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Ong e trafficanti: il fact-checking del servizio di Report
Si torna a parlare di Ong in mare, questa volta a riaccendere le accuse è Report che, in un servizio andato in onda lunedì sera promette di svelare la verità su come avvengono “le operazioni di salvataggio dei migranti a largo delle coste libiche”, eppure molte cose non ci tornavano. Il fact-checking punto per punto
Musica concitata e la voce decisa di una giornalista che lascia presagire l’annuncio, di lì a poco, di una verità sconvolgente. Si apre così il servizio di Report andato in onda lunedì sera, che prometteva di svelare la verità su come avvengono “le operazioni di salvataggio dei migranti a largo delle coste libiche”. Invece di mettere in luce qualcosa di nuovo, il servizio ha però confuso ulteriormente le acque, sostenendo, senza prove effettive, una connivenza tra Ong e trafficanti.
1.Ong, migranti, trafficanti, guardia costiera libica e elicotteri della missione interforze Sophia: tutti insieme
Report: “La nostre immagini li immortalano tutti insieme!”
Nonostante il tono della giornalista lasci presagire altrimenti, in realtà non vi è nulla di strano. Come abbiamo scritto più volte la procedura di salvataggio prevede un coordinamento via radio del Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso in Mare (MRCC) della Guardia Costiera italiana, con sede a Roma. Ricevuta la segnalazione di una situazione di difficoltà o intercettata una richiesta di soccorso, l’MRCC invia in aiuto le imbarcazioni più vicine. Può capitare che queste siano barche delle Ong, motovedette della Guardia Costiera libica o altri tipi di imbarcazioni, dalle navi militari a quelle commerciali. Il fatto che sul posto si trovassero soggetti di provenienza diversa non può essere interpretato come una prova di presunti accordi segreti tra Ong e trafficanti.
2. La barchetta bianca e blu: “i facilitatori”
Accanto ai gommoni carichi di migranti, oltre alla Guardia Costiera Libica, appare anche una barchetta con a bordo quelli che sembrano pescatori ma su cui la giornalista solleva un sospetto, perché sono “Senza reti o canne da pesca” e poi, continua, “Secondo il Rapporto dell’Agenzia Frontex sarebbero facilitatori dei trafficanti”. Bisogna però offrire al lettore/spettatore 3 elementi necessari per leggere le immagini:
a.Chi è stato in quella porzione di mare può affermare che la barchetta bianca e blu ha tutte le sembianze di una barchetta da pesca. Chi è stato in quella porzione di mare, sa anche quanto sia difficile, effettivamente scrutare con i binocoli cosa ci sia a bordo di quelle minuscole barche. Non può essere stabilito con certezza che si trattasse degli stessi facilitatori menzionati da Frontex nel suo Rapporto.
b. Il dubbio della giornalista può essere legittimo, i cosiddetti “engine fishers” esistono, sono quelli che recuperano i motori dei gommoni per poi riutilizzarli, lasciando centinaia di disperati in mare aperto. Il punto è che, come è stato raccontato più volte da chi è sopravvissuto al viaggio nel Mediterraneo e come è stato affermato più volte dagli operatori umanitari e dai volontari, i trafficanti non sono così “premurosi” da accompagnare i gommoni dei migranti alle navi delle Ong. I trafficanti sono trafficanti. I “facilitatori” rimangono facilitatori.
c. Nel caso in cui si trattasse di facilitatori, il compito degli operatori umanitari rimane quello di eseguire gli ordini dell’MRCC e prestare quindi soccorso alle imbarcazioni in difficoltà.
3.Il saluto è d'obbligo
Report: “Ufficiali del governo libico di Serraj ci dicono che la motovedetta con a bordo uomini in mimetica e armati di Kalashnikov non è loro. Il saluto però è d’obbligo”.
Come ha ricordato Luca Misculin su “Il Post”, “Nei casi più gravi, le operazioni della Guardia costiera sembrano confondersi con quelle delle milizie armate, che secondo Nancy Porsia, giornalista esperta di Libia, fanno parte di un sistema che «permea tutta la struttura della società» libica. Il ruolo di queste milizie è diventato così rilevante che alcuni analisti ipotizzano persino che non esista un solo corpo di Guardia costiera, ma due, tre, oppure tante quante sono le milizie che controllano le città costiere. Nessuna di loro, nemmeno quella più legata al governo di unità nazionale, controlla più di qualche decina di chilometri di costa”.
