La lotta alla disuguaglianza è in gran parte monopolizzata da approcci riparativi e risarcitori. Il problema si risolve quindi ripristinando condizioni di uguaglianza che correggono storture strutturali nel sistema economico e sociale attraverso interventi esterni che a tal fine mettono in circolo risorse dedicate. In sintesi, azioni che di solito si basano su trasferimenti monetari e servizi "di ultima istanza" per suturare nell'immediato le ferite nel corpo sociale e sul ritorno in cabina di regia dello Stato, sia nel campo del welfare ma anche dell'economia, al fine di elaborare e gestire nuove politiche mission oriented di medio e lungo periodo.
Rimane quindi spazio per strategie che intendono affrontare la stessa sfida agendo però "in corso d'opera"? Ovvero introducendo, più che correttivi, innovazioni sociali nel sistema grazie a soluzioni elaborate secondo modalità sussidiarie? Una domanda non banale soprattutto se posta a organizzazioni di terzo settore e imprese sociali, ma anche a imprese for profit che riconoscono nella coesione non solo un sottoprodotto della responsabilità sociale ma un fattore di competitività. Per questi soggetti, per i primi in particolare, l'azione si concentra soprattutto dove la disuguaglianza si manifesta in forma nuove oppure intervendo sulle cause che la originano, prima ancora che appaia. E la risposta in questo caso consiste soprattutto in nuove soluzioni organizzative e dotazioni di servizi.
Due esempi di attualità possono essere utili per comprendere le peculiarità di questo approccio (anche in termini di impatto). Non certo per opporlo a quello dominante, quanto piuttosto per arricchire un quadro di soluzioni capace di adattarsi alla natura mutevole e controversa di una sfida sociale che domina oggi l'agenda della politica, il dibattito tra gli addetti ai lavori e il sentiment dell'opinione pubblica.
Il primo è quello delle misure di contrasto alla povertà educativa. Guardando in particolare ai bandi e ai relativi progetti finanziati da Con i Bambini emerge infatti l'intento non tanto di redistribuire risorse per ripristinare le condizioni minime, ma piuttosto di ridisegnare il sistema facendo leva su nuovi attori, ovvero comunità educanti in grado di rispondere al bisogno, ma soprattutto capaci di agire sulle cause economiche e soprattutto culturali che ne sono all'origine.
Il secondo esempio riguarda la conciliazione vita lavoro. Recenti dati Istat ed Eurostat hanno il merito sia di restituire la dimensione del fabbisogno – sono 2,8 in Italia e 109 milioni in Europa che lavorano e che hanno hanno in cura minori ma anche anziani e malati – ma anche un quadro di risposte che, tutto sommato, sembra aver colto la sfida anche se non si può parlare di vero e proprio "impatto". Se è vero infatti che nel corso del tempo si sono progressivamente diffuse pratiche di conciliazione è altrettanto vero che queste si sono risolte soprattutto in innovazioni incrementali, come ad esempio l'adattamento degli orari di lavoro. Così sono rimaste in buona parte irrisolte altre questioni che toccano più da vicino i meccanismi che presidiano l'organizzazione familiare e del lavoro e, ancora più in profondità, il modo in cui si costruiscono progetti di vita a partire da aspirazioni che sono tali nella misura in cui si sanno relazionare con contesti ricchi di stimoli ma anche molto temporanei.
Con il progetto Masp l'obiettivo è di incrementare la capacità di innovazione sociale degli attori che quotidianamente fanno, o provano a fare, conciliazione. Da una parte rafforzando e qualificando l'offerta di servizi specialistici e le reti di supporto informali. Ma se si vogliono creare nuove basi culturali superando approcci di natura riparatoria e negoziale che lo stesso termine "conciliazione" tradisce nella sua etimologia, allora occorre introdurre discontinuità ad almeno tre livelli. Il primo, ben esemplificato dalle buone pratiche del progetto Maam e Family Audit, riguarda, di fatto, il modo di fare impresa a livello gestionale ed anche di cultura organizzativa. Il secondo livello riguarda la genitorialità come esercizio di ruolo che spesso richiede, da una parte, un riequilibro dei carichi e, dall'altra, una maggiore capacità di orchestrare interventi esterni che integrano e supportano il nucleo familiare. Un esercizio, quest'ultimo, che richiama in terzo luogo le modalità di progettazione e di esecuzione dei servizi, oggi stretti tra standard produttivi e vincoli di risorse che ne enfatizzano il carattere prestazionale e "sterile" rispetto al contesto ed esigenze di personalizzazione che non sono gestibili "a catalogo" ma attraverso filosofia e metodi di codesign.
E' un lavoro molto puntuale e complesso quello di migliorare la conciliazione vita lavoro, svolto attraverso il "solito" approccio della social innovation: arricchire e ricombinare i fattori per ottenere soluzioni nuove capaci di generare cambiamenti positivi duraturi. Ma al tempo stesso è indispensabile se si vuole riprogrammare il sistema. Pena il rischio che le soluzioni di ripristino non facciano che staticizzare le cause latenti della disuguaglianza. Che così sarebbero pronte a ripresentarsi non appena la guardia della regolazione e dell'intervento pubblico si dovesse allentare.
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