Queste riflessioni sono state stimolate dall’elaborazione dell’intervento "La Cultura del Dono quale strumento e motore di sviluppo inclusivo e coesivo dei territori: il ruolo delle Fondazioni di Comunità", svolto in occasione del Convegno Smartland 2018 organizzato dall’Università dell’Insubria e disponibile a questo link
Noi viviamo in una società estremamente ricca che però non è in grado di soddisfare un numero crescente di bisogni fondamentali. Questa incapacità diventa ancora più grave se si considera come, assieme ai bisogni insoddisfatti, vi siano tantissime risorse che giacciono inutilizzate e ciò, oltre ad essere un colpevole spreco di energie, genera ulteriori problemi sociali, si pensi solo alla disoccupazione giovanile e a tutte le sue conseguenze. Dobbiamo riconoscere come automatismi del libero mercato e intervento pubblico siano manifestamente incapaci sia di garantire la piena occupazione, così come di permetterci di superare una crisi che, per dimensione e durata, deve necessariamente essere considerata strutturale.
In questi decenni si è cercato di andare oltre questa crisi attraverso l’implementazione di processi di modernizzazione e di razionalizzazione, con l’obiettivo di trasformare l’Italia in un Paese “normale”. Purtroppo sino ad oggi tutti questi tentativi hanno sostanzialmente fallito, tanto che ci si potrebbe chiedere se l’italiano, magari perché non ha avuto la riforma protestante, non sia strutturalmente incapace di essere moderno.
Se non si vuole lasciarsi andare allo sconforto e al pessimismo è però necessario trovare un’alternativa. Un numero crescente di analisti si sta infatti domandando se questa crisi non sia la conseguenza di un’inadeguata modernizzazione, ma, al contrario, l’esito necessario della modernità e che quindi il malessere presente potrà essere superato solo trovando una via per andare oltre un processo storico che è nato nel Seicento e che ora sembra imprigionato nel mito della fine della storia. Del resto è abbastanza facile collegare la disgregazione sociale e la perdita di fiducia proprio all’assolutizzarsi della razionalità formale e del pensiero strumentale che ne consegue, ossia ai fondamenti stessi della modernità.
Una delle caratteristiche principali della modernità è l’aver abbandonato l’interpretazione classica dell’essere umano, la quale lo considerava un essere relazionale per essenza, uno zoon politikon, per sostituirlo con un individuo che entra in relazione con l’altro solo per ragioni strumentali. Come ebbe a dire l’abate Sieyès nel suo progetto di dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino durante la Rivoluzione Francese, “gli uomini sono gli uni per gli altri strumenti o ostacoli”. Ora è evidente che la conseguenza di questa visione antropologica è la trasformazione dei mezzi (il denaro e il potere) in fini e la contemporanea riduzione dei fini (gli esseri umani) in mezzi, in un processo di strumentalizzazione reciproca, con una progressiva erosione delle reti sociali e del patrimonio di fiducia, patrimonio che è peraltro indispensabile per il corretto funzionamento non solo delle istituzioni democratiche, ma anche del libero mercato.
Se le istituzioni moderne per antonomasia (la democrazie a il mercato) per poter operare hanno bisogno di un fattore: la fiducia, che i principi costitutivi della modernità stanno distruggendo, è illusorio pensare di superare la crisi presente attraverso forme di razionalizzazione che finiranno obbligatoriamente per aggravare il problema. Diventa necessario andare oltre la modernità, ossia individuare una leva che ne sia al di fuori e che, come diceva Archimede, ci permetta di sollevare il mondo. Si tratta, in altri termini, di scoprire se esista un elemento fondamentale per la vita umana che la modernità abbia ignorato, eventualmente considerandolo un residuo arcaico destinato a scomparire.