Il saluto è d’obbligo, perché in mare, in una situazione critica e soprattutto durante un’operazione di soccorso, è d’obbligo anche ridurre potenziali conflitti o fraintendimenti.
4.La Guardia Costiera Italiana e Frontex non ci sono…
Report: "È una giornata di salvataggi, in arrivo una decina di imbarcazioni cariche di migranti, le Ong ci sono quasi tutte, la Vos Prudence di Medici Senza Frontiere, la Phoenix di Moas, Iuventa di Jugend Rettet, la Golfo Azzurro di Proactiva Open Arms e poi Sea Eye. Non c’è invece la Guardia Costiera italiana, come non c’è nessuno di Frontex”.
Anche qui nonostante, la calzante musica di sottofondo e il tono della giornalista lascino presagire qualcosa di molto sospetto, in realtà a 15 miglia dalla costa libica dove sarebbe stato effettuato il salvataggio è molto comune che non ci siano né la Guardia costiera italiana, né Frontex.
Come ripetuto, la Guardia Costiera italiana coordina le operazioni dalla centrale di Roma e, a differenza di “Mare Nostrum”, “Triton” l’operazione di Frontex il cui scopo principale è il controllo della frontiera e non il soccorso, si è mantenuto tra le 30 e le 138 miglia dalle coste italiane, difficilmente, insomma si spinge così a sud. Cosa, questa che è sempre stata contestata dalle navi umanitarie. Da Medici Senza Frontiere, a Sea Watch, fino a Sea Eye, tutti hanno sempre ripetuto di trovarsi in mare a fare ricerca e soccorso per supplire ad un vuoto dell’Europa.
5.Il motore spostato
Report: “La motovedetta libica va avanti e indietro, bruciano le barche utilizzate per trasportare i migranti. Prima verificano che il motore sia funzionante. La motovedetta si affianca alla barca in legno. Uno uomo solleva e sposta il motore. Siamo troppo lontani per capire se l’abbia tratto in salvo, quel che certo è che il motore sulla barca non c’è più”.
I casi possono essere diversi. La motovedetta può aver ritirato il motore per distruggerlo, oppure, come sembra sottintendere la giornalista potrebbe significare una presunta collusione tra motovedetta libica e presunti “facilitatori”. Ancora una volta in alto mare, la visuale non è chiarissima nemmeno a Report. Trarre conclusioni rimane difficile.
6.L'affondamento dell'imbarcazione: l'anomalia che non è anomalia
Report: “Dietro la nave di MSF avviene la consegna di una barca alla motovedetta libica. Un’anomalia perché il codice prevederebbe l’affondamento della nave e del motore”.
In realtà l’anomalia non c’è. Come ha lucidamente spiegato Stefano Bertoldi, volontario a bordo della nave Aquarius dall'8 settembre 2017 al 20 ottobre 2017, “L'affondamento dei gommoni con tutti i vari oggetti abbandonati a bordo, peraltro testimoniato e filmato per qualche secondo sullo sfondo proprio dal servizio di Report viene effettuato proprio per garantire l'impossibilità assoluta di riutilizzo di quelle sottospecie di natanti e viene effettuato o dalla guardia costiera libica o dagli stessi operatori della ONG Sos Mediterranee”.
7.La collaborazione tra Ong e facilitatori
Anche qui il video di Report mostra una piccola barca da pesca di fianco ad un gommone carico di migranti. Anche qui, dalle immagini non è possibile stabilire la natura dell’imbarcazione, come queste, a largo della Libia ce ne sono decine e decine. Potrebbero essere pescatori, oppure, come sostenuto dalla giornalista di Report, “facilitatori”. Indicano la nave dell’Ong che si avvicina. Non vi è però nessuna prova di accordi pregressi tra operatori umanitari e trafficanti o facilitatori.
Su Facebook il giornalista Giacomo Zandonini, che per Repubblica aveva passato 15 giorni a bordo della nave di Proactiva Open Arms, ha raccontato di aver visto come una di queste barchef osse particolarmente attiva. “Mantenendosi a distanza, riusciva a raggiungere il gommone dei migranti fra un trasbordo e l'altro, minacciandoli per farsi dare gli ultimi averi che avevano addosso”, afferma poi anche di non averli fotografati né ripresi perché, appunto, sembravano particolarmente minacciosi.
