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Oltre il PNRR, che fare per i 2 milioni di Neet? Lo Stato non basta

Draghi si è mostrato consapevole del male quando ha scritto: “l’Italia è il Paese dell’UE con il più alto tasso di ragazzi fra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (Neet)”. È già qualcosa ma non basta. Ci vuole dunque una larghissima mobilitazione di sussidiarietà, una vera mobilitazione popolare per salvare una parte così ampia, un quinto circa di una generazione. Può apparire poco realistica. Non è meno realistica che stare ad aspettare interventi risolutivi delle istituzioni

di Vincenzo Mannino

La premessa a firma di Draghi apre il PNRR all’insegna del realismo. Martella sui ritardi, sulle criticità, sui mali che esigono rimedi. La pandemia ha colpito l’Italia prima e più degli altri paesi europei con il maggior numero di decessi tra gli stessi paesi UE. La crescita del PIL negli ultimi venti anni è stata irrisoria rispetto a quella degli altri principali paesi europei. Le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 3,3% della popolazione nel 2005 al 9,4% nel 2020 (ma erano già il 7,7% nel 2019). Poi la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, la produttività quasi immobile (mentre correva in casa altrui), il ritardo nella digitalizzazione, il calo degli investimenti pubblici, la lentezza nelle riforme.

Sono cose note. È però un sollievo che le cose vengano chiamate con il loro nome, al contrario di quanto fanno molti politici o sedicenti leader, che parlano come se volessero distrarre gli elettori dalla realtà, invece di riconoscere i problemi, affrontarli insieme, e a mano a mano risolverli.
Ma dell’elenco dei mali dell’Italia, che Draghi fa con realismo terapeutico, recupero due affermazioni: “l’Italia è il Paese dell’UE con il più alto tasso di ragazzi fra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (Neet)”. E di seguito: “Il tasso di partecipazione delle donne al lavoro è solo il 53,89%, molto al di sotto del 67,8% della media europea. Questi problemi sono ancora più accentuati nel Mezzogiorno, dove il processo di convergenza con le aree più ricche del Paese è ormai fermo”.

Dunque i Neet e la disoccupazione femminile (c’è anche una connessione) sono arrivati in cima alla consapevolezza istituzionale. Fino a poco tempo fa sembravano una preoccupazione di pochi. Se poi gli interventi previsti siano ideonei e proporzionati è da valutare.

Solitamente si parla della povertà educativa dei minori, a cominciare dalla difficoltà di apprendere, di giocare, di avere le relazioni che fanno crescere. Poi l’adolescenza. I problemi sono stati aggravati dalla crescita della povertà assoluta e dalla DaD (povertà materiale e povertà educativa su rafforzano a vicenda, e – attraverso la seconda – la prima diventa spesso ereditaria). Con i Neet il problema si proietta ben oltre la minore età e investe l’età adulta (15-29 anni). Peraltro, la correlazione tra povertà educativa e povertà assoluta è così netta che in giro per le istituzioni internazionali (OCSE, etc) si dice che in Italia basta conoscere il CAP di un ragazzo per prevederne il destino formativo. Con certezza sappiamo che in alcuni quartieri la percentuale dei Neet sul totale dei giovani 15-29 è il doppio che in altri quartieri (per esempio a Roma a Torre Angela rispetto al quartiere Trieste, ma così funziona da Milano a Napoli). Resta molto da esplicitare e approfondire sule disfunzioni dell’ascensore sociale, sulla cura insufficiente del diritto allo studio, sulle diseguaglianze sociali, che si fanno intergenerazionali come in società arcaiche.
Sui Neet va rilevata anche la prevalenza femminile, mentre in molti altri campi tanti indicatori segnalano la fragilità del maschile. Ma, poiché i Neet si estendono nell’età adulta, la maggiore difficoltà delle ragazze di trovare lavoro pesa sull’insieme.

Al primo sguardo la realtà di una ragazza, di un ragazzo, di giovani, che nell’età in cui dovrebbero sprigionare il massimo di vitalità invece non studiano, non lavorano, non sono impegnati in formazione per il lavoro, è terribilmente angosciosa. È un male grave, che non è scontato sia seguito da guarigione e da riabilitazione. Comunque il Neet che si emancipa da questa condizione correrà probabilmente con l’handicap. Soprattutto c’è il rischio che non raggiunga quel livello di competenze, che è indispensabile per continuare a imparare successivamente e per sempre, come ormai occorre predisporsi a fare lungo il corso della vita intera.

Questo male grave non è una malattia rara, di quelle che colpiscono fino a 5 persone su 10.000. Purtroppo i Neet sono oltre il 20% degli italiani tra i 15 e i 29 anni, ovvero più di due milioni di persone. È certo che per effetto del Covid19 e delle misure adottate (la DaD allunga le distanze tra i più e i meno dotati) il numero dei Neet si accresca. Ci sono studi in corso. Una risoluzione parlamentare chiede tra diverse misure anche un “osservatorio sulla salute mentale dell’adolescente e del minore a seguito delle misure prese per contrastare l’emergenza sanitaria in atto”.
Dunque non una malattia rara, ma l’equivalente di un’epidemia devastante e per la quale non c’è vaccino. Poi ci sono Neet che si chiudono in casa, e altri che forse partecipano a risse, o con altri problemi. Mi sembra che sia ancora un mondo poco conosciuto, perché in realtà sono persone che si sottraggono ai luoghi ordinari della vita. La maggiore difficoltà è il primo passo: stanarli, attivarli.
Se, lungo i percorsi del PNRR, dalla Premessa si va alle Missioni 4 (istruzione e ricerca) e 5 (coesione e inclusione) occorre valutare se ci siano strumenti proporzionati e di efficacia immediata. Forse come alcuni ritengono uno sforzo in più sulle politiche giovanili nel PNRR sarebbe stato possibile. Si legge nel PNRR che il potenziamento dell’offerta di istruzione potrà “ridurre gradualmente i tassi di abbandono scolastico nella scuola secondaria” (anche per questo indicatore abbiamo una delle peggiori situazioni in Europa). Mi chiedo però se siano sempre gli studenti ad abbandonare la scuola o se talora non sia anche la scuola ad abbandonarli.

Le politiche pubbliche per i giovani sollecitate anche nelle linee guida della UE, richieste da organizzazioni dei giovani in Italia, potranno, speriamo, ridurre i “flussi” di Neet in futuro. Ma potrebbero non essere sufficientemente tempestive da poter affidare ad esse lo “stock” attuale dei Neet. Che cosa fare dunque per questi ragazzi che non vengono a chiedere aiuto e che hanno esigenze molto diverse, perché il quindicenne dovrebbe essere riconciliato con la scuola e il venticinquenne andrebbe accompagnato al lavoro (o all’impresa)?

Se la politica non ha strumenti di pronto effetto l’iniziativa torna in mano alla società. Come è strano che in questa società così proclive al “piove governo ladro” sia sempre più spesso la sussidiarietà a detenere i pulsanti della meteorologia.
Certo ci sono i progetti Yes I startup e SELFIEmployment della mano pubblica (Invitalia , Anpal, Ente del Microcredito). C’è l'Impresa sociale Con i bambini. Ci sono stati e ci sono progetti e interventi della Fondazione Cariplo, di Action Aid e Save the Children, della Caritas e di Openpolis, della Fondazione Mondo Digitale,e anche di imprese come ad esempio Google e Borsch. Ma queste iniziative nel complesso hanno coinvolto al massimo alcune decine di migliaia di Neet. Sono buone pratiche, esperimenti importanti, tentativi di modellizzare interventi, ma l’universo del Neet (e dei loro genitori) rimane, nella sua grande maggioranza, solo.

La formula forse più incidente sembra essere quella della comunità educante. Genitori, insegnanti e dirigenti scolastici, psicologhi e pedagogisti, servizi dei comuni, volontari (è ad opera di una Caritas che vengo coinvolto nella questione). Comunità educante è anche la formula che troviamo in Con i bambini. Ci vuole dunque una larghissima mobilitazione di sussidiarietà, una vera mobilitazione popolare per salvare una parte così ampia, un quinto circa di una generazione. Una grande rete di solidarietà operosa messa in campo dalla società civile, è una necessità. Sarebbe anche un’ondata di speranza e fiducia per tutti.

Non è facile questa prospettiva. Può apparire poco realistica. Non è meno realistica che stare ad aspettare interventi risolutivi delle istituzioni. La sussidiarietà è il metodo della società civile, che è il soggetto più forte.

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