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Omossessuale e cristiano: Alberto, il suo parroco e Testori

La vita è mettere in gioco la propria diversità nel modo meno “sconcio” possibile. La lezione di Giovanni Testori.

di Riccardo Bonacina

Alberto Ruggin, 21 anni, vive ad Este (Padova). Il giovane Ruggin, tutto casa e parrocchia, ha raccontato in tv di essere omosessuale. La reazione in città è stata peggiore del previsto: il parroco lo ha chiamato e gli ha chiesto di non andare più a cantare nel coro parrocchiale, i concittadini si sono schierati in due fazioni, pro e contro. Lui tira dritto. Gianni Geraci, presidente del Gruppo del Guado – Omosessuali cristiani gli ha scritto questa lettera aperta che giro anche a voi. (R. T.)
Caro Alberto, certamente il tuo parroco non ha capito il grande valore della scelta che hai fatto quando hai deciso di non nascondere più la tua omosessualità. Non c?è infatti nulla di male nell?essere omosessuali. Il male è piuttosto legato all?ipocrisia in cui spesso si vive questa condizione. Tu hai scelto di abbandonare questa ipocrisia e, così facendo, hai senz?altro fatto la volontà di Dio: Gesù, infatti, nel Vangelo, non condanna mai l?omosessualità, mentre spesso usa parole molto dure nei confronti dell?ipocrisia. È quindi dall?abbandono dell?ipocrisia che inizia il cammino di conversione a cui il Signore ci chiama. Continua a pregare caro Alberto, continua ad animare le liturgie a cui partecipi, ma soprattutto, continua a cantare, perché il tuo canto, adesso, è senz?altro molto più gradito a Dio. Vedrai che alla fine, non solo il tuo parroco, ma anche tutti i perbenisti che ti condannano, capiranno che anche tu sei fatto a immagine e somiglianza di quel Dio in cui convivono le infinite sfaccettature dell?unico amore.

Gianni Geraci, presidente del Gruppo del Guado – Milano

Più di 13 anni fa intervistai Giovanni Testori, omosessuale e cristiano. Stava molto male e di lì a poco ci lasciò. In quell?intervista, commentando la nascita di un assessorato con delega ai problemi dell?omosessualità, mi disse: «Mi sembra una cosa sconcia. Prima di tutto perché separa un?altra volta: si fa tanto perché non siano separati e poi si fa un assessorato solo per gli omosessuali, così li si timbra due volte. E poi perché si spegne l?idea e la parola diversità. Ogni preconcetto, infatti, è una condizione che può essere furentemente positiva. Diverso come è diverso ciascuno di noi. Solo però se la si vive nella sua drammaticità, se non la si esibisce, ma si prova a trasformarla facendoci i conti. (…) Nel mio caso vivere la mia diversità nella sua drammaticità ha significato scoprire che in verità io cercavo un figlio, il figlio che non potevo avere. E difatti, per me, quello che era la riduzione erotica del rapporto non aveva peso. Aveva peso la quantità di splendore che vedevo e la richiesta dell?altro di un affetto». A me è sempre parsa una grande lezione, per tutti. In fondo, la vita è mettere in gioco la propria diversità nel modo meno ?sconcio? possibile. E questo riguarda persino i parroci.


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