8.La questione giubbotti di salvataggio
Report: “Alcuni migranti sono già provvisti di giubbotto, quando le Ong arrivano però distribuiscono i loro di giubbotti. Quelli indossati dai migranti vengono lasciati sul gommone, preda di facilitatori che potranno così rivenderli. Il sospetto è che sia frutto di un tacito accordo tra facilitatori e Ong che quando tornano a bordo del gommone per affondarlo, lasciano i salvagenti a bordo”.
Un sospetto che, oltre ad avere lacune logiche, non è però provato dai fatti. Le Ong che operano in mare hanno protocolli interni di salvataggio piuttosto simili, con alcune differenze.
L’organizzazione di volontari tedesca Sea-Eye, ad esempio, da protocollo e quando le condizioni di soccorso lo consentono, fornisce i suoi giubbotti di salvataggio a tutte le persone che deve soccorrere, anche a quelle che hanno ne sono già provviste, questo perché, molto spesso, non si ha la certezza della sicurezza che i giubbotti forniti dai trafficanti siano sicuri.
Stefano Bertoldi, volontario sull’ Aquarius, ha scritto su Facebook “non orrisponde al vero che i giubbotti di salvataggio dei migranti vengono rigettati a bordo perché sostituiti con quelli della ONG in modo tale che possano essere usati nuovamente, primo perché questo non avviene in quanto spesso i migranti hanno i loro giubbotti e quindi perché i giubbotti vengono dati a chi non ne è in possesso o è in possesso di un giubbotto rotto e poi perché il gommone viene affondato con tutto il suo carico di oggetti abbandonati, compresi i giubbotti e il motore”.
In effetti qui anche il nesso logico che, secondo la giornalista di Report, dovrebbe tracciare un accordo silente tra Ong e trafficanti non risulta immediato: le imbarcazioni usate dai migranti vengono distrutte, insieme a tutto ciò che portano a bordo, o dalle Ong o dalla Guardia costiera libica. Com’è possibile quindi che i giubbotti siano lasciati su quelle stesse imbarcazioni per essere riutilizzati?
9.La motovedetta libica
Report: “Tutto questo avviene davanti agli occhi passivi della motovedetta libica che con i facilitatori e i trafficanti sembra anche avere un buon rapporto. Il suo ruolo sembra quello di assicurarsi che la merce, i migranti, venga consegnata”.
Sembra ma non è. Negli ultimi mesi su Vita abbiamo documentato i ripetuti attacchi della Guardia costiera libica alle Ong, un fenomeno che era già iniziato lo scorso anno. Gli operatori umanitari hanno sempre denunciato la violenza usata in mare dalle motovedette libiche proprio per recuperare i migranti e riportarli in Libia.
L’ultimo episodio è quello del 6 novembre a 30 miglia dalla Libia, in acque internazionali, dove almeno 20 persone sono annegate e altre 5, tra cui un bambino di circa 4 anni, sono state recuperate senza vita dall’imbarcazione dell’Ong tedesca Sea-Watch.
Vita aveva dato voce al volontario italiano presente a bordo, Gennaro Giudetti che aveva chiesto di incontrare il Ministro Minniti: “Mi preoccupa l’accordo che il governo italiano ha fatto con la Libia e il modo in cui vengono utilizzate le navi donate alla Guardia costiera libica. Credo che si debba fermare o modificare immediatamente l’accordo con la Libia”, ha dichiarato Giudetti in un appello raccolto anche dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini.
Il New York Times e il Washington Post hanno bollato come “molto pericolosa” la strategia Minniti, che punta a bloccare le partenze attraverso accordi con i diversi gruppi di potere in gioco nello scacchiere libico, inclusi gli stessi trafficanti. La scorsa settimana la Cnn aveva pubblicato l’inchiesta sui migranti venduti all’asta come schiavi nella zona di Tripoli.
Ancora una volta però i media italiani scelgono la strada più facile, guardare il dito che punta alla luna.
Sembra che non riescano a vedere quello che succede oltre le 15 miglia di acqua, che separano le acque internazionali da quelle libiche. Non riescono a vedere la terraferma, né a raccontare quello che davvero succede nei campi in Libia.
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