ministro degli Esteri, Massimo D?Alema per cui «Hezbollah non è considerata un gruppo terroristico dall?Unione europea, né lo è secondo me». Ma non tutte le ong, ha denunciato in prima pagina il New York Times ricordando che Hezbollah è oggi l?attore più qualificato per ricostruire le case distrutte del Libano e che non collaborarci significa gettare al vento i fondi sia del governo sia dei privati cittadini.
«Che sia necessaria una riflessione più approfondita?», si è chiesto il prestigioso quotidiano americano.

Gianni Rufini: L?indipendenza dai fondi governativi è la prima regola che consente alle ong di non rimanere ostaggio di pressioni politiche. Però non basta: serve un fondo umanitario, cui i governi occidentali si impegnino a donare un tot all?anno, gestito da un?istituzione blindata da ingerenze politiche.

Vita: Che tipo di istituzione?
Rufini: Il Comitato internazionale della Croce Rossa, per esempio. L?importante è che il fondo sia gestito da un?entità autonoma e che la somma donata dai paesi sia svincolata dai loro interessi di politica estera. L?organizzazione Medecins du Monde l?aveva proposto tempo fa, ma purtroppo quest?idea s?è persa nel dimenticatoio.

Vita: Il Medio Oriente pone nuove sfide alle ong e ai governi occidentali?
Rufini: Ci sono crisi facili e crisi difficili, quella del Medio Oriente è la più complicata di tutti. Perché la realtà, in questa parte del mondo, si presta a diverse interpretazioni. Ai cooperanti, per esempio, richiede più apertura mentale e più capacità di analisi di altre aree del mondo. E alle ong, in generale, la capacità di fare un passo indietro: perché in Medio Oriente c?è una società civile locale, organizzata ed efficiente, cui spetta il diritto di decidere come agire.

Vita: Sta dicendo che il lavoro delle ong occidentali in Medio Oriente non serve?
Rufini: No. Dico che, in loco, le ong dovrebbero avere un ruolo di comprimarie. Concentrandosi, piuttosto, sull?attività di advocacy a livello internazionale.

Vita: Personalmente crede che le ong debbano collaborare con organizzazioni come Hamas ed Hezbollah?
Rufini: Se si vuole costruire la pace, bisogna collaborare con tutti. Cercando di evitare facili giudizi e semplificazioni.

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