Migrazione sanitaria

Oncologia: piccoli pazienti in viaggio verso nord

L'analisi condotta dall'associazione italiana ematologia e oncologia pediatrica Aieop sui suoi centri e le migrazioni degli ultimi 30 anni mostra che gli spostamenti partono dal sud e dalle isole. A dieci anni dalla diagnosi la sopravvivenza è maggiore in chi parte alla ricerca di centri di riferimento e di competenze specialistiche

di Nicla Panciera

Provengono dal Sud e dalle Isole e hanno più spesso un tumore solido: è questo l’identikit dei piccoli pazienti oncologici costretti a migrare fuori regione per curarsi. Chi lo fa, a distanza di dieci anni dalla diagnosi, ha anche una sopravvivenza maggiore: circa 78% rispetto al 69% di chi non emigra.

Lo mostra un’analisi condotta dall’Associazione Italiana Ematologia e Oncologia Pediatrica Aieop e recentemente pubblicata sull’Italian Journal of Pediatrics che ha quantificato l’entità della migrazione sanitaria in ambito onco-ematologico pediatrico e la sua evoluzione negli ultimi 30 anni, provando ad analizzarne l’impatto. L’obiettivo principale dello studio è stato quello di valutare l’impatto della migrazione dei bambini malati di cancro verso i centri Aieop al fine di verificarne la distribuzione ottimale su tutto il territorio nazionale.

La rete di centri è estesa su gran parte del territorio nazionale. Fanno eccezione regioni come la Basilicata, il Molise e la Valle d’Aosta, che non dispongono di centri Aieop, ma possono comunque contare su strutture geograficamente vicine a cui fare riferimento per i piccoli pazienti. Ciononostante, la migrazione sanitaria in oncoematologia pediatrica verso ospedali al di fuori della regione di residenza è ancora un fenomeno diffuso, motivato da differenti ragioni.

I dati di riferimento sono stati estrapolati dallo studio osservazionale-prospettico denominato Modello 1.01, attivo in tutti i centri Aieop, che consente di registrare tutti i casi di patologie onco-ematologiche diagnosticate in età pediatrica nei centri della rete, in Italia. L’analisi si riferisce al periodo compreso tra il 1988 e il 2017 ed è stata effettuata su 41.205 pazienti registrati, con un’età compresa tra 0 e 20 anni al momento della diagnosi.

I risultati hanno documentato una migrazione extra-regionale nel 19,5% dei casi, evidenziando un trend in diminuzione: nel decennio 1988-1997, infatti, essa si attestava attorno al 23,3%, mentre nell’arco temporale compreso tra il 2008 e il 2017 il valore è sceso al 16,4%. Lo studio ha messo in risalto come la migrazione sanitaria abbia coinvolto maggiormente pazienti affetti da tumori solidi rispetto a quelli affetti da leucemie e linfomi. I flussi più corposi di migrazione hanno origine dal Sud e dalle Isole più che dal Centro e dal Nord, con regioni virtuose che sono scese sotto la soglia del 10% come Lazio e Lombardia e regioni nelle quali invece si registra ancora una migrazione per oltre il 60% dei casi, come la Calabria.

Rispetto all’impatto della migrazione sanitaria sulle possibilità di guarigione, è stato documentato come i pazienti che migrano fuori regione abbiano una sopravvivenza complessiva a 10 anni dalla diagnosi del 69,9% rispetto a quelli che sono curati in centri a pochi chilometri da casa, nei quali la sopravvivenza si attesta attorno al 78,3%. Questo dato grezzo, contestualizzato rispetto a patologie ad alta complessità che richiedano centri specializzati e un approccio multidisciplinare, risulta invertito.

Scrivono gli autori nelle conclusioni: «Permane una certa quota di migrazione interna, le cui cause possono essere facilmente individuate: migrazione motivata dalla ricerca di alta specializzazione, migrazione per mancanza di strutture locali, o regioni in cui non sono presenti centri Aieop, che rendono la migrazione obbligatoria. Un migliore coordinamento tra i centri Aieop potrebbe aiutare a ridurre le cosiddette migrazioni evitabili, ma bisognerà considerare scelte tecniche e politiche, con la partecipazione attiva dei tecnici del settore», in altre parole i decisori.

 «La migrazione sanitaria in onco-ematologia pediatrica» spiega Arcangelo Prete, presidente di Aieop «è un fenomeno ancora presente in Italia, nonostante esista una rete che copre pressoché tutto il territorio nazionale. Non è tuttavia un fenomeno da demonizzare. Semplicemente le patologie che trattiamo sono molto rare e, per tale motivo, i pazienti necessitano di centri di alta specializzazione. Il ruolo della rete e dei centri regionali è quello di provvedere al corretto inquadramento dei pazienti e di valutare quali siano le situazioni che necessitino di essere prese in carico da centri con differente specializzazione extra regione. Il dato della differente mortalità, infatti, potrebbe essere correlato a un riferimento più tardivo dei pazienti verso centri specializzati o a situazioni di malattia avanzate già alla diagnosi. Stiamo lavorando per comprendere appieno questo fenomeno con l’unico obiettivo di garantire in Italia le cure migliori per i nostri pazienti».

Foto di Taylor Flowe su Unsplash

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