Benché una simile ricerca possa apparire a prima vista impossibile, oggi è possibile riconoscere come una simile leva esista realmente. Essa è ben presente nella nostra vita e si chiama dono. Il dono è infatti una relazione incomprensibile all’interno del pensiero strumentale (se il dono è strumentale non è più dono) ed effettivamente la modernità lo ha sempre guardato con grande sospetto, cercando di ignorarlo e di confinarlo alla sfera privata dell’individuo. Malgrado ciò, si tratta di una forza che continua a permeare le nostre esistenze, tanto che sarebbe facile dimostrare come non esista azienda profit che possa prosperare se al suo interno non vi è un’importante presenza di doni, ossia di atti che non sono riconducibili ai doveri contrattuali e che non vengono fatti con la speranza di ottenere un qualche beneficio che non sia la soddisfazione di aver fatto ciò in cui si crede.
Ora il dono non solo è una modalità estremamente efficace per sviluppare le relazioni sociali senza le quali il minimo inconveniente rischia di trasformarsi in una tragedia e per ricostruire quel patrimonio di fiducia a cui abbiamo già accennato, ma può rivelarsi una leva molto efficace per favorire il conseguimento della piena occupazione, contribuendo così a superare la crisi presente. Se si guardano con maggiore attenzione i bisogni che la nostra società non riesce a soddisfare, si vedrà che si tratta di bisogni sociali, di bisogni cioè che possono essere appagati attraverso la produzione di beni e servizi in grado di rispondere contemporaneamente alle necessità di una pluralità di soggetti diversi. Un dopo scuola per ragazzi difficili è sicuramente utile per quegli studenti e per i loro genitori, magari anche solo per poter “posteggiare” in un luogo sicuro i propri figli, ma può rispondere, per non fare che alcuni esempi, alle esigenze di welfare aziendale, a quelle di un’amministrazione locale che vuole dar vita ad una politica giovanile, a quelle di una fondazione che vuole dimostrare di poter contribuire al bene comune, a quelle di un volontario che vuole passare parte del proprio tempo con dei giovani, così come a quelle di un donatore che vuole sentirsi protagonista di un progresso sociale che ritiene fondamentale per il futuro della propria comunità. Ora, di norma, le risorse che ciascuno di questi soggetti può dedicare a tale servizio, se prese singolarmente, non sono sufficienti per pagarne i fattori produttivi, ma se ci fosse un soggetto, di fatto un impresa sociale, in grado di aggregare tutte queste energie, si potrebbe conseguire la sostenibilità economica di tale attività, migliorando la qualità della vita di tutti questi soggetti e nel contempo creando nuove opportunità di lavoro, con tutte le conseguenze positive che è facile immaginare.
In questo processo il dono può avere un ruolo fondamentale, non solo perché è in grado di generare una parte di queste risorse (filantropia, volontariato, donazioni), ma anche e soprattutto perché, per riuscire a riunire tutti questi soggetti, superare le reciproche diffidenze, innescare quei processi fiduciari che permettono di andare oltre il rischio dei free riders, il mero interesse non è sufficiente. Bisogna avere il coraggio di scommettere sull’altro, di innescare una catena di atti liberi, di generare un vero atto di fede e tutto ciò è possibile solo grazie promuovendo delle relazioni che abbiano nel dono il loro fondamento.
Nel creare un’infrastruttura sociale che abbia come fine quello di promuovere il dono, l’intermediazione filantropica non si limita a mobilitare risorse con cui finanziare iniziative d’utilità sociale. Essa può dare un contributo significativo nella creazione delle condizioni necessarie per riscoprire un elemento costitutivo della natura umana e così trovare le energie per andare oltre la crisi presente. Si tratta in altri termini di una possibilità concreta per dotare la nostra società degli strumenti, innanzitutto culturali, utili a costruire un orizzonte in grado di dare una reale speranza al nostro agire e di ricreare una comunità che sia veramente fatta e pensata a misura d’uomo. Grazie all’assistenza di chi ci aiuta a non divergere la nostra attenzione da ciò che è veramente importante e ci permette di riscoprire l’enorme potenza del dono, possiamo ragionevolmente sperare di innescare un processo che ci permetta di andare oltre la modernità e quindi di superare una crisi che è illusorio sperare di affrontare utilizzando i concetti e i valori che l’hanno generata.
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