Welfare
Omogenitorialità: quello che la ricerca scientifica dice agli operatori
Ciai e Cam hanno ideato un percorso di formazione per psicologi e assistenti sociali che operano nei vari servizi per minori, in cui le richieste di affidamento e adozione da parte di coppie dello stesso sesso sono sempre più numerose. Un dialogo con Diego Lasio
Ma come si preparano le famiglie d’origine? Quali narrazioni sono più utili per spiegare ai bambini la storia della propria origine? Come gestire il rapporto con la donna che ha portato avanti la gravidanza o con il donatore del seme? Sono quesiti molto concreti quelli posti dagli operatori dei vari servizi che si occupano di minori e di adozione che martedì hanno partecipato al primo incontro del corso “Omogenitorialità nell’affido familiare e nell’adozione” organizzato da Ciai e Cam.
«Ho riscontrato una grandissima apertura mentale da parte dei professionisti, come peraltro mi aspettavo dal momento che il mondo delle professioni sociali ha sempre una grande disponibilità all’accoglienza e all’ascolto, per professione e per caratteristiche personali. Il tema non è se l’opzione sia accettabile o meno, ma “cerchiamo gli strumenti giusti per lavorare al meglio in queste situazioni, perché ci sono specificità innegabili». A parlare così è Diego Lasio, psicologo e psicoterapeuta, docente di Psicologia delle relazioni familiari all’Università di Cagliari, consulente Ciai. È lui che tiene il corso, insieme a Marco Chistolini.
L’idea nasce dal fatto che al di là del pieno riconoscimento giuridico, l’esperienza di persone omosessuali che hanno avuto dei figli, acquisendo così il ruolo genitoriale, è una realtà ormai diffusa nel nostro Paese. Come aumentano le coppie che hanno desiderio di genitorialità che potrebbero, per esempio, avvicinarsi all’affidamento, dove non ci sono vincoli formali all’accoglienza di un minore da parte di un single o coppia omosessuale. Il tema vede contrapporsi posizioni molto diverse, spesso ideologicamente molto connotate. Ogni operatore si trova un po’ in balia della sua sensibilità e delle sue opinioni: «le conoscenze non sono così diffuse perché ancora oggi molto raramente questi temi vengono affrontati in Università. Io insegno all’ ultimo anno della laurea magistrale in psicologia, al quinto anno di formazione e gli studenti spessissimo mi dicono che è la prima volta che ne sentono parlare… Manca una base scientifica nell’approcciare l’argomento, al di là della sensibilità dei singoli che molto spesso dà comunque vita a percorsi di grande valore».
Le conoscenze non sono così diffuse perché ancora oggi molto raramente questi temi vengono affrontati in Università. Io insegno all’ ultimo anno della laurea magistrale in psicologia, al quinto anno di formazione e gli studenti spessissimo mi dicono che è la prima volta che ne sentono parlare… Manca una base scientifica nell’approcciare l’argomento, al di là della sensibilità dei singoli
Diego Lasio
Ecco quindi l’idea e l’approccio scelto: mettere a disposizione dei professionsiti la letteratura scientifica più recente, organizzata per temi. «Ormai a livello internazionale abbiamo una grande quantità di studi scientifici che consentono di affrontare il tema con obiettività e rigore, superando preconcetti e prese di posizione. Questa non è una battaglia ideologica, ma un percorso che va affrontato con rigore scientifico per sconfiggere pregiudizi e discriminazioni che ormai appaiono infondati», dice Lasio. Hanno risposto molte psicologhe e assistenti sociali, persone che lavorano nei servizi minorili e nei tribunali, residenti per lo più nel Nord Italia ma anche con un nutrito gruppo di operatori attivi nel Canton Ticino: le richieste sono state tante da aver già messo in cantiere una seconda edizione per gennaio.
Cominciamo dai numeri. Quante sono le persone omosessuali o le coppie che hanno figli o che potrebbero essere interessate all’affido o all’adozione? «In Italia non abbiamo altri canali per avere informazioni statistiche che non sia l’associazione Famiglie Arcobaleno. L’Istat ha rilevato la diffusione nel nostro paese di persone lesbiche e gay con figli e coppie omosessuali con figli solo nel 2012, poi il dato non è più stato rilevato, quindi manca la statistica. Allora si parlava di 500 famiglie composte da coppie di persone gay o lesbiche con figli, evidentemente era un dato già allora parziale, basato su ciò che le persone dichiaravano e non considerava le esperienze di affidamento. Oggi sono sicuramente superiori», spiega Lasio.
