Cultura

One Love Manchester. Una festa per non pensare

di Lorenzo Maria Alvaro

Scrivere certe cose non è semplice. Quando la retorica supera i livelli di guardia prendere posizioni diventa sempre molto complicato. E la retorica durante il concerto organizzato da Ariana Grande a Manchester in risposta all’attentato che ha funestato l’ultimo suo concerto era certamente fortissima.

Sul palco si sono alternati tantissimi artisti, le cui canzoni sono state cantate a squarciagola da decine di centinaia di ragazzini sognanti.

Il rischio di scrivere quello che sto per dire è di passare per bacchettone. Per il vecchio inacidito che si infastidisce nel vedere dei ragazzi divertirsi. E invece non è affatto così.

Sono d’accordo anche io: di fronte a chi vuole cambiare la tua vita e farti vivere nel terrore rispondere mostrando tutta la propria gioia di vivere è forse la via migliore.

Ieri però di fronte alle immagini televisive di Manchester sono stato travolto da una profonda tristezza. Sentire Justin Bieber dire che “Love always wins in the end” è stato come prendere un pugno in faccia.

Non è vero: l’amore non vince sempre alla fine. È una balla. La storia, la nostra storia, racconta tutto il contrario.

Ed è questo il mio problema. Ieri a Manchester ho visto cantare entusiasti centinaia di ragazzini (anche se il concerto era tutt’altro che tutto esaurito) il nulla. Canzoni e artisti che hanno fatto dell’intrattenimento la propria cifra (da Oasis a Coldplay passando per Bieber, Perry, Cirus e Williams). E, sia chiaro, l’intrattenimento non ha nulla di male. Va benissimo. Ma ieri si stava provando a rispondere al terrorismo. Un terrorismo che ha alle spalle una cultura, un credo, un pensiero. La risposta di Manchester (ma in qualche modo di tutti noi) alla morte di decine di nostri ragazzini è stata qualche frase da Bacio Perugina e canzoni insignificanti.

Chi tra noi, di fronte alla perdita di un figlio assassinato, canterebbe Roar di Katy Perry o Fix You dei Coldplay? La morte è una cosa seria. Ed è questa la cosa più preoccupante: sembriamo non in grado di essere seri. Rivendichiamo con tutte le nostre forze la libertà di divertirci. E ci mancherebbe. Ma non può essere questa la nostra cifra. Non possiamo credere veramente che il nostro modello sia questo. Che il nostro pensiero, la nostra cultura, il nostro essere si riassuma in qualche frase insulsa e inconcludente.



Non è un gusto dell’annoiarsi o del dover essere seri a tutti i costi il mio.

Recentemente si è suicidato Chirs Cornell che era un delle voci più importanti di un movimento musicale piuttosto recente, il grunge, che negli anni 90 diede voce al disagio e alla rabbia di una generazione. Ed è questo che dovrebbe fare la musica, e in generale l’arte: provare a comprendere i tempi e l’uomo. Aiutare a capire. L’intrattenimento invece serve all’esatto contrario: a non pensarci.

Questo è il mio cruccio con One Love Manchester. Ci siamo ritrovati per non pensarci. Per non pensare al sangue innocente versato, a quello che siamo e a quello che viviamo. Ed è triste.

Secondo l’Associazione Internazionale di Prevenzione dei Suicidi (IASP), che basa le sue affermazioni sui dati più aggiornati a disposizione del 2012, nel mondo si suicidano circa 800mila persone ogni anno (ma i tentativi di suicidio sono ancora più alti). Si uccide una persone ogni quaranta secondi. Ed è la seconda causa di morte tra le persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Ma il dato più incredibile è che il paese con il minor numero di suicidi al mondo è l’Arabia Saudita (0,4), seguita da Siria (0.4), Kuwait (0.9), Libano (0,9), Oman (1) e Iraq (1.7).

A questo si deve aggiungere che stando agli studi di diversi enti tra cui Harvard School of Public Health, World Economic Forum, Ipsad e European Journal of Neuropsychopharmacology da una parte sono in crescita esponenziale i disturbi mentali nei Paesi ad alto reddito, dall’altra cresce a ritmo vertiginoso l’uso di psicofarmaci (sia antidepressivi che ansiolitici). Un dato su tutti: in cinque paesi occidentali (Usa, Gran Bretagna, Germania, Danimarca e Olanda) è aumentato del 40% in sette anni, tra il 2009 al 2016.

Ma di questo nelle nostre canzoni non c’è traccia. Noi, pensando ai nostri morti, cantiamo “Because I'm happy”. Noi di fronte alla vita e alla morte ormai decidiamo di non pensarci.

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