Non profit
Oltre la malattia Il nuovo vocabolario della disabilità
Dal Friuli una road map per applicare l'Icf
di Redazione
Persona, ambiente, salute sono al centro del nuovo modello di uomo descritto dall’Icf, la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute. «Per capire davvero la proposta di classificazione, un passaggio fondamentale è superare l’equivalenza tra malattia e disabilità», afferma Lucilla Frattura, medico dell’Agenzia della sanità del Friuli Venezia Giulia. L’ente è il Centro collaboratore per l’Italia dell’Organizzazione mondiale della sanità per le classificazioni internazionali. L’Icf fa cadere quest’equivalenza utilizzando il concetto di funzionamento. La classificazione non descrive un uomo malato, ma permette di descrivere l’interazione tra persona e ambiente. Il testo è stato approvato nel 2001 ed è stato presentato a Trieste nel 2002 alla presenza di rappresentanti di oltre 60 governi. Nel 2007 a Venezia è stata presentata la versione di Icf adattata per bambini e adolescenti. Nello stesso anno l’Oms ha riconosciuto all’Italia il ruolo di Centro collaboratore per la famiglia delle classificazioni internazionali. «Avere una classificazione non equivale a utilizzarla», precisa Frattura, «il lavoro che si sta facendo consiste nel mettere a punto le modalità di utilizzo dell’intera struttura classificatoria. Vogliamo utilizzare l’Icf, e dunque un nuovo modello di uomo e di salute, come base su cui contribuire a riscrivere le politiche di welfare».
L’Agenzia della Sanità del Fvg, in collaborazione con il ministero, ha avviato un progetto che coinvolge nove regioni italiane, con l’obiettivo di descrivere il funzionamento di mille persone usando il linguaggio dell’Icf. «È come se fosse una lingua straniera, di cui è necessario imparare il vocabolario e le regole grammaticali», prosegue Frattura, «per questo stiamo realizzando corsi di formazione su come leggere l’interazione tra uomo e ambiente. Si allarga il concetto di “barriera”, che non è solo quella architettonica, ma sono anche, ad esempio, gli atteggiamenti culturali stigmatizzanti o il possesso di beni e servizi insufficienti. Si precisa il concetto di “facilitatore”, come può essere un operatore pubblico competente, un ausilio tecnologico indispensabile per la mobilità, l’essere seguito da un insegnante di sostegno, ecc. Abbiamo coinvolto circa 800 operatori della sanità e dei servizi sociali in queste nove regioni».
L’ambizione è riformare le procedure di accertamento della disabilità. «Ciò però richiede un impegno collettivo che comporterebbe anche di rivedere l’impianto normativo attuale. Basti pensare che il termine oggi considerato politically incorrect di “handicappato” è ancora il fulcro di norme che hanno segnato l’evoluzione positiva delle politiche italiane in favore delle persone con disabilità», prosegue Frattura. «Confidiamo nelle prospettive aperte dall’adozione da parte dell’Italia della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che faciliterebbe la revisione delle norme esistenti. Se non ci fosse il nesso tra malattia e disabilità, che ha portato alla discriminazione di una parte della popolazione, non ci sarebbe il bisogno di una Convenzione Onu. Ancora oggi, invece, chi ha una faccia strana, cammina in modo strano, chi porta su di sé gli effetti visibili di una malattia, viene automaticamente etichettato come diverso. Cosa che non avviene per chi ha il diabete o ha avuto un infarto: non viene chiamato disabile».
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