La letteratura scientifica, nel corso, va innanzitutto indagare le caratteristiche delle coppie dello stesso sesso, «sfatando tanti pregiudizi che vi si radicano: spesso le coppie lesbiche o gay sono considerate instabili, promiscue, aperte a rapporto extraconiugali… mentre la ricerca ci dice che aspirano a una relazione di coppia duratura quanto le coppie eterosessuali», afferma Lasio. «Smentita» anche l’idea che nella coppia vi sia una suddivisione dei ruoli che ricalca quella eterosessuale, con una persona che “fa l’uomo” e l’latra che “fa la donna”. Una ricerca sul desiderio delle persone italiane gay e lesbiche di avere figli, racconta Lasio, ha rilevato dati molto simili a quelli delle coppie eterosessuali: «più complesso è il passaggio dal desiderio all’ intenzione vera e propria dal momento che entrano in gioco altri fattori, come la possibilità o meno di accedere all’adozione o alle tecniche di PMA; il timore di doversi confrontare con un contesto sociale con molti pregiudizi. Nell’adozione in generale oggi la reazione del contesto sociale spaventa più che in passato, con la preoccupazione forte per come il contesto reagirà dinanzi ad esempio alla diversità somatica evidente di un bambino».
Rispetto alle competenze genitoriali e al benessere dei bambini che crescono in famiglie con genitori dello stesso sesso, «la ricerca dice che non si trovano differenze sostanziali rispetto alle competenze genitoriali, all’empatia, alla disciplina, alla responsabilità rispetto ai bisogni dei figli. Rispetto ai bambini, come ho scritto anni fa… sono tutti conformisti nel senso che non hanno differenze rispetto alla definizione dell’identità di genere rispetto agli altri bambini e il loro orientamento sessuale è nella grandissima maggioranza dei casi eterosessuale. Sanno riconoscere il proprio genere anche perché bambini vivono esclusivamente con i genitori dello stesso sesso, contatto con altri bambini, altri adulti, con i media francamente non esistono. Imparano così a riconoscere cosa vuol dire essere maschio e femmina. Si rileva invece una maggiore apertura e tolleranza da parte dei ragazzi cresciuti in coppie omosessuali circa i comportamenti non eterosessuali e una maggiore disponibilità a contemplare la possibilità di avere nella propria vita esperienze sessuali diverse rispetto a quella prevalente», spiega Lasio. Per quanto riguarda invece le relazioni sociali e l’eventuale stigma, la preoccupazione dei genitori li porta a preparare i figli ad affrontare la discriminazione, «come se volessero dotarli una corazza o prepararli a reagire in modo adeguato. In questo senso l’appartenenza a reti sociali composte da famiglie con caratteristiche simili aiuta tantissimo, come avviene anche per altre specificità familiari».
La ricerca dice che non si trovano differenze sostanziali rispetto alle competenze genitoriali, all’empatia, alla disciplina, alla responsabilità rispetto ai bisogni dei figli
Le storie come quella di Luca Trapanese e della piccola Alba «aiutano a rinforzare chi si trova in percorsi analoghi, è di aiuto a chi pensa di non poterlo fare. Nella letteratura c’è una maggiore disponibilità da parte delle coppie gay e lesbiche ad accogliere bambini special needs, in particolare è nettamente superiore rispetto a bambini e ragazzi che hanno alle spalle storie problematiche che hanno coinvolto la sfera sessuale, che hanno subito abusi o che hanno criticità nella loro identità sessuale».
Ma cosa succede quando una famiglia ha bisogno del supporto di un’altra famiglia per far crescere il proprio figlio? La famiglia d’origine come reagisce rispetto a una coppia affidataria same sex? «Esperienze in Italia ci sono, non codificate, ma gestite caso per caso. È un tema che sta emergendo nei servizi, legato però più che altro al fatto che in generale il lavoro con la famiglia di origine è – per mille ragioni – un punto debole del sistema. Simbolicamente l’altra famiglia, quella di accoglienza, ha caratteristiche “migliori” e questo ovviamente ha un peso nell’immaginario e nel vissuto della famiglia biologica ma insieme ad altre caratteristiche, ad esempio il fatto che il bambino vada in una famiglia più agiata, con un diverso sistema valoriale, con un’altra religione… Del resto potrà anche accadere il contrario, ci sarà anche la famiglia con genitori dello stesso sesso ad avere bisogno del supporto di una famiglia affidataria e questo comporterà un lavoro di accettazione da parte della famiglia accogliente», conclude Lasio.
Foto Unsplash
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