Economia

Oltre il PIL, per ripensare la produttività

Ripensare la produttività, il modo di calcolarla, è urgente, anche perché è sulla base dell'andamento della produttività che vengono poi calcolati gli aumenti salariali. Secondo alcuni studiosi dell'Università di Cambridge, per capire meglio cosa sta accadendo nell'economia contemporanea, occorrerebbe analizzare le connessioni tra capitale sociale e produttività

di Christian Marazzi

Il più delle volte, la parola “produttività” evoca un mondo dominato dalla produzione di cose tangibili, come automobili, lavatrici, scarpe, cereali, quel mondo che negli anni Trenta portò l'economista americano Simon Kutznets a inventare il Pil, il Prodotto interno lordo, la quintessenza del sistema di contabilità nazionale che, a tutt'oggi, misura (o pretende di misurare) l'incremento dello standard di vita di un paese.

Per un numero crescente di economisti, è necessario dotarsi di criteri diversi dal Pil per misurare il benessere della società, indicatori in cui l'aria pulita, il volontariato o la sicurezza sulle strade siano valutati più della produzione di armi o degli incidenti stradali.

Sta di fatto che il cosiddetto mostro di Kutznets resta la base di calcolo della produttività, cioè del rapporto tra la quantità di beni prodotta nell'unità di tempo e i mezzi, in particolare il lavoro, impiegati per produrre questa quantità. Senonché, il mondo è molto diverso da quello rappresentato dal Pil, in particolare da quando la digitalizzazione dei processi di produzione e distribuzione ha aumentato, e di molto, la quantità di beni intangibili, di servizi e di attività gratuite svolte da tutti noi. Secondo uno studio dell'OCSE, nei paesi a economia avanzata circa quattro dollari su cinque sono spesi per acquistare beni intangibili.

La smaterializzazione delle economie complica parecchio il calcolo della produttività: pensiamo a quante cose facciamo, dai pagamenti digitali, all'acquisto di biglietti del treno alle casse automatiche, alla produzione gratuita di dati personali, tutte attività produttive che, non lasciando tracce monetarie, non appaiono nel Pil.

Si pensi, anche, a tutte quelle innovazioni, come i sensori sulle automobili, la navigazione GPS o l'aumento della qualità delle cure nel settore sanitario, innovazioni che certamente contribuiscono ad aumentare la produttività senza che i risultati di tale aumento appaiano nel calcolo del Pil.

Anche perché l'aumento della produttività dipende da una molteplicità di fattori, di interconnessioni sociali, che ne rendono particolarmente difficile la misurazione statistica. Ad esempio, il successo delle cure mediche nell'allungare la vita sana delle persone dipende da molti fattori connessi, come la dieta alimentare, i rapporti sociali, l'esercizio fisico o, anche, la fortuna.

Ripensare la produttività, il modo di calcolarla, è urgente, anche perché è sulla base dell'andamento della produttività che vengono poi calcolati gli aumenti salariali. Secondo alcuni studiosi dell'Università di Cambridge, per capire meglio cosa sta accadendo nell'economia contemporanea, occorrerebbe analizzare le connessioni tra capitale sociale e produttività.

Ci sono delle innovazioni tecnologiche “soft”, dei saperi, delle idee, altrettanto importanti delle tecnologie “hard” per spiegare la crescita della produttività. In una società solidale e più egualitaria, la circolazione dei saperi, ad esempio dei consigli per migliorare l'organizzazione della produzione, permette di realizzare miglioramenti di produttività difficilmente realizzabili in una società iper-competitiva e chiusa in sé stessa. Forse anche per questo da un po' di tempo la produttività misurata stagna.

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