Uno degli episodi più citati della biografia di Obama riguarda i cinque anni passati a Chicago a fare il community organizer. E lui stesso, giustamente, va orgoglioso della cosa. Gli è piaciuto così tanto che non ha mai smesso di farlo.
Anzi il suo capolavoro in questa veste è stata la campagna elettorale delle presidenziali durante la quale è riuscito a mobilitare non solo un gran numero di persone, ma soprattutto le loro motivazioni che hanno fatto la differenza sia nel porta a porta che nei social network. Obama però è anche una persona pragmatica, tanto da far dire alla first lady che il marito non è un puro, ma uno capace di promuovere cambiamento costruendo artificiosamente, cioè con abilità e ingegno, reti di cooperazione che non sussistono in forma naturale: dalle micro comunità di quartiere fino a quella nazionale. Bel salto, niente da dire. E così, a un anno dall’elezione è legittimo verificare senza particolari remore che cosa il neo presidente ha restituito alla società civile che abita le comunità locali; a quella che, in termini un pò retorici, appare come la sua lobby più potente. Rispondendo in soldoni, come piace fare al di là dell’oceano, c’è uno stanziamento di 50 milioni di dollari per finanziare la ricerca e soprattutto la replicabilità di progetti di innovazione sociale che si sono dimostrati in grado di “catalizzare partnership tra strutture governative, soggetti non profit, imprese e filantropia”. Il tutto gestito da un apposito ufficio per l’innovazione sociale in raccordo con un altro importante programma: il “Serve America Act“. Insomma un primo tentativo che dimostra come Obama continui, fra le mille cose in agenda, a organizzare comunità investendo sui legami, più verticali che orizzontali, attraverso cui la società civile entra a pieno titolo nel gioco economico e politico. I contesti comunitari possono così accedere al bagaglio di risorse e opportunità della società globalizzata e così facendo rendono quest’ultima meno anonima e autoreferenziale. Un corto circuito notevole, per il quale forse 50 milioni e 365 giorni sono un pò pochi. Non so perché ma immagino Obama e il nobel dell’economia Elinor Ostrom parlare fitto fitto tra una portata e l’altra della cena di gala dopo la consegna dei premi. A proposito, ecco il menù